In Libia l’instabilità politica ha spianato la strada alla tragedia
da L’INDIPENDENTE (Stefano Baudino)
Dopo l’impietosa e fatale azione del ciclone Daniel, un grosso pezzo di Libia è sommerso dal fango. Interi quartieri sono stati completamente cancellati e risulta ad oggi impossibile tenere il conto delle vittime. Di morti a terra ce ne sono migliaia, ma tanti corpi potrebbero non essere mai più ritrovati. A rendere ancora più gravi gli effetti della tragedia è il contesto in cui è avvenuta: quello di un Paese diviso a metà, provato da lunghi anni di guerra civile e instabilità politica. Il disastro ambientale – il più grave della storia recente della Libia – ha coinvolto l’area orientale del Paese, quella controllata dalle milizie di Haftar, ma anche la nemica Tripoli ha scelto di indire tre giorni di lutto e iniziato a inviare aiuti alle popolazioni colpite.
Il centro in assoluto più colpito è Derna, la quarta città più grande della Libia, che da sola potrebbe arrivare a contare oltre 10mila morti. Qui l’altissimo livello dell’acqua ha provocato la rottura di due dighe, distruggendo le abitazioni costruite una accanto all’altra nei pressi del fiume che attraversa il centro, il Wadi Derna, che ha mandato in mare persone, detriti, automobili. Almeno un quarto della città è stato completamente raso al suolo. Derna, oggi, è senza elettricità e i suoi abitanti sono impossibilitati a comunicare con l’esterno per via telefonica. Il capo dipartimento dello Gnu, Hussein Suweidan, ha dichiarato che per rimettere in sesto le strade e i ponti della città serviranno almeno 67 milioni di dollari.
A offrire terreno fertile alla catastrofe è stata, in particolare, la disastrosa condizione della rete infrastrutturale del Paese. E ora, al cospetto di uno scenario apocalittico, far transitare gli aiuti in modo celere è impossibile per via delle strade completamente bloccate. È anche questa una delle tante facce di una paralisi politica e amministrativa che ha segnato la Libia dalla caduta di Muammar Gheddafi in avanti. Nell’area del Nord Ovest, a dettare legge è il Governo di unità nazionale (Gnu) guidato dal premier Abdul Hamid Dbeibah, con sede a Tripoli. Questo Esecutivo è riconosciuto a livello internazionale, occupando il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione africana. Ad Est, invece, il potere è formalmente nelle mani della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, che nel marzo 2022 ha dato la fiducia a un governo parallelo al cui vertice siede il primo ministro Osama Hammad. A detenere lo scettro della Cirenaica grazie all’impiego dei suoi miliziani è in realtà l’”uomo forte”, il generale Khalifa Haftar, supportato da Egitto, Russia, Giordania ed Emirati Arabi Uniti.
La guerra civile scoppiata tra Tripoli e Tobruk è durata per più di 6 anni, dal 2014 al 2020. Le prime elezioni libere nel Paese avrebbero dovuto avere luogo nel dicembre 2021, ma a causa delle tensioni presenti tra i due governi il piano non ha trovato concretezza. I disordini, in Libia, sono comunque sfociati anche nel 2023. Il mese scorso sono scoppiate manifestazioni di protesta in tutto il Paese dopo la notizia di un incontro segreto tra i ministri degli Esteri libico e quello israeliano, che si sono trasformate in un movimento che ha invocato dimissioni di Dbeibah. Nello stesso periodo, sono morte 45 persone nella capitale, nella cornice di violenti scontri tra due milizie rivali.
Dato il contesto politico, gli sforzi della comunità internazionale per l’invio di soccorsi devono tassativamente passare attraverso il governo di Tripoli e, dunque, essere approvati dalle autorità rivali di chi amministra le zone colpite. Il che, nel quadro di un’emergenza di queste dimensioni, costituisce ovviamente un notevole freno alla velocità e all’efficacia del sostegno. Almeno per ora, il Governo di Unità Nazionale ha comunque scelto di sotterrare l’ascia di guerra e sta contribuendo agli aiuti. Fino ad ora, il governo di Dbeibah ha mandato alle popolazioni colpite una novantina di medici e quattordici tonnellate di rifornimenti, farmaci, attrezzature e sacchi per le salme. Anche Egitto, Turchia e Algeria hanno risposto presente, inviando aerei e squadre di soccorso. Altri aiuti stanno arrivando da Stati Uniti, Russia e Onu. In Libia è giunto anche un team della Protezione Civile italiana.
Altro aspetto da non sottovalutare è quello legato alla questione migratoria. Dal litorale della Cirenaica colpita dalle inondazioni, infatti, sono solite partire grandi imbarcazioni cariche di migranti – solitamente originari di Egitto, Siria e Pakistan -, che effettuano il “grande viaggio” verso le coste italiane. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che parla già di 30mila sfollati, tutto fa pensare che la spinta migratoria verso le coste del nostro Paese dalle aree colpite dalla tragedia, nel prossimo periodo, non farà che intensificarsi.
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