Misure di coercizione economica (note come “sanzioni”), loro uso ed efficacia
di L’ITALIA E IL MONDO (Jacques Sapir)
Il crescente numero di casi di misure di coercizione economica imposte da Stati o gruppi di Stati per costringere un altro Stato a cambiare o abbandonare la propria politica[1] rappresenta uno sviluppo importante. Le sanzioni contro la Russia[2], imposte nel periodo 2014-2017[3] o dalla fine di febbraio 2022[4], sono un esempio, ma altri casi che riguardano Cuba, Iran e Corea del Nord non sono meno significativi. Questa tendenza non è del tutto nuova. Già nell’antichità e nel Medioevo, l’uso di armi economiche era comune, al punto da essere incluso nella panoplia degli strumenti di conflitto armato. Ma l’idea che la sola coercizione economica potesse produrre risultati politici sufficienti a evitare il ricorso al conflitto armato è stata una grande innovazione. Essa deriva dalla Prima guerra mondiale.
Questa idea era in linea con la nozione di “guerra economica”. Ma mentre quest’ultima integrava uno sforzo puramente “militare” nel contesto di un conflitto, l’attuale nozione di coercizione economica pretende di sostituire il conflitto armato. Per cercare di capire questi sviluppi attuali, dobbiamo ripercorrere la storia delle sanzioni economiche dalla loro prima comparsa negli anni Venti.
I. Il concetto di “guerra economica
Il concetto di “guerra economica” è polisemico[5]. La sua stessa definizione è problematica perché riunisce processi conflittuali, in altre parole “relazioni amico/nemico”[6], e altri semplicemente competitivi[7]. In Francia, il portale di intelligence economica lo descrive come: “un processo e una strategia decisi da uno Stato nell’ambito dell’affermazione del proprio potere sulla scena internazionale. Si realizza attraverso l’informazione in campo economico e finanziario, tecnologico, giuridico, politico e sociale”[8]. Delbecque e Harbulot la associano alla guerra cognitiva e alla guerra dell’informazione, in una logica di guerra asimmetrica al servizio del potere nazionale totale[9]. È quindi chiaro che questa nozione si sta sviluppando parallelamente a quella di strategia[10], ma anche di strategia economica.
Tuttavia, il termine è stato utilizzato più volte sia dagli storici che dai politologi[11]. Per gli storici, sarà utilizzato per descrivere l’intreccio di tensioni economiche e militari[12], ma anche misure tipicamente associate ai conflitti armati come i blocchi (che sono generalmente considerati un atto di guerra[13]) e, nel linguaggio militare, il divieto di comunicazione[14]. Il risultato del conflitto non è più il confronto diretto delle risorse militari delle due parti coinvolte, ma l’esaurimento economico, o la carestia, causata dal blocco[15]. Da questo punto di vista, il blocco può essere assimilato a una forma di “strategia indiretta”, che mira a far piegare l’avversario senza impegnare il grosso delle proprie forze. I conflitti a partire dal XIX secolo hanno dato origine a diversi tipi di “blocco”, da quello imposto dalle marine britanniche, francesi e russe contro l’Impero Ottomano durante la guerra d’indipendenza greca (che portò alla battaglia navale di Navarin nel 1826), al blocco della Germania e dell’Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale, passando per il blocco esercitato dal governo dell’Unione contro quello della Confederazione durante la guerra civile americana[16]. In questo caso, la guerra e l’economia sono di fatto collegate. Nel campo della scienza politica, invece, questa nozione viene utilizzata per caratterizzare in modo più dettagliato la componente puramente economica delle guerre e il ruolo del desiderio di controllo delle risorse nello scatenare le guerre. Va notato, tuttavia, che un atto di guerra economica, pur mirando a dare un vantaggio a chi lo compie, può non essere necessariamente antitetico a un indebolimento in cambio di chi lo compie[17].
Questo è il caso particolare di un ipotetico “effetto boomerang”, un fenomeno che è stato analizzato in particolare in relazione alla prima ondata di sanzioni contro la Russia nel 2014-2017[18].
Da quel momento in poi, si ricorre all’analisi costi-benefici per determinare se l’azione è più favorevole a una parte rispetto all’altra. John Maynard Keynes, molto colpito dal costo umano della Prima guerra mondiale, ma anche dall’effetto distruttivo del blocco navale franco-britannico sulla Germania, ha difeso il potenziale pacificatore delle sanzioni economiche[19]. Ma questo è probabilmente dare troppo peso alla razionalità economica. È un dato di fatto che l’uso di questa nozione è variato nel tempo. Per questo motivo ci concentreremo qui sulla sua forma moderna.
II. Raggiungere obiettivi strategici senza fare la guerra?
La nozione di “guerra economica” sembra essere apparsa ufficialmente nel contesto della Prima guerra mondiale (1914-1918). Inizialmente, era intrinsecamente legata alla nozione stessa di guerra.
Il blocco[20] messo in atto dai franco-britannici contro la Germania, un blocco che nessuno poteva ignorare avrebbe colpito duramente un’economia dipendente dall’importazione di alcune materie prime, ebbe un impatto considerevole sulle rappresentazioni della guerra economica. Diede origine a contromisure, tra cui la riorganizzazione dell’economia tedesca, che fu messa in atto praticamente nei primi giorni del conflitto[21]. Già nell’agosto del 1914, Walther Rathenau (1867-1922), direttore dell’azienda elettrica AEG, aveva avvertito l’esercito che il Paese non aveva un programma di approvvigionamento e che presto avrebbe esaurito le munizioni. Pochi giorni dopo fu istituito il Dipartimento dei materiali bellici (Kriegsrohstoffabteilung o KRA[22]). Questo dipartimento fu diretto dallo stesso Rathenau, che lo diresse fino al 1915. Queste contromisure possono servire come esempio contemporaneo. Il KRA riaprì le fabbriche e incoraggiò anche la sostituzione dei materiali disponibili con quelli rari. Un esempio fu l’utilizzo del processo Haber-Bosch per la produzione di ammoniaca, quando le potenze alleate bloccarono le importazioni di salnitro cileno [23].
Dopo la Prima Guerra Mondiale, le misure ispirate a quelle attuate dai Paesi dell’Intesa furono codificate nel diritto pubblico internazionale e nell’ambito della Società delle Nazioni (Lega) [24]. L’articolo 16 della Carta della Lega prevedeva un arsenale di misure di guerra economica volte a rendere impossibile la prosecuzione di un conflitto[25]. In effetti, la Società delle Nazioni ha dovuto affrontare diversi conflitti interstatali durante la sua esistenza.
Tableau 1Conflits traités par la SDN (1920-1940)
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Mentre la “guerra del Chaco” fornì l’opportunità di discutere alcune misure di coercizione economica,[26] l’articolo 16 della Carta della Lega fu realmente messo alla prova durante il conflitto italo-etiopico del 1935-1936. Dopo diversi anni di preparazione, il 2 ottobre 1935 l’Italia di Mussolini decise di invadere l’Abissinia, nome con cui era conosciuta l’Etiopia[27]. Il 3 ottobre 1935, dopo il bombardamento di Adigrat e Adoua, l’imperatore Hailé Selassié (il Negus) sottopose prontamente la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sottolineando la “violazione della frontiera dell’Impero e la violazione del Patto da parte dell’aggressione italiana”. Un comitato di coordinamento, noto come Comitato dei 18, fu incaricato di applicare le sanzioni previste dall’articolo 16 della Società delle Nazioni. Questo comitato escluse fin dall’inizio le sanzioni militari ed ebbe grandi difficoltà, a causa dell’ostruzione francese, a definire le sanzioni economiche[28]. Il Comitato dei 18 annunciò sanzioni finanziarie ed economiche “relativamente benigne”[29]. Fu vietata la vendita all’Italia di alcuni materiali cosiddetti “strategici” come minerali, gomma e mezzi di trasporto[30]. Il Comitato propose di andare oltre e di estenderle all’acciaio, al coke, al petrolio e al ferro. Anche in questo caso, la Francia – in nome del patto Laval-Mussolini del 1935 – si oppose a queste misure[31]. Riuscì persino, con l’aiuto della Gran Bretagna, a far fallire le misure riguardanti il petrolio e i prodotti petroliferi. Il fallimento delle sanzioni ebbe quindi molteplici cause[32]. In primo luogo, come abbiamo detto, Francia e Regno Unito erano riluttanti ad applicarle. In secondo luogo, il fatto che molte di queste misure non erano coercitive. Infine, la Società delle Nazioni non era pienamente rappresentativa della comunità internazionale[33]. Il rifiuto degli Stati Uniti di partecipare, seguito dal ritiro del Giappone, indebolì la sua rappresentatività.
La guerra d’Abissinia minò quindi la credibilità della Lega. Ma non fu l’unico esempio di sanzioni economiche prima del 1945. In seguito all’aggressione del Giappone alla Cina nel 1937, gli Stati Uniti, che non erano membri della Lega, cercarono di imporre sanzioni. Nel 1938 decisero di sospendere il trattato del 1911 che concedeva al Giappone lo status di nazione più favorita e nel 1939 inasprirono la loro posizione con l’Export Control Act del 1940, che vietava l’esportazione di attrezzature aeronautiche e di rottami metallici, ampiamente utilizzati nell’industria giapponese. Di fronte alla decisione del Giappone di occupare l’Indocina francese nel 1940, si decise di congelare i beni giapponesi negli Stati Uniti, una misura che tagliò in gran parte l’accesso del Giappone al petrolio e spinse i leader giapponesi ad attaccare gli Stati Uniti[34].
Anche in questo caso, possiamo parlare di un fallimento delle sanzioni economiche, inizialmente senza dubbio perché troppo leggere e, in seguito, perché divennero così efficaci da non lasciare al Giappone altra scelta che la capitolazione politica o l’attacco agli Stati Uniti. Da questo punto di vista, è possibile che si tratti di una forma di “effetto boomerang” delle sanzioni, ma questo effetto fu comunque preso in considerazione dal governo statunitense. Dopo la guerra, tuttavia, l’Export Control Act del 1940 fu utilizzato per definire l’Export Control Act del 1949 e l’Export Control Act del 1951, che costituirono la base della politica di sanzioni economiche perseguita dagli Stati Uniti durante la Guerra Fredda[35].
III. Le sanzioni economiche durante la Guerra Fredda e i loro effetti
Dopo la Seconda guerra mondiale, la questione delle sanzioni economiche è stata ripresa, ma con il costante desiderio di evitare gli errori commessi dalla Società delle Nazioni. La questione dell’applicazione e del rispetto delle sanzioni da parte della comunità internazionale nel suo complesso era al centro del dibattito[36]. Un altro punto importante era ovviamente la posizione dominante degli Stati Uniti. La Carta delle Nazioni Unite, nel suo Capitolo VII dedicato alle “Azioni nei confronti delle minacce alla pace, delle violazioni della pace e degli atti di aggressione”, riprende la logica dell’articolo 16 della Società delle Nazioni[37] con diversi articoli che vanno dalle sanzioni economiche (art. 41) all’uso della forza armata (art. 42). La Carta menziona la possibilità che queste misure abbiano un effetto negativo, in altre parole un effetto boomerang, su un membro delle Nazioni Unite (art. 50). Il concetto di coercizione economica, di misure simili alla guerra economica[38], è quindi ben radicato nel diritto internazionale. Tuttavia, queste misure sono strettamente legate al Consiglio di Sicurezza (UNSC). Le sanzioni unilaterali sono in teoria condannate dalle Nazioni Unite, ma ciò non ne ha impedito l’uso[39], soprattutto da parte degli Stati Uniti.
L’efficacia delle sanzioni è dipesa da molti fattori. Il principale è il divario economico tra il Paese (o il gruppo di Paesi) che decide le sanzioni e il Paese “bersaglio”. Questo divario è stato generalmente superiore a 10:1 in termini di PIL, e a volte molto di più, riflettendo la posizione unica degli Stati Uniti alla fine della guerra nel 1945. Tuttavia, questa situazione è cambiata nel tempo.
Uno dei casi più interessanti è stato l’insieme di sanzioni imposte al Sudafrica a causa della sua politica di apartheid[40], così come le sanzioni imposte alla Rhodesia (oggi Zimbabwe) nel 1966[41]. Le sanzioni contro il Sudafrica furono adottate tardivamente, nonostante una condanna anticipata adottata dalle Nazioni Unite nel 1964, su richiesta della Bolivia e della Norvegia, perché il Consiglio di Sicurezza riteneva che la politica di apartheid perseguita dal Sudafrica stesse seriamente turbando la pace e la sicurezza internazionale[42]. Nel caso della Rhodesia, dopo un tentativo fallito da parte del Regno Unito, fu infine adottata (con dieci voti favorevoli e un’astensione) una risoluzione presentata dalla Bolivia e dall’Uruguay che dichiarava che il Consiglio di Sicurezza: “Determina che la situazione risultante dalla proclamazione dell’indipendenza da parte delle autorità illegali della Rhodesia del Sud è estremamente grave, che è opportuno che il governo del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord vi ponga fine e che il suo perdurare costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”[43]. Questa condanna, d’altra parte, portò più rapidamente alle sanzioni e la Gran Bretagna attuò persino un semi-blocco navale della Rhodesia per garantire che le sanzioni fossero effettivamente applicate[44].
IV. Qual è stato l’effetto delle misure di coercizione economica adottate dall’ONU e di quelle unilaterali degli Stati Uniti?
I vari casi in cui la comunità internazionale decise di attuare la coercizione economica ebbero risultati a dir poco contrastanti.
Tableau 2 Succès et échecs des sanctions économiques internationales
Objectif | 1945-1969 | 1970-1989 | 1990-2000 | |||
Succès | Échec | Succès | Échec | Succès | Échec | |
Capacité à modifier la politique du pays cible | 5 | 4 | 7 | 10 | 8 | 7 |
Changement de régime et démocratisation | 7 | 6 | 9 | 22 | 9 | 23 |
Arrêt d’opérations militaires | 2 | 2 | 0 | 6 | 0 | 3 |
Modification de la politique militaire (hors conflit) | 0 | 6 | 4 | 10 | 2 | 4 |
Autre changement important de politique | 2 | 13 | 3 | 4 | 5 | 5 |
Total | ||||||
Tout cas confondus | 16 | 31 | 23 | 52 | 24 | 42 |
Cas où les Etats-Unis sont impliqués | 14 | 14 | 13 | 41 | 17 | 33 |
Sanction unilatérale prises par les Etats-Unis | 10 | 6 | 6 | 33 | 2 | 9 |
Ratio échec/succès global | 1,94 | 2,26 | 1,75 | |||
Ratio échec/succès par rapport à des conflits ou des politiques militaires | 4,00 | 4,00 | 3,50 | |||
Ratio échec/succès global pour les sanctions unilatérales des Etats-Unis | 0,60 | 5,50 | 4,50 |
Source : Hufbauer G.C., Schott J.J., Eliott K.A., Oegg B., Economic sanctions reconsidered , Washington DC, The Peterson Institute For International Economics, 3rd ed., 2007 Table 5.1., p. 127
Questi esempi sollevano il problema dell’efficacia generale delle sanzioni economiche, ovvero della loro capacità di indurre il Paese destinatario a modificare sostanzialmente la propria politica e a cercare un accordo con i Paesi che le applicano, anche quando sono decise dalle Nazioni Unite[45]. Le sanzioni non sono state applicate solo nell’ambito delle Nazioni Unite. Sono state applicate anche sanzioni unilaterali, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Queste pratiche sono considerate “illegali” se si segue la Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, riflettendo il suo ruolo di superpotenza politica e militare nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno utilizzato la coercizione economica, in altre parole le sanzioni economiche, su un’ampia gamma di obiettivi. Va sottolineato che non hanno usato solo sanzioni economiche, ma anche operazioni segrete e un’influenza politica generale sull’élite politica del Paese bersaglio[46]. Le sanzioni hanno così assunto la dimensione di una “guerra economica” globale imposta dagli Stati Uniti e, più in generale, dal “mondo occidentale” [47].
Ciò ha avuto un impatto sull’efficacia delle sanzioni. Queste misure sono sempre adottate per indurre una decisione politica da parte del Paese che ne è oggetto. Tuttavia, le sanzioni applicate per motivi “militari” hanno sempre avuto scarso successo.
Tableau 3 Succès et échec des sanctions unilatérales américaines
Nombre de cas | |
1945-1969 | |
Succès | 14 |
Echec | 14 |
1970-1989 | |
Succès | 13 |
Echec | 41 |
1990-2000 | |
Succès | 17 |
Echec | 33 |
Source : Hufbauer G.C., Schott J.J., Eliott K.A., Oegg B., Economic sanctions reconsidered , Washington DC, The Peterson Institute For International Economics, 3rd ed., 2007 Table 5.2., p. 129
Inizialmente (1945-1969), i politici statunitensi riuscirono a ottenere un alto livello di successo, come si può vedere nella Tabella 3. Ma nel corso dei decenni, i cambiamenti nell’economia globale hanno minato l’efficacia delle sanzioni unilaterali. Tuttavia, nel corso dei decenni, i cambiamenti nell’economia globale hanno minato l’efficacia delle sanzioni unilaterali.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale, l’economia statunitense era il serbatoio finanziario per la ricostruzione dei Paesi devastati dalla guerra. Era anche il principale fornitore, e talvolta l’unico, di beni e servizi essenziali per l’economia globale.
Negli anni ’60, gli Stati Uniti sono rimasti la principale fonte di aiuti economici per i Paesi in via di sviluppo. Ma dagli anni Sessanta i flussi commerciali e finanziari si sono diversificati, le nuove tecnologie si sono diffuse e il bilancio degli aiuti esteri statunitensi si è praticamente prosciugato. La ricostruzione in Europa e l’emergere del Giappone sono entrati in competizione con gli Stati Uniti e la crescita economica globale ha ridotto il numero di Paesi vulnerabili alle sanzioni economiche[48]. La spiegazione più ovvia e importante della diminuzione dell’efficacia delle sanzioni statunitensi è quindi il declino relativo della posizione degli Stati Uniti nell’economia mondiale[49], ma anche il fenomeno della “deglobalizzazione” accompagnato da una “de-occidentalizzazione” degli scambi economici[50].
V. Il problema della coerenza e della persistenza nell’azione
Ma non è l’unico. Gli Stati Uniti non sempre hanno portato a termine ciò che hanno iniziato[51]. Molto spesso, le misure di coercizione economica richiedono tempo per avere un effetto apprezzabile. Ma più tempo passa, maggiore è il rischio di un’inversione delle preferenze politiche negli stessi Stati Uniti. Infatti, mentre le sanzioni sono generalmente il risultato di un cosiddetto consenso “bi-partisan”, questo è spesso legato a complesse negoziazioni tra i due partiti, democratici e repubblicani. Sebbene questi negoziati portino generalmente a un compromesso, raramente si traducono in un compromesso stabile a lungo termine. L’emergere di nuove priorità o di nuovi obiettivi politici interrompe il compromesso inizialmente raggiunto[52]. Inoltre, queste misure possono talvolta avere un effetto a catena sull’economia statunitense, causando cambiamenti nelle opinioni dell’elettorato che devono essere presi in considerazione dall’élite politica. Esiste quindi chiaramente un problema di incoerenza politica.
Va notato che questo problema non è limitato agli Stati Uniti e che può sorgere anche nel caso di misure di coercizione economica adottate nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Infine, nel caso di misure adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, anche i cambiamenti nelle scelte dei Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza possono essere un fattore di incoerenza o di mancanza di persistenza se le misure coercitive devono essere mantenute per un periodo abbastanza lungo. Questi problemi di incoerenza o di mancanza di persistenza sono problemi importanti quando si esaminano gli effetti delle misure di coercizione economica.
C’è poi il problema della fattibilità della misura coercitiva. Così, nei casi in cui l’obiettivo delle sanzioni era quello di imporre la non proliferazione nucleare o di convincere un Paese a rinunciare al proprio programma nucleare – come nel caso delle misure rivolte a India, Pakistan, Libia, Iran e Iraq – il rifiuto di consegnare materiale chiave era naturalmente un elemento importante nella combinazione di queste politiche. Tuttavia, con la progressiva comparsa di altri fornitori di componenti sottoposti a sanzioni, spesso disposti a vendere, e in alcuni casi con il successo dei Paesi presi di mira nel produrre essi stessi le attrezzature necessarie, l’obiettivo della non proliferazione si è rivelato gradualmente irraggiungibile. È stata la perdita del monopolio tecnologico da parte degli Stati Uniti e la diffusione generale di queste tecnologie o capacità tecnologiche in tutto il mondo a indebolire il loro potere di imporre sanzioni. Infine, mentre le misure finanziarie facevano parte del pacchetto di sanzioni in oltre il 90% degli episodi precedenti al 1973, erano presenti solo nei due terzi dei casi successivi. Anche la gamma delle sanzioni finanziarie è cambiata. Anche in questo caso, in alcuni casi, erano disponibili altre fonti di assistenza finanziaria.
Nel complesso, l’efficacia delle sanzioni economiche è sempre stata scarsa ed è peggiorata nel periodo successivo al 1970. Anche quando lo squilibrio economico tra il Paese che decide di applicare le sanzioni e il Paese bersaglio era considerevole, come nel caso delle sanzioni unilaterali adottate dagli Stati Uniti contro Cuba, molto raramente hanno ottenuto l’effetto desiderato[53]. Si è inoltre sviluppato un crescente dibattito sugli effetti di queste sanzioni sul Paese o sui Paesi che le hanno emesse. Il Consiglio per gli Affari Emisferici ha addirittura sostenuto che le sanzioni hanno causato più danni agli Stati Uniti che a Cuba[54].
VI. La questione della coercizione economica nel mondo post-Guerra Fredda
Con la fine della Guerra Fredda, le Nazioni Unite hanno iniziato a imporre sanzioni economiche con maggiore frequenza. Tuttavia, i vincoli finanziari e le differenze politiche tra gli Stati membri hanno limitato il campo d’azione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC). Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta spesso sanzioni mirate quando è costretto a “fare qualcosa”. Il mutevole contesto internazionale e una definizione di pace e sicurezza collettiva in continua evoluzione hanno portato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a imporre molte più sanzioni negli anni ’90 che nei 45 anni precedenti[55]. L’emergere di nuovi conflitti e sfide ha cambiato la direzione delle politiche sanzionatorie, ma non ne ha diminuito l’uso[56].
Va notato, tuttavia, che la natura di queste sanzioni è cambiata dopo che le sanzioni contro l’Iraq e Haiti hanno suscitato forti preoccupazioni e proteste per i danni collaterali imposti ai civili[57]. Ci troviamo quindi di fronte a un “effetto boomerang” da parte dell’opinione pubblica, soprattutto nei Paesi occidentali. Le Nazioni Unite sono passate dagli embarghi completi di un tempo a misure più limitate, come l’embargo sulle armi, le restrizioni ai viaggi e il congelamento dei beni[58]. Le restrizioni commerciali sono state limitate a beni strategici – le lucrose esportazioni di diamanti dalle aree controllate dai ribelli in Angola e Sierra Leone e un embargo sul petrolio contro la Sierra Leone per un breve periodo quando i ribelli controllavano la capitale. È interessante notare che i Paesi dell’Europa occidentale, che avevano resistito vigorosamente alle pressioni statunitensi per imporre sanzioni contro l’Iran, la Libia e Cuba, sono diventati molto più attivi quando i disordini etnici hanno colpito da vicino nei Balcani[59]. Di conseguenza, le Nazioni Unite imposero sanzioni commerciali e finanziarie complete contro l’Iraq, l’ex Jugoslavia e Haiti, e varie sanzioni mirate (di solito embargo sulle armi e sanzioni sui viaggi) contro l’Afghanistan, la Libia, la fazione UNITA in Angola, il Ruanda, la Liberia, la Somalia, il Sudan, l’Etiopia e l’Eritrea, la Sierra Leone e la Costa d’Avorio.
L’Iraq nel 1990 è stato il caso più importante di applicazione delle sanzioni e anche il caso di più alto profilo dell’era post-Guerra Fredda. Ma le sanzioni non riuscirono a costringere le truppe irachene a lasciare il Kuwait. Le sanzioni successive non sono riuscite a liberare l’Iraq da Saddam Hussein, anche se la pressione delle sanzioni ha contribuito a localizzare, distruggere e prevenire la nuova acquisizione di armi di distruzione di massa prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003. Questo crea un interessante precedente. Le sanzioni ONU sono state un successo nella misura in cui l’obiettivo era quello di impedire il riarmo dell’Iraq[60]. Tuttavia, sono state presentate come inefficaci dagli Stati Uniti per giustificare la propria invasione dell’Iraq senza alcun mandato delle Nazioni Unite.
Anche la consapevolezza dei danni collaterali, altrimenti noti come “effetto boomerang”, ha portato a un contraccolpo[61]. Il rischio di un “effetto boomerang” ha iniziato ad essere preso molto più seriamente. Le preoccupazioni si sono concentrate su due aree: le conseguenze umanitarie, come è avvenuto nel contesto delle sanzioni globali in Iraq[62], e i costi dell’applicazione delle sanzioni per gli Stati in prima linea, come i vicini balcanici dell’ex Repubblica di Jugoslavia durante il conflitto bosniaco o durante la crisi del Kosovo. Inoltre, l’esperienza dell’Iraq, della Jugoslavia, di Haiti e di altri Paesi ha creato una “stanchezza da sanzioni” tra molti membri delle Nazioni Unite e una riluttanza a imporre nuove sanzioni su larga scala fino a quando non saranno risolte le questioni dei danni collaterali alle vittime innocenti[63] e agli Stati in prima linea. Va aggiunto che la manipolazione della propaganda statunitense, in particolare durante l’intervento della NATO in Kosovo e in Serbia[64], e persino la sistematica disinformazione praticata dai governi su questo tema e rivelata dalle ONG[65], possono aver contribuito a una crescente riluttanza da parte degli Stati membri dell’ONU a impegnarsi nelle sanzioni, e persino a dubbi sull’imparzialità degli interventi delle Nazioni Unite[66].
Le conseguenze degli interventi “umanitari” sulle popolazioni che dovrebbero proteggere sono sempre più evidenti, come nel caso di Haiti[67] e del Kosovo[68]. È stato quindi dimostrato che gli effetti negativi dell’intervento, che si tratti di operazioni militari o di sanzioni economiche ritenute in grado di evitare l’intervento militare, possono essere dello stesso ordine degli effetti negativi del non intervento. Ciò ha contribuito a sollevare dubbi sulla legittimità di tali interventi.
Conclusioni
I risultati dell’uso delle sanzioni come arma diplomatica sono quindi relativamente deludenti e chiaramente inferiori a quanto sperato dai fondatori della Società delle Nazioni nel 1919-1920. Nel complesso, l’efficacia delle sanzioni è stata stabile e debole nel corso del XX secolo. Ciò può essere attribuito a diversi fattori
1 La volontà politica del Paese destinatario delle sanzioni di attuare quella che considera una politica vitale per la propria sopravvivenza, e il sostegno di un’ampia parte della popolazione di cui può beneficiare.
2 La capacità del Paese bersaglio di rompere l’isolamento, o il tentativo di isolamento, a cui è soggetto e di mantenere flussi commerciali significativi nei prodotti oggetto delle sanzioni[69].
3 La capacità del Paese destinatario di sostituire i prodotti locali di qualità equivalente con quelli soggetti a sanzioni. Questa capacità è tanto maggiore quanto maggiore è la capacità generale dell’economia del Paese e quanto maggiori sono i legami del Paese con il resto del mondo[70].
L’esperienza americana delle sanzioni unilaterali al di fuori del quadro delle Nazioni Unite ha prodotto risultati anch’essi molto dispersivi. Data la preminenza economica, tecnologica e politica degli Stati Uniti, queste sanzioni potevano essere efficaci negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta. In seguito, si sono rivelate molto meno efficaci, e persino controproducenti, man mano che gli Stati Uniti perdevano la loro preminenza economica e tecnologica. L’accelerazione del declino economico degli Stati Uniti, ma anche dei Paesi “occidentali”, ha portato a un ripensamento sull’efficacia delle sanzioni “unilaterali” o imposte da un piccolo numero di Paesi. Tuttavia, questo non è stato percepito in molti Paesi, sia per motivi ideologici sia per l’uso spesso “ingenuo” delle statistiche economiche internazionali[71].
In generale, le sanzioni erano molto inefficaci quando si trattava di fermare le operazioni militari. Lo si era già notato nel periodo tra le due guerre, con i conflitti nel Chaco e in Abissinia. L’abuso dello spirito e della lettera delle sanzioni da parte degli Stati Uniti nel caso di Cuba, e ancor più nel caso dell’Iraq, ha portato anche a una massiccia delegittimazione del principio delle sanzioni. Questo ha portato diversi Paesi a ritirarsi dalla pratica delle sanzioni e ha contribuito a ridurne ulteriormente l’efficacia.
A questo proposito occorre tenere presente un fatto. La proliferazione delle sanzioni economiche all’inizio degli anni ’90, dopo la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS, ha provocato notevoli reazioni negative, non solo negli Stati Uniti, ma anche alle Nazioni Unite e tra i partner commerciali degli Stati Uniti. L’”effetto boomerang” è diventato sempre più visibile. Questo effetto può essere amplificato solo nella misura in cui le sanzioni vengono adottate da un solo Paese, per quanto importante, o da un gruppo di Paesi che non rappresentano la comunità internazionale.
Jacques Sapir
Direttore di studi presso l’EHESS e docente presso la Scuola di Guerra Economica
Direttore del Centro per lo studio delle modalità di industrializzazione
Membre étranger de l’Académie des Sciences de Russie
[1] https://www.ohchr.org/en/unilateral-coercive-measures Voir aussi, Olson R.S., “Economic Coercion in World Politics: With a focus on North-South Relations” in World Politics, vol. 31, n°4, July 1979, pp. 471-494.
[2] Carpentier-Charlety E., « Le Mirage des Sanctions » in Fondation Jean Jaurès, March 30, 2022, https://www.jean-jaures.org/publication/le-mirage-des-sanctions-economiques/
[3] Bēlin M. and Hanousek J., “Making sanctions bite: the EU-Russian sanctions of 2014”, April 29th 2019, VoxEU – CEPR, https://www.consilium.europa.eu/fr/infographics/eu-sanctions-against-russia-over-ukraine/ . Voir aussi Van Bergeijk P.A.G., “Russia’s tit for tat”, April 25th, 2014, in VoxEU-CEPR, https://voxeu.org/article/russia-s-tit-tat et Ashford E., “Not-so-Smart Sanctions: The Failure of Western Restrictions Against Russia”, in Foreign Affairs, vol. 95, n°1, January-February 2016, pp. 114-120.
[4] Voir, https://www.consilium.europa.eu/fr/policies/sanctions/restrictive-measures-against-russia-over-ukraine/#economic ainsi que https://www.piie.com/blogs/realtime-economics/russias-war-ukraine-sanctions-timeline et https://finance.ec.europa.eu/eu-and-world/sanctions-restrictive-measures/sanctions-adopted-following-russias-military-aggression-against-ukraine_en
[5] Delbecque E. et Harbulot C., La guerre économique, Paris, ed. « Que sais-je ? », 2011, n° 3899
[6] Schmitt C., La notion de politique (1932), trad. M.-L. Steinhauser, Paris, Calmann-Lévy (Liberté de l’esprit), 1972, p. 66 et Schmitt C., « Éthique de l’État et État pluraliste » (1930), in Parlementarisme et démocratie, trad. J.-L. Schlegel, Paris, Seuil, 1988, p. 143-144.
[7] Daguzan J-F, Lorot P., (dir) Guerre et économie, Paris Ellipses, 2003
[8] https://portail-ie.fr/resource/glossary/95/guerre-economique
[9] Delbecque E. et Harbulot C., La guerre économique, op.cit.
[10] Harbulot C., L’art de la guerre économique : surveiller, analyser, protéger, influencer, Versailles, VA Éditions, 2018.
[11] Laïdi A., Aux sources de la guerre économique: Fondements historiques et philosophiques, Paris, Armand Colin 2012
[12] Laïdi, A., Histoire mondiale de la guerre économique, Paris, Perrin, 2020. Voir aussi, Crouzet F., La guerre économique franco-anglaise au XVIIIe siècle, Paris, Fayard, 2008.
[13] Oppenheim L., International law : a treatise, Clark, N.J, Lawbook Exchange, 2005 (1re éd. 1920), 799 p., 2 vol, p. 53. D’Amato, Anthony A. 1995. International Law and Political Reality: Collected Papers, p. 138
[14] Appelé « SLOC interdiction », et où SLOC signifie « Sea Lines of Communication”.
[15] On doit noter comme premier cas documenté le blocus naval exercé par Sparte contre Athènes, qui obligea cette dernière à se rendre. Boardman, John & Griffin, Jasper & Murray, Oswyn. 2001. The Oxford History of Greece and the Hellenistic World, p. 166.
[16] Cowley R., et G. Parker. The Reader’s Companion to Military History New York: Houghton Mifflin,1996.
[17] Coulomb F., « Pour une nouvelle conceptualisation de la guerre économique », in Jean- François Daguzan et Pascal Lorot (dir.), Guerre et économie, op.cit.
[18] Bali M., “The Impact of Economic Sanctions on Russia and its Six Greatest European Trade Partners: a Country SVAR Analysis”, in Finansy I Biznes [Finance & Business], Vol. 14 (n°2), 2018, pp.45-67; Bali M. & Rapelanoro N., “How to simulate international economic sanctions: A multipurpose index modelling illustrated with EU sanctions against Russia”, in International Economic, Vol. 168, December 2021, pp. 25-39; Giumelli, F.,– «The Redistributive Impact of Restrictive Measures on EU Members: Winners and Losers from Imposing Sanctions on Russia ». Journal of Common Market Studies, March 2017, pp. 1-19; Kholodilin, K. and Netsunajev, A., « Crimea and Punishment: The Impact of Sanctions on Russian and European Economies ». Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung DISCUSSION PAPERS, No. 1569, 2016.
[19] Coulomb F. et Matelly S., « Bien-Fondé et opportunité des sanctions économiques à l’heure de la mondialisation » in Revue Internationale et Stratégique, n° 97, 2015-1, pp. 101 – 110.
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[37] https://www.un.org/en/about-us/un-charter/chapter-7
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[39] « Déclaration relative aux principes du droit international touchant les relations amicales et la coopération entre les États conformément à la Charte des Nations unies », résolution 2625 (XXV), adoptée par l’Assemblée générale des Nations unies au cours de sa vingt-cinquième session, le 24 octobre 1970, https://www.un.org/french/documents/ga/res/25/fres25.shtml / https://treaties.un.org/doc/source/docs/A_RES_2625-Eng.pdf
[40] Galtung, J., “On the Effects of International Economic Sanctions: With Examples from the Case of Rhodesia” in World Politics 19 (April), 1967, pp. 378–416.
[41] https://www.lemonde.fr/archives/article/1966/12/07/londres-demande-a-l-o-n-u-de-decreter-des-sanctions-contre-la-rhodesie_2683412_1819218.html
[42] https://www.un.org/securitycouncil/sites/www.un.org.securitycouncil/files/fr/sc/repertoire/64-65/64-65_11.pdf
[43] https://www.un.org/securitycouncil/sites/www.un.org.securitycouncil/files/fr/sc/repertoire/64-65/64-65_11.pdf
[44] Avenel, Jean-David. « Introduction », Guerres mondiales et conflits contemporains, vol. 214, no. 2, 2004, pp. 3-6.
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[64] Note confidentielle du ministère de la Défense allemand, analysée dans Jürgen Elsässer, La RFA dans la guerre du Kosovo, chronique d’une manipulation, Paris, L’Harmattan, 2002, p. 48-51.
[65] Human Rights Watch, Under Orders – War Crimes in Kosovo, Genève, 2001, rapport consultable et téléchargeable sur http://www.hrw.org/reports/2001/Kosovo et Human Rights Watch, Civilian Deaths in the NATO Air Campaign, HRW Reports, vol. 12, n° 1 (D), février 2000, téléchargeable sur http://www.hrw.org/reports/2000/nato
[66] « The UN’s own damning verdict on its created civil defence force is fresh evidence of the failure of Special Representative Bernard Kouchner to establish the rule of law in Kosovo » (John Sweeney et Jens Holsoe, « Revealed : UN-backed unit’s reign of terror », The Guardian, dimanche 12 mars 2000)
[67] Pouligny-Morgant B., « L’intervention de l’ONU dans l’histoire politique récente d’Haïti : Les effets paradoxaux d’une interaction » in Pouvoirs dans la Caraïbe [En ligne], 10 | 1998, mis en ligne le 09 mars 2011, http://journals.openedition.org/plc/576
[68].« Kosovo sex industry », sur http://www.peacewomen.org/news/Losovo/newsarchives02/kosovose
[69] Voir Sapir J., “Wendet sich der Wirtschaftskrieg gegen Russland gegen seine Initiatoren?” in Stefan Luft, Sandra Kostner (Editors): Ukrainekrieg. Warum Europa eine neue Entspannungspolitik braucht, Frankfurt am Main, 2023, Westend-Verlag
[70] Adewale A.R., « Import substitution industrialisation and economic growth – Evidence from the group of BRICS countries” in Future Business Journal, n°3, 2017, pp. 138-158, p. 142-143. Mukherjee, S., “Revisiting the Debate over Import-substituting versus Export-led Industrialisation” in Trade and Development Review, 5(1), 2012, pp. 64–76. Berezinskaya, O., et Alexey V., Production import- and strategic import substitution mechanism-dependence of the Russian industry in Voprosy Ekonomiki n°1, 2015, pp. 103–15.
[71] Sapir J., « Assessing the Russian and Chinese Economies Geostrategically” in American Affairs, vol. VI, n°4, 2022, pp. 81-86.
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