La “battaglia del grano” tra Ucraina e Russia si arricchisce di sempre nuovi capitoli. Intanto prosegue, e anzi si acuisce, la contesa tra Unione Europea e Ucraina da un lato e alcuni Paesi europei dall’altro. Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria avevano ottenuto dalla UE un embargo temporaneo (fino al 16 settembre) contro il grano ucraino, che invadeva i loro mercati a prezzi ridotti, provocando il risentimento dei coltivatori locali. Le pressioni diplomatiche hanno convinto Bulgaria e Romania a riaprire i confini, mentre Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno chiesto alla UE un prolungamento dell’embargo almeno fino a fine anno. Non avendolo ottenuto, hanno deciso di attuarne uno da sole. L’Ucraina, colpita in un punto molto sensibile (l’agricoltura è, oggi, l’unico settore della sua economia che produce profitti) ha protestato, ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione mondiale del Commercio e ha minacciato un contro-embargo su alcune produzioni polacche. Risultato: all’Assemblea generale dell’Onu, il presidente ucraino Zelensky e quello polacco Duda hanno annullato l’incontro che avevano programmato. E Duda, parlando all’Assemblea, ha paragonato l’Ucraina a una persona che sta per annegare e rischia di far annegare anche chi cerca di soccorrerla. Non proprio un bel paragone. Nello stesso tempo, a Varsavia, il vice ministro degli Esteri Shimon Shinkovsky, alludendo alle prossime elezioni politiche e all’inquietudine degli agricoltori polacchi, dichiarava all’agenzia Pap: “Vogliamo continuare a sostenere l’Ucraina ma per farlo abbiamo bisogno del consenso dei polacchi. Se non lo avremo, non potremo aiutare Kyiv come prima”. A buon intenditor…
E poi, ovviamente più importante, c’è il contrasto sul grano con la Russia. Nel luglio di quest’anno il Cremlino ha disdetto il cosiddetto “accordo sul grano” (più ufficialmente Black Sea Grain Initiative) che aveva stipulato giusto un anno prima con l’Ucraina attraverso la mediazione ufficiale dell’Onu e quella ufficiosa della Turchia. La Russia lamenta che l’accordo ha funzionato in una sola direzione, permettendo l’esportazione del grano ucraino (preziosa fonte di introiti per Kyiv) ma non quanto era stato promesso alla Russia: l’esportazione dei fertilizzanti attraverso i porti occidentali e il reinserimento della Banca russa dell’agricoltura nel sistema Swift. Putin ha tenuto duro, sia nei confronti dell’Onu sia verso la Turchia, e l’accordo è ormai morto.
Ovviamente, la disdetta russa non ha solo fatto infuriare l’Ucraina ma anche provocato lo sdegno dell’Occidente, che l’accusa di voler provocare una carestia globale, soprattutto nei Paesi poveri dell’Africa. In realtà, come ha confermato lo stesso Erdogan al recente G20 di Nuova Dehli, le tonnellate (33 milioni) di grano ucraino esportate tra luglio 2022 e luglio 2023 sono andate in larga maggioranza a Paesi sviluppati, tra i quali anche l’Italia. Quindi, al netto della retorica inevitabile in tempi di guerra, la questione non è alimentare ma politica: si tratta di sostenere l’Ucraina aiutandola a vendere il grano e, nello stesso tempo, contrastare la Russia che, ovviamente, l’Ucraina vuole indebolirla.
Con la disdetta dell’accordo, la Russia ha dichiarato che le navi mercantili in viaggio da e per i porti ucraini sul Mar Nero avrebbero potuto essere considerate obiettivi militari. E ha cominciato a bombardare i porti ucraini sia sul Mar Nero sia sul Danubio: secondo le fonti ufficiali ucraine, nei dieci giorni dopo la disdetta Mosca ha bombardato 26 strutture portuali e cinque navi civili e ha polverizzato 180mila tonnellate di grano.
Così l’Ucraina, con la collaborazione degli alleati occidentali che assicurano sorveglianza e copertura aerea, ha “costruito” un corridoio del grano alternativo (vedi foto) che l’Ucraina ha chiesto all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) di ratificare. Il 17 agosto la “Joseph Schulte”, battente bandiera di Hong Kong, è partita da uno dei tre porti (Chernomorsk, Odessa e Yuzhny) coinvolti nel nuovo corridoio. La nave era bloccata in porto dal giorno dell’invasione russa. Si trattava con ogni evidenza di un esperimento, tanto più che le autorità ucraine chiedono ai capitani una lettera di piena assunzione delle responsabilità per un viaggio. Ma adesso il movimento si intensifica: il 16 settembre i mercantili “Aroyat” e “Resilient Africa”, che battono bandiera di Palau (un piccolo Stato insulare del Pacifico, indipendente dal 1994), sono partiti da Chernomorsk verso lo Stretto del Bosforo con circa 20 mila tonnellate di grano a bordo che gli ucraini dicono dirette soprattutto verso l’Egitto.
Ciò che resta da capire è quanto profitto l’Ucraina potrà trarre da questo corridoio alternativo, cioè quanto grano sarà realmente in grado di esportare. E come proverà a reagire la Russia, che è sì riuscita a danneggiare l’Ucraia ma non a ottenere quanto si proponeva alla disdetta dell’accordo sul grano.
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