Elezioni in Slovacchia e blocco degli aiuti americani: vacilla il sostegno militare a Kiev
da L’INDIPENDENTE (Giorgia Audiello)
La vittoria del partito socialdemocratico slovacco Smer – DS, fondato da Robert Fico, minaccia di incrinare l’asse europeo nella lotta contro la guerra innescata dal Cremlino contro l’Ucraina. Fico – capo del partito che ha appena vinto le elezioni con il 23,3% dei voti – aveva recentemente dichiarato, infatti, che la Slovacchia non avrebbe inviato «un solo proiettile» all’Ucraina se il suo partito fosse salito al potere, caldeggiando piuttosto i colloqui di pace tra le due parti in conflitto. Il capo dello Smer, che ha esordito in politica nel Partito comunista verso la fine degli anni Ottanta, ha dato priorità ai problemi interni del Paese, asserendo che la Slovacchia «ha problemi maggiori che non l’Ucraina». Ma quella di Bratislava non è l’unica crepa nel fronte occidentale che sostiene l’Ucraina: anche oltreoceano, infatti, i repubblicani hanno cominciato a puntare i piedi contro gli aiuti indiscriminati a Kiev: proprio ieri, infatti, negli USA è stato evitato il cosiddetto “shutdown” – ossia la paralisi delle attività statali americane – grazie ad un accordo tra democratici e repubblicani che garantisce i fondi per i prossimi 45 giorni. In cambio però, i repubblicani hanno temporaneamente bloccato i sei miliardi di dollari destinati agli aiuti all’Ucraina: un chiaro segnale del fatto che una parte della politica americana non è più disposta a sostenere Kiev staccando «assegni in bianco», secondo l’espressione usata dall’oratore conservatore della Camera, Kevin McCarthy.
Nonostante le dimensioni e il peso ridotto della Slovacchia all’interno dell’UE, la svolta radicale di Fico potrebbe modificare gli equilibri interni ed esterni del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – V4), avvicinando il Paese all’Ungheria di Orban e aumentando invece le distanze con i Paesi più “russofobi” come la Polonia. Bratislava, infatti, che condivide il confine orientale con l’Ucraina, è stata una dei suoi più strenui sostenitori sin dall’inizio del conflitto, profilandosi come la prima nazione ad inviare missili di difesa aerea e jet da combattimento all’inizio di quest’anno e come uno dei maggiori donatori europei di Kiev in proporzione alle dimensioni della sua economia. Si tratta, dunque, di una svolta importante nella politica estera del Paese: Fico ha espresso la volontà di «avere buone relazioni con tutti i Paesi del mondo, compresa la Federazione Russa», etichettando i suoi avversari filoccidentali come «guerrafondai». Tuttavia, le posizioni del capo di Smer risultano contraddittorie: in passato aveva, infatti, accolto l’adozione dell’euro da parte della Slovacchia come una «decisione storica significativa», per poi prendere di mira UE, NATO e Ucraina durante la campagna elettorale col chiaro obiettivo di raccogliere consensi. In ogni caso, si è dichiarato contrario all’adesione di Kiev alla NATO e ha sostenuto apertamente che il conflitto è stato innescato nel 2014, «quando i fascisti ucraini hanno cominciato a uccidere vittime civili di nazionalità russa».
Ma a destabilizzare ulteriormente la compattezza del fronte anti-Cremlino è la stessa posizione della Germania che sta cercando dietro le quinte, soprattutto sul fronte energetico, di ristabilire i contatti con Mosca. Una posizione confermata dal premier polacco Mateusz Morawiecki che ha messo in guardia l’Ucraina dallo stabilire una stretta alleanza con la Germania, in un discorso tenuto ieri a un convegno politico. «Sembra che avrà ora una stretta alleanza con la Germania; lasciatemi avvisarlo: Berlino vorrà sempre cooperare con i russi al di sopra dei paesi dell’Europa centrale» ha avvertito il capo polacco rivolgendosi direttamente a Zelensky. Da mesi, infatti, alcune aziende energetiche tedesche hanno ripreso parzialmente il commercio con la Russia, suscitando diverse critiche. Tra queste, c’è la società SEFE, ex unità del colosso russo del gas Gazprom PJSC che prevede di caricare il GNL prodotto dall’impianto di Yamal in Siberia all’inizio del prossimo mese, secondo quanto riportato da Bloomberg. La Germania ha nazionalizzato la società lo scorso anno al culmine della crisi energetica europea.
Parallelamente, la situazione al fronte ha visto una sostanziale debacle della controffensiva di Kiev, mentre la Russia si sta preparando a un’altra grande offensiva: ha concentrato, infatti, più di 10.000 militari effettivi a Bakhmut, con reggimenti di carri armati, gruppi motorizzati e aviotrasportati. Lo ha dichiarato il capo del servizio stampa del Gruppo orientale delle Forze armate ucraine Ilya Yevlash a United News, come riportato da Ukrinform. Una ragione in più che ha spinto Joe Biden ad ammonire la Camera dei rappresentanti sostenendo che la negoziazione di un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina è «urgente» e che il sostegno economico e militare statunitense all’Ucraina «non può essere interrotto in nessuna circostanza».
Sia il blocco temporaneo degli aiuti a Kiev da parte dei conservatori USA, sia la vittoria di un partito considerato “filorusso” in Slovacchia fanno trapelare la stanchezza nei confronti di un conflitto che si trascina ormai da troppo tempo senza risultati determinanti, ma soprattutto con un costo altissimo per gli Stati europei, Germania in testa. Allo stesso tempo, anche una parte consistente dell’elettorato americano comincia a mal tollerare il costante invio di aiuti all’Ucraina. Nonostante ciò, con ogni probabilità, l’Occidente continuerà a sostenere l’Ucraina, ma le prime crepe nel fronte antirusso si sono aperte e nel tempo non potranno che accentuarsi spingendo verso una risoluzione diplomatica del conflitto, l’unica via d’uscita concreta che si è profilata come tale fin dall’inizio dei combattimenti.
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