Pneumatici e cassonetti bruciati, barricate lungo le strade di Ramallah, bottiglie annerite dalle fiamme e pietre sparse ovunque sull’asfalto. Intorno tutto chiuso per lo sciopero generale e i tre giorni di lutto nazionale. Questa scena tipica dei giorni dell’Intifada contro Israele non è il risultato solo della rabbia e dello sgomento di migliaia di palestinesi per le 500 vittime dell’ospedale Ahli Arab di Gaza city.
È il risultato di una protesta come mai si era vista in Cisgiordania contro l’Autorità nazionale palestinese e il suo presidente Abu Mazen. Proteste che continuano e che ieri a Ramallah hanno visto l’uccisione di due adolescenti palestinesi per mano dell’esercito israeliano (64 gli uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme da sabato 7 ottobre). Ma il fatto più grave è accaduto a Jenin: la polizia dell’Anp avrebbe ucciso una12enne, Razan Otba Hamdi Turkman, durante la repressione delle proteste. Ne abbiamo parlato con l’analista politico Hamada Jaber a Ramallah.
Come dobbiamo leggere le proteste di massa di martedì sera contro l’Anp? Reazione al massacro di Gaza o segnale di una sollevazione in preparazione contro Abu Mazen?
Come una conferma di ciò che osserviamo da tempo. Il consenso per l’Anp e per il suo presidente ha toccato il punto minimo. L’altra sera ho visto scene e ascoltato frasi pronunciate da persone comuni che dimostrano la distanza esistente tra i vertici dell’Anp e la popolazione. Ovunque i manifestanti hanno scandito slogan contro Abu Mazen e per la sua rimozione immediata. In un video un membro delle forze di sicurezza dell’Anp annuncia che lascerà il suo incarico ed entrerà nella resistenza. Non ne sono sorpreso, era inevitabile. Abu Mazen è rimasto in silenzio per giorni di fronte all’offensiva israeliana contro Gaza. In passato, in altre situazioni delicate politicamente, almeno annunciava l’interruzione del coordinamento di sicurezza con Israele. Nessun palestinese ha mai creduto che a quelle parole poi seguissero azioni concrete, però erano un segnale alla popolazione. Stavolta neanche quello nonostante l’uccisione nei bombardamenti di migliaia di civili a Gaza. E qualche giorno fa, in un comunicato, Abu Mazen ha puntato il dito contro Hamas sfidando l’opinione della maggioranza dei palestinesi sul movimento islamista che ora è al massimo della popolarità. Le sue parole riportate in un primo momento dall’agenzia di stampa ufficiale Wafa sono state eliminate.
Siamo vicini a una rivolta aperta contro l’Anp? Abu Mazen sembra averlo temuto martedì quando era ad Amman. Ha annullato la sua partecipazione al vertice con Joe Biden organizzato da re Abdallah per tornare subito a Ramallah.
Non è facile dirlo. Nessun partito o movimento organizzato ha rivolto finora appelli alla sommossa contro l’Anp. Non l’ha fatto neppure Hamas che, come dicevo, in questo momento ha dalla sua parte una larga porzione di palestinesi. Potrebbe farlo ma rischia di affrontare la reazione delle forze di sicurezza dell’Anp e forse anche di Israele. Nei giorni scorsi sono state arrestate circa 500 persone ritenute vicine al movimento islamico e ad altre forze di opposizione. Al momento la popolazione della Cisgiordania non ha una organizzazione di riferimento per una rivoluzione vera e propria. Ma la situazione è molto fluida.
Più parti sono convinte che le forze di sicurezza restino il pilastro della solidità dell’Anp. Vede fratture in tali apparati?
L’altra sera la polizia e i reparti antisommossa sono scesi in strada a contenere e poi reprimere le proteste, mostrando compattezza. Tuttavia nessuno può escludere riflessi nei ranghi degli apparati di sicurezza nel caso in cui giungesse una chiamata all’insurrezione da parte di questa o quella formazione politica. Specie se avverranno nuovi massacri a Gaza e l’occupazione militare israeliana di quel territorio. Penso che l’Anp stia vacillando ma non sia sul punto di cadere.
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