Mozione del Direttivo RI sulla strategia di formazione di un’alleanza per la partecipazione alle elezioni politiche del 2027 (per l’Assemblea nazionale del 26 novembre 2023)
MOZIONE DEL COMITATO DIRETTIVO DI RI
SULLA STRATEGIA DI FORMAZIONE DI UN’ALLEANZA
PER LA PARTECIPAZIONE ALLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2027
PREMESSA
Il tema sul quale siamo chiamati a deliberare richiede una breve ricostruzione della nostra storia e alcune osservazioni sull’esperienza maturata in occasione delle elezioni politiche del 2022. La ricostruzione e le osservazioni sono utili sia a noi, come premesse della delibera, sia a chi, senza conoscere la nostra storia, si imbatterà nella nostra assemblea romana del 2023 o almeno nella presente mozione.
Anzi, dobbiamo considerare questa mozione come un biglietto da visita che consegneremo a gruppi, a divulgatori, a studiosi e a intellettuali che non ci conoscono. Perciò non pochi paragrafi che narrano la nostra storia saranno per noi addirittura inutili e ridondanti, sebbene utili agli estranei che leggeranno la mozione.
IL PROGETTO INIZIALE
Fin dalla nascita dell’associazione (allora ARS), nel 2012, abbiamo sempre desiderato essere, e scritto negli atti ufficiali di voler essere, soltanto una frazione del tutto, una componente della futura alleanza politica che si sarebbe candidata alle elezioni del 2023, poi svoltesi nel 2022.
Questo principio fondativo dimostra che abbiamo sempre avuto un progetto di lungo periodo, che, ad essere sinceri, nel 2012 prevedeva due fasi di 3 anni con ipotetica possibilità di promuovere l’alleanza nel 2018, ma che, già nel 2013, nell’assemblea annuale svolta a Pescara, ci apparve da allungare a due fasi di 4 anni, con possibilità di promuovere l’alleanza soltanto in vista delle elezioni del 2023 (poi svolte nel 2022).
Il carattere di lungo periodo del progetto dipendeva da due fattori.
In primo luogo, il tempo che sarebbe stato necessario a noi, per dar vita a una forza politica di un migliaio di persone – nel 2013, nell’assemblea di Pescara, ipotizzammo che, sotto il profilo del numero di militanti, un’ottima frazione sarebbe stata composta da 1500 militanti. I nostri militanti avrebbero dovuto avere certe caratteristiche, sia ideologiche che psicologiche o caratteriali, considerate da noi fondamentali e imprescindibili: non ci interessavano tutti i contestatori dell’Unione Europea, della NATO e del neoliberalismo. Gli altri, quelli che non ci interessavano, potevano dar vita o aderire ad altre formazioni, diverse dalla nostra. Poi ci saremmo alleati.
In secondo luogo, il tempo che sarebbe stato necessario ad altri gruppi, per riuscire non soltanto a promuovere ma anche a consolidare e radicare nei territori altre componenti dell’alleanza.
LE ELEZIONI POLITICHE DEL SETTEMBRE 2022
In quale situazione ci siamo venuti a trovare nel marzo 2021, quando l’assemblea virtuale (l’assemblea fisica era impedita dalla normativa incostituzionale) di Riconquistare l’Italia (RI) incaricò il Comitato Direttivo di promuovere la formazione di un’alleanza elettorale? Consideriamo prima la nostra componente. Poi i potenziali alleati.
Noi eravamo in grado di mettere a disposizione circa 500 militanti – gli iscritti erano di più ma gli iscritti non contano, anzi gli iscritti non militanti ingannano: contano i militanti; per questa ragione noi abbiamo sempre avuto un basso rapporto tra iscritti e militanti -, non pochi dei quali capaci, se candidati, di farsi aiutare sul territorio da parecchi amici e conoscenti estimatori, i quali riconoscevano che quei militanti, per anni, erano stati coerenti, precursori della critica all’Unione europea, e attivi sul territorio.
Eravamo poi in grado di raccogliere almeno 30.000 sottoscrizioni, ossia quasi la metà di quelle necessarie per presentare la candidatura delle liste in tutti i collegi della Camera e più della metà di quelle necessarie per candidarsi in tutti i collegi del Senato. E ciò perché possedevamo una notevole esperienza e conoscenze di tipo giuridico-amministrativo, che avevamo maturato candidandoci in sei elezioni regionali e in una suppletiva al Senato, nelle quali ci eravamo candidati esclusivamente per imparare e per sapere fare. In alcune di queste elezioni un numero limitatissimo di militanti ha fatto miracoli (per esempio quasi 5000 sottoscrizioni raccolte, in 3 circoscrizioni su 5, nelle regionali del Lazio del 2018, da parte di 25 militanti).
Avevamo molti militanti che sarebbero stati ottimi candidati locali, per le maturate capacità di parlare in pubblico (in rete si trovano video di almeno 50 nostri militanti che parlano in pubblico).
Eravamo in grado di garantire agli alleati la nostra affidabilità, visto che stavamo assieme da dieci anni.
Infine, avevamo quasi 200 pagine di importanti documenti, dedicati a innumerevoli argomenti, che potevano costituire la base di un programma di valore; e potevamo persino rivendicare – google era ed è testimone – che avevamo inventato noi i neologismi “sovranismo” e “sovranista”, che tanta fortuna hanno avuto, addirittura nel mondo, (purtroppo) soprattutto presso chi ha inteso distorcerne i significati, per appropriarsi della qualifica o per offendere chi se ne appropriava.
Eravamo, insomma, non un’ottima componente, mancando i numeri, ma certamente una componente più che buona. E in realtà, alla stregua di ciò che avremmo scoperto dopo, in occasione delle elezioni – segnatamente che, per candidarsi in tutto il territorio nazionale, sono sufficienti 1500 militanti, ben coordinati ed addestrati – persino una componente ottima.
Cosa c’era, invece, attorno a noi?
Il deserto di associazioni politiche che possedessero i requisiti richiesti nel nostro Statuto.
Per Statuto noi avremmo dovuto allearci soltanto con organizzazioni:
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che esistessero da alcuni anni, quindi che avessero dimostrato di saper durare;
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che avessero fatto esperienze in elezioni comunali e regionali e quindi che non fossero gruppi di teorici o di ideologi ma di militanti;
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che non avessero subito significative scissioni, dimostrando di essere composte da militanti fedeli allo statuto e non da narcisi e nevrotici attivisti;
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che non fossero composte da seguaci di una persona bensì da militanti felici di stare in una comunità, per quanto piccola, che si riconosce in un atto costitutivo, in uno statuto, in un progetto e in un linguaggio.
Ma con queste caratteristiche non c’era nessuna organizzazione politica.
Quasi tutte le associazioni politiche, o anche soltanto politico-culturali, che erano sorte nel decennio, e che avevano punti in contatto con noi, nel giro di qualche mese o al massimo di un paio di anni erano morte oppure ormai esistenti soltanto sulla carta (da MPL a Sinistra contro l’euro, da Senso Comune a Nuova Direzione, da Riscossa ad ALI, ad altre ancora minori). A/Simmetrie, invece, resisteva ma aveva scelto il campo avversario. Dalla diaspora del M5S non era sorta alcuna organizzazione politica che intendesse fondare la propria azione politica sull’anti-unionismo, sull’anti-atlantismo (o occidentalismo) e sull’anti-neoliberalismo. Gli studenti e divulgatori della MMT si erano dispersi in una decina di rivoli e nessuno aveva voglia di svolgere attività politica (salvo singoli che davano una mano a noi).
Quindi, avevamo di fronte soltanto due associazioni culturali, Darsi Pace di Marco Guzzi e Aleph di Mauro Scardovelli, forse caratterizzate da eccessivo personalismo e quindi mancanti dell’ultimo requisito, ma almeno dotate di una lunga storia, di solidità e di organizzazione. Contattammo le due associazioni culturali, per verificare se avessero voluto dare un contributo ad un’azione politica, ma i presidenti delle due associazioni non erano interessati a partecipare all’azione politica. Esse avevano a lungo chiesto l’“unione” ma questa unione, evidentemente, era per loro soltanto unione di controinformazione, unione in convegni, o, al più, unicità del mezzo di comunicazione. L’unione politica non li interessava e anzi non avevano interesse nemmeno a dare un contributo ad una alleanza politica, in vista delle elezioni nazionali.
Se avessimo deciso di rispettare lo Statuto avremmo dovuto passare, prendendo atto che non c’erano alleati. Ma decidemmo di esperire un tentativo, che non era quello sperato per anni, bensì, il meno modesto tra quelli possibili: se l’azione ci avesse portato in Parlamento avremmo ottenuto un risultato parziale; se avessimo fallito, avremmo comunque imparato molte cose.
Scartammo il CLN di Mattei, perché per dieci anni avevamo criticato, preso in giro e anche, ammettiamolo, offeso, tutti coloro che, spessissimo, avevano tentato di creare CLN o CNL. Per noi un gruppo di persone serie crea un’associazione che è una delle componenti del futuro CNL e dimostra per un po’ di anni cosa sa fare: che documenti sa elaborare; quanto sa durare; di non subire scissioni; di avere militanti di valore. Poi questa organizzazione si allea con altre. Avevamo sempre osservato che nella riunione che diede vita nel 1943 al CLN erano presenti 8 persone in rappresentanza di sei partiti (due partiti erano rappresentati da due persone). Il CLN si crea in mezza giornata se ci sono le sei organizzazioni che si alleano. Invece chi, senza aver a lungo militato, senza aver dato vita ad alcuna realtà collettiva duratura, solida, radicata e umile, pretende di mettersi al centro di un (preteso) variegato movimento, proponendo un CLN, nella migliore delle ipotesi è un ingenuo e nella peggiore un egoista opportunista manipolatore, che vuol darsi un ruolo che non gli spetta. Questo avevamo sempre detto e perciò non potevamo cercare di entrare in pretesi CLN che, lungi da essere semplici sigle di alleanze, pretendevano di essere il vertice del tutto (il vertice di un CLN è costituito da un organo che riunisce i capi delle fazioni alleate; oltre le fazioni alleate, non c’è niente): i CLN, come le alleanze, non hanno organi, salvo quelli rappresentativi dei partiti e delle associazioni che li compongono.
Avemmo a lungo contatti con quella parte del movimento di contestazione della gestione pandemica – del quale avevamo fatto parte, sebbene avessimo evitato di partecipare alla gara per la visibilità (che non era nelle nostre corde) – che reputavamo fosse a noi più vicina, sia perché pressoché priva di reazionari (dichiarati o nascosti), sia perché diffusamente anti-unionista: il variegato mondo del Fronte del Dissenso. Tuttavia si trattava pur sempre di parte di un movimento. Era movimento. Ancora il I maggio del 2022 eravamo con loro in piazza a Padova. Ma il loro metodo prevedeva che le piazze scegliessero i candidati. A nostro avviso, invece, semmai si fosse proceduto con tale metodo, in buona parte, i candidati sarebbero stati i maggiori imbonitori; i peggiori moralisti; coloro che, saliti sul palco, anziché svolgere ragionamenti, avevano parlato al sentimento morale e alla rabbia, apparendo campioni dell’indignazione; gli attivisti nevrotici, agitatisi per due anni, che avevano dormito nei precedenti otto anni e che sarebbero tornati a dormire finita l’onda del movimento. E per la restante parte, sarebbero stati narcisi intellettuali e semicolti, psicologicamente avversi alla militanza e alla comunità e quindi alla disciplina di partito. Un metodo, al livello (bassissimo) delle parlamentarie del M5S, che ci era e ci è radicalmente estraneo, credendo noi che l’Italia abbia bisogno di un grande partito (non necessariamente un partito grande come iscritti; anzi) democratico, popolare e sociale o socialista, il quale è grande se è strumento di selezione di valida classe dirigente (altrimenti non vale a niente e non serve a niente, come la storia, dimostra). E poi un metodo che secondo noi – e lo scrivemmo –, nelle condizioni date, non poteva mai riuscire a formare l’alleanza, e che, perciò, non sarebbe stato mai applicato per la sua assurdità. E così fu. Coloro che proponevano un simile metodo (CLN e Fronte del Dissenso) non entrarono in nessuna delle due coalizioni del dissenso (la nostra ISP, e VITA) e, non casualmente ma del tutto logicamente, come noi avevamo previsto, restarono fuori dalla contesa elettorale, finendo, addirittura, per far propaganda per l’astensionismo. Il movimentismo è latrina che sta nel sangue e nel carattere, prima che nel cervello.
Quindi ripiegammo su ciò che c’era. Dopo aver ricevuto un “no” da Ancora Italia – partito ancora fluido, del quale nemmeno alcuni dirigenti conoscevano lo Statuto (e lo dichiaravano anzi se ne vantavano), che nasceva da una recente scissione, tutto fondato sulla visibilità di persone che sulla rete avevano acquisito una qualche notorietà (insomma esattamente l’opposto di ciò che doveva essere un alleato secondo il nostro statuto) – andammo da Rizzo. Il partito di Rizzo non era una nuova realtà e soprattutto era un partito personale (sebbene esistesse da una decina di anni pressoché nessuno aveva mai ascoltato in pubblico militanti e dirigenti: quasi sempre Marco Rizzo) ma almeno aveva capacità organizzative e nella raccolta firme. Molto debole, invece, si sarebbe rivelato per la qualità media dei candidati.
Ottenuto il consenso del PC e formata un’alleanza a due, rivolgemmo assieme una proposta a Francesco Toscano, presidente di Ancora Italia, che, credendo ciecamente (solo) nella visibilità, aderì alla proposta, evidentemente per la presenza di Marco Rizzo (visto che aveva rifiutato la nostra proposta precedente). E così ebbe vita ISP (Italia Sovrana e Popolare), associazione composta da 3 persone: Stefano D’Andrea, allora presidente di RI, Marco Rizzo, e Francesco Toscano, ciascuno, di fatto, in rappresentanza del partito di appartenenza, i quali, per Statuto, avrebbero dovuto decidere tutto all’unanimità.
Raccogliemmo più di 75.000 sottoscrizioni in venti giorni di agosto ma il risultato non fu quello augurabile: 1,24% anziché il 3% da noi sperato (ma ci conosceva soltanto una parte limitata degli elettori e la visibilità di Rizzo risultava ingombrante e dannosa: avrebbe dovuto restare nascosto) o il “risultato a due cifre” ingenuamente sperato (almeno per parecchio tempo) dagli alleati, auto-ingannati dalla (immaginata) visibilità.
L’ANNO SUCCESSIVO ALLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2022
Astrattamente l’esperienza di ISP avrebbe potuto essere sviluppata, sebbene Ancora Italia avesse subito una scissione di portata enorme subito dopo le elezioni.
Tuttavia vi era dissenso radicale tra RI, da un lato, e AI e PC dall’altro.
AI e PC volevano creare una organizzazione di organizzazioni, qualcosa come l’Unione Europea. La funzione oggettiva delle organizzazioni di organizzazioni è, non può non essere, e in tutte le esperienze storiche è sempre stata, quella di far fuori le organizzazioni, concentrando il potere in poche persone, sia che chi propone l’organizzazione di organizzazioni ne sia consapevole, sia che non ne sia consapevole. L’organizzazione di organizzazioni decide a maggioranza. L’Unione Europea, nelle materie in cui decide a maggioranza, ne è l’esempio macroscopico. In genere, vengono ammesse piccolissime o apparenti (e in realtà inesistenti) organizzazioni proprio al fine di creare una maggioranza.
In secondo luogo, i rappresentanti delle organizzazioni che vogliono rispettare i militanti e le deliberazioni dell’assemblea della loro organizzazione, hanno necessità di un ritmo di decisione molto lento, mentre coloro che “rappresentano” organizzazioni inesistenti o personalistiche sono capaci di assumere una decisione al giorno.
In terzo luogo, le organizzazioni che vengono messe spesso in minoranza sono costrette, prima o poi, ad andar via (quando si tratta di alleanze tra partiti; nelle alleanze tra Stati si sta in balia di altri Stati).
Queste disfunzionalità della organizzazione di organizzazioni erano state sempre da noi denunciate. L’organizzazione di organizzazioni non può mai funzionare, se lo scopo è collettivo (e non personale).
Ci fu detto che il principio dell’unanimità a 3 dava l’idea della chiusura, mentre il principio maggioritario avrebbe consentito di far entrare alcune persone, individuate con nome e cognome, e ciò avrebbe dato l’idea dell’apertura. Rispondemmo che la struttura che ci eravamo dati ci aveva consentito di allearci e di candidarci in tutta Italia e dunque era risultata valida. Quindi conveniva sperimentarla in alcune elezioni regionali e comunali. Una struttura si sceglie per l’efficienza, non perché dia una certa idea. Chi sceglie una struttura perché dia una certa idea è vittima della sua comunicazione e alla fine crede che ciò che conti davvero non siano la struttura e lo Statuto ma l’avere le leve del comando. Crede nelle persone, non nel partito. Rispondemmo anche che c’era tempo per verificare se queste persone rappresentavano gruppi omogenei e solidi di militanti o soltanto se stesse. Dopo che qualche gruppo avesse dato prova di esistere, di fornire militanti, di credere nel progetto, di umiltà, di capacità, e di disciplina, all’unanimità, come previsto nello Statuto, una persona poteva anche entrare. Ma la nostra era e doveva rimanere un’alleanza, perché eravamo diversi e applicare il principio dell’unanimità in 3 è possibile, in 4 è difficile e in 5 è difficilissimo e in 6 è impossibile. Rispondemmo, infine, che l’apertura ad altri gruppi si poteva manifestare nelle candidature nelle regionali e nelle comunali: si poteva essere generosi dando a tutti qualcosa di più di ciò che davano, purché avessero prima dato qualcosa.
Fummo accusati di essere burocratici e legulei e ci dissero che non avevano nemmeno letto lo Statuto (o almeno non avevano riflettuto sul contenuto dello Statuto) che avevano sottoscritto dal Notaio. Replicammo che lo Statuto di un partito è tutto e che è grave non riflettere su ciò che si firma, perché ciò rivela che si crede solo in sé stessi e che si crede di avere il diritto o la forza di rompere i patti e di imporne di nuovi quando si vuole.
Infine, noi volevamo candidare alle elezioni regionali e in alcune comunali eccellenti militanti, dei tre partiti, per farne emergere il valore, mentre Rizzo e Toscano sostenevano che dovessimo candidare soltanto persone già note, tra le quali un ex senatore pentastellato che poi ha lasciato la loro alleanza. Una tesi che a noi sembrava una follia: un nuovo movimento si caratterizza per volti nuovi; i volti vecchi danneggiano gravemente.
Ma la divergenza non stava soltanto nelle idee e nel modo di pensare bensì nei caratteri. Fu detto a Stefano D’Andrea: o ci dai il consenso alla modifica dello Statuto o noi cambiamo nome e ce ne andiamo. L’assemblea romana di RI del 2022 decise che non sarebbe stato dato nessun consenso: o Rizzo e Toscano avrebbero lavorato per dare attuazione allo Statuto o si metteva fine ad ISP. Rizzo e Toscano decisero di mettere fine a ISP. E così avvenne per accordo dei tre soci (D’Andrea, Rizzo e Toscano).
Né Alternativa, con un suo rappresentante, né Patria Socialista con il suo, né un rappresentante di Azione Civile – insomma, coloro che avremmo dovuto far entrare nella organizzazione di organizzazioni che avrebbe deciso a maggioranza – decisero di entrare nell’organo direttivo della nuova struttura creata da Rizzo e Toscano. Anzi, coloro che ci avevano aiutati durante le elezioni, andarono via dall’alleanza. Il fantomatico allargamento, dunque, non vi è stato. Né il nuovo soggetto di Rizzo e Toscano si candidò alle regionali del Lazio o della Lombardia o del Molise. Tentò di candidarsi nelle regionali del Friuli-Venezia Giulia ma non riuscì a raccogliere le sottoscrizioni necessarie. Promosse la raccolta di sottoscrizioni a sostegno di un referendum contro la guerra in Ucraina ma fallì l’obiettivo e non depositò le firme raccolte, in modo che si potesse sapere quante fossero. Infine, si candidò in Trentino, dove avevamo preso molti voti e c’era concreta possibilità di eleggere, prendendo meno della metà della percentuale di voti ricevuta da ISP al Senato in Trentino un anno prima. Incredibile – ma solo per chi non conosce Rizzo e Toscano – la scelta di candidare come presidente della provincia Marco Rizzo, anziché il dottore che aveva preso moltissimi voti nel 2022 (oltre il 6% nel suo collegio), collocato invece come capolista per eleggere Marco Rizzo. È evidente che quella persona, che infatti alle elezioni provinciali ha ottenuto oltre 1700 preferenze personali, doveva essere il candidato presidente e doveva essere incaricata di formare la lista un anno prima delle elezioni (a suo sostegno si sarebbero candidate più persone capaci di prendere voti che non a sostegno di Rizzo). Ma questo era il progetto che avevamo proposto a distanza di soli 15 giorni dalle elezioni politiche (tre candidati, uno di RI, uno di AI e uno del PC e due esterni nelle cinque regionali). Invece il loro metodo era che alle regionali si dovessero candidare soltanto personaggi “noti”. Come tutti oggi devono ammettere un progetto privo di senso pratico e di valore. Insomma un fallimento completo su tutta la linea, ampiamente prevedibile in considerazione della radicale incapacità dimostrata nella vicenda testé narrata.
Noi, invece decidemmo di riposare per un anno, salvo l’impegno di alcuni soci nella diffusione del canale del Centro Studi sulla Costituzione e sulla Prima Repubblica, e di lasciare che il tempo dimostrasse che l’alleanza elettorale che noi avevamo promosso, con il suo statuto e fondata sull’unanimità, aveva prodotto dei risultati parziali, che avrebbero potuto essere sviluppati da persone capaci, mentre l’alleanza fondata sulla visibilità e sul potere di decisione di due persone non avrebbe prodotto nessuna aggregazione e nessun risultato. E così fu.
OSSERVAZIONI PRELIMINARI ALLA DELIBERA
Tanto premesso, ci troviamo oggi a deliberare sulla strategia di promozione e formazione dell’Alleanza politica democratica, popolare e sociale che dovrà candidarsi alle elezioni politiche del 2027, sulla base non soltanto delle idee strategiche e di azione che abbiamo sempre professato, ma anche dell’esperienza fatta in ISP e prima che ISP fosse formata. Ci sembra che complessivamente si debba tener conto dei seguenti insegnamenti, principi e considerazioni:
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non è possibile prevedere che RI si allei esclusivamente con organizzazioni politiche, e ancor più esclusivamente con organizzazioni politiche che abbiano talune caratteristiche, perché l’esperienza insegna: che le persone che intendono partecipare a organizzazioni politiche sono poche; che le organizzazioni costituite difficilmente durano uno o due anni; che non vi è nessuna certezza che tra qualche anno esistano consistenti organizzazioni politiche e addirittura che esistano con talune caratteristiche. Bisognerà dunque coinvolgere anche associazioni culturali, gruppi che fanno informazione e divulgazione, studiosi, gruppi di studiosi o intellettuali;
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non è possibile rinviare l’inizio della formazione dell’alleanza a un momento lontano (uno o due anni dalle elezioni). Quella strategia aveva un senso quando la premessa era che dovessimo allearci con organizzazioni politiche con determinate caratteristiche e pertanto dovevamo attendere che si formassero e dimostrassero di essere solide e di sapersi radicare. Nella nuova prospettiva, l’azione volta a cercare il primo alleato andrà svolta con immediatezza, non essendovi ragione per attendere;
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ovviamente, è impensabile che l’alleanza si crei sedendosi in dieci o venti attorno a un tavolo. Questo è il metodo suggerito da tutti gli ingenui e da tutte le persone prive di spirito pratico. Ma nonostante sia stato proposto, nel nostro ambiente, decine di volte, non ha mai trovato attuazione, in campo politico come in altri campi. E non, “a causa dei personalismi”, come credono gli ingenui, bensì perché è un metodo assurdo, sostenuto da uomini che non sanno cosa sia la concretezza dell’azione, da persone che nella vita non hanno creato nulla dal punto di vista pratico ma in fondo anche da persone incapaci di considerazioni elementari come quelle che si possono trarre da questo esempio: se un attore teatrale vuol metter su una compagnia teatrale cosa fa? cerca un altro attore e poi assieme a lui un terzo e poi assieme ai tre un quarto o convoca una serie di amici e conoscenti per sedersi tutti attorno a un tavolo? E se un musicista vuol creare un gruppo musicale? E così in tutti i campi. Soltanto assemblearisti impolitici, con l’ingenuità da studenti di liceo, possono credere che il metodo sia sedersi tutti attorno a un tavolo. Le elezioni del 2022 hanno dimostrato che le alleanze che si sono formate sono tutte sorte da un’azione di aggregazione progressiva: un gruppo si associa con un altro gruppo; i due gruppi si associano a un terzo e così via. Poi, attorno ai gruppi più consistenti, vengono a collocarsi gruppi meno consistenti o meno diffusi o singoli divulgatori, studiosi o intellettuali. Ma non serve l’esperienza a provare ciò che si può sapere con il semplice buon senso dell’uomo dotato di sufficiente spirito pratico. Con questo metodo, che è “il metodo” per formare un’alleanza, si uniscono prima i più decisi ad agire, che siano omogenei sotto il profilo delle caratteristiche che deve avere l’azione pratica; dunque si genera un nucleo attivo e omogeneo che dà un ritmo, una strategia e una linea e che aggrega.
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l’alleanza dovrà essere pronta ben prima della data delle elezioni, non tanto perché le elezioni potrebbero essere anticipate, bensì perché l’alleanza politica dovrà essere ben più nota rispetto a quella creata nel 2022 a ridosso delle elezioni. Addirittura i candidati nei collegi uninominali dovrebbero essere individuati più di un anno prima, anche due anni prima della data delle elezioni, in modo che possano svolgere una duratura azione di aggregazione e farsi conoscere e stimare nel collegio.
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non bisognerà imbarcare personaggi politici dotati di piccola o grande notorietà. Un movimento nuovo non può nascere da politici che solcano il teatro della politica da decenni. L’avversione e il sospetto che suscitano è sempre molto superiore alla capacità di attrarre consensi. Il nuovo non è necessariamente composto da giovani ma non si caratterizza per il ruolo e la visibilità di politici vecchi;
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l’alleanza tra più soggetti, anche venti o trenta (tra gruppi politici, associazioni, blog, canali youtube, riviste, gruppi di studiosi, isolati intellettuali), non potrà avere un organo di vertice composto da venti o trenta persone: sarebbe una scelta disfunzionale che condurrebbe a morte pressoché immediata. Bisognerà perciò dare assoluta certezza a tutti i partecipanti e già a tutti gli invitati che ogni gruppo – anche se costituito da uno studioso, un blogger, un divulgatore attorno a sé stesso – avrà uno spazio proporzionale a quello degli altri, e corrispondente al numero di (relativamente) consistenti nuclei territoriali di uomini che riuscirà a mettere a disposizione dell’alleanza (in uno, due, tre, cinque o venti collegi);
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Il partito si crea dopo: se l’esperimento riesce e l’alleanza entra in Parlamento. In tal caso il Partito si crea in un battibaleno: non è possibile dubitarne. Sarebbe invece un gravissimo errore, impegnarsi fin da subito nel presuntuoso e fallimentare progetto di dar vita ad un partito unico. Chi crede di esserne capace, proceda e dimostri di non essere un ciarlatano. Dinanzi a un tentativo riuscito (e che quindi duri da alcuni anni) RI si scioglierà e i militanti entreranno nell’atteso partito. Non pretenda invece un aiuto che significherebbe per noi impegno in un progetto che crediamo fallimentare;
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trattandosi di alleanza, il vertice politico non potrà che essere collegiale. Ovviamente il vertice politico può non coincidere con il comunicatore o con i comunicatori, che possono essere membri dell’organo di vertice dell’alleanza (dove devono stare le teste, capaci di azione concreta, non i teorici), oppure semplici strumenti dell’alleanza, che non hanno nell’alleanza nessun particolare ruolo. Ma anche quando sono membri dell’organo di vertice, nella loro azione di comunicatori sempre e soltanto meri strumenti dell’alleanza sono e devono essere.
TANTO PREMESSO
L’assemblea delibera di incaricare il Comitato Direttivo di intraprendere fin da subito – seguendo, nella misura possibile, le direttive sopra indicate nei punti i)–viii) – il tentativo di dar vita, entro due anni, a un’alleanza politica antiunionista, antiatlantista, popolare e sociale, ispirata alla Costituzione del 1948.
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