Scuola/ “Se volete che Giulia non sia morta invano, risparmiateci un’ora in più di distruzione dell’io”
di IL SUSSIDIARIO (Domenico Fabio Tallarico)
Dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin qualcuno parla di ora aggiuntiva a scuola in cui insegnare “relazioni”. Ma è la strada sbagliata
La tragica morte di Giulia Cecchettin ha riacceso i riflettori in modo drammatico sull’emergenza educativa che sta attraversando il nostro Paese.
Dopo Palermo, Caivano e Napoli si riparla di giovani da educare. Se in queste zone del Sud Italia si poteva accusare la mafia e modelli educativi patriarcali, la storia di Giulia e Filippo ci fa capire che la situazione dei giovani è più complessa dell’idea che se ne fanno gli adulti.
La cronaca ci dirà quali sono state le vere motivazioni che hanno spinto Filippo ad uccidere Giulia, ma tutti sono d’accordo sulla necessità di fare qualcosa affinché questi fatti non si ripetano.
Dopo la disgregazione del ruolo della famiglia nella nostra società, la scuola sembra essere ormai l’unica agenzia educativa a poter in qualche modo tentare di affrontare il problema.
Esattamente come per gli stupri dell’estate scorsa si ricomincia a parlare di istituire a scuola delle ore di educazione sessuale ed educazione all’affettività.
Ci sono già decine di ore e progetti di tutti i tipi, per la raccolta differenziata, la riduzione dell’inquinamento, il coding, il bullismo, l’educazione stradale, la lotta alla mafia, la lotta alle dipendenze, l’uso consapevole della tecnologia e così via, per non parlare del corposo numero di ore dedicate da quest’anno all’orientamento e quelle approvate recentemente sull’educazione civica.
Spesso c’è una gara tra scuole per far vedere pubblicamente chi approva e finanza più progetti. Sembra che senza di essi la scuola e la realtà siano destinate a rimanere scollegate, e, parallelamente, che le materie curricolari non abbiano più nulla da dire alla vita degli studenti che incontriamo a scuola.
Queste ore di progetti finalizzati sono solitamente quelle dedicate a voler istruire i ragazzi su come si fa a vivere, su quello che si deve o non si deve fare, ma nessuno si prende la responsabilità di capire quanto queste ore incidano veramente sulla vita dei giovanissimi. Un esempio tra tutti. Da anni in tutte le scuole si svolgono progetti contro le dipendenze, ma i dati ci dicono che i consumi di droghe e alcool nella fascia tra 14 e 19 anni sono aumentati in modo esponenziale.
Il punto è che non si può pensare di educare in questo modo. Nella vita e a scuola bisogna tornare ad educare nella quotidianità, nell’ora di lezione, nel dialogo con gli alunni in classe e magari nell’informalità del corridoio durante l’intervallo (anche e soprattutto con i ragazzi più tosti e difficili), con l’esempio che si può trasmettere come docenti ed educatori, testimoni di una bellezza che ogni giorno si cerca e si vede nella propria vita; con la passione per la materia che si insegna, ma anche e soprattutto nei rapporti che si vivono.
Se tutto questo non c’è, non c’è progetto o nuova ora istituzionale che possa sostituire il nostro essere lì con loro, il nostro esserci, il nostro in-segnare, il nostro lasciare il segno nella vita dei giovani.
Nelle prime lezioni di quest’anno alcuni alunni mi hanno raccontato di usare applicazioni per incontri occasionali di tipo sessuale dedicate ad adolescenti. Si mostrano come merce per attirare l’attenzione del ragazzo o della ragazza di turno, semplicemente per riempire la solitudine che vivono.
Sarebbe scontato chiedere da chi hanno imparato questa modalità di incontro occasionale ma forse è necessario.
Possiamo e dobbiamo dire alle ragazze di denunciare qualsiasi tipo di molestia o violenza, ma questo cambierà gli ambienti reali e virtuali in cui vivono e in cui sono stati educati?
La tragedia dei nostri tempi è la solitudine, continuo a scriverlo e a ripeterlo. I ragazzi muoiono di solitudine. Ci sono concerti e discoteche piene di giovani, ma tutto questo non rende i ragazzi meno soli, anzi li aliena ancora di più, perché si sentono costretti a fare quello che fanno tutti anche se non lo desiderano, si sentono costretti a fare sesso per essere accettati dagli altri, per poter appartenere ad un gruppo o a qualcuno.
Per molti il possesso dell’altro è diventato l’unico modo per approcciarsi agli altri e sentirsi meno soli, addirittura si possiede l’altro in gruppo e con la violenza per sentirsi forti, per sentirsi gruppo; e infatti la rottura di una relazione diventa una tragedia difficile da affrontare per un adolescente.
Pensiamo veramente che l’ora di educazione sessuale possa risolvere l’enorme vuoto che vivono i nostri giovani in questi tempi e che provoca le tragedie di cui siamo testimoni negli ultimi anni? Noi adulti a che cosa abbiamo educato fino ad oggi? Questa è la prima domanda da porsi alla base di un possibile cambiamento nella nostra società.
Come dice una frase che spesso ripetiamo tra adulti ed educatori, ma che dimentichiamo nell’emotività di questi tragici momenti: “Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è” (sant’Ignazio di Antiochia).
Se gli adulti non iniziano a rimettere al centro della loro vita un amore vero nei confronti dell’altro, il rispetto delle diversità in ogni singolo individuo, non ci sarà nessun progetto che potrà evitare altre violenze e altri morti, e Giulia rischierà di essere presto dimenticata.
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