Il risiko per la regione dell’Essequibo tra Guyana, Venezuela e Brasile
di INSIDE OVER (Paolo Mauri)
L’Essquibo è un fiume che sgorga dai monti Acarai e si getta nell’oceano Atlantico nel territorio della Guyana, in America Meridionale. Il fiume dà il nome a una regione geografica, che ricade sotto amministrazione guianese, rivendicata dal Venezuela ampia circa 160mila chilometri quadrati.
Recentemente, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha indetto un referendum – invero scarsamente partecipato dalla popolazione – che ha chiesto, con cinque quesiti, il sostegno per una possibile annessione della regione contesa.
Quel lembo di terra è ricco di risorse naturali – come gli idrocarburi presenti anche offshore – ma la motivazione dietro la mossa di Caracas non è strettamente legata a questo: il governo Maduro è alla ricerca di consenso popolare a fronte della grave crisi interna e sta anche cercando di ottenere una carta importante da spendere con gli Stati Uniti sul tavolo negoziale, in quanto Washington ha da tempo elevato sanzioni che stanno strangolando il Paese sudamericano.
Il Brasile, che confina sia col Venezuela sia con la Guyana, ha elevato il suo stato di allerta e ha aumentato la sua presenza militare lungo la frontiera venezuelana facendosi quindi garante della sovranità della Guyana.
Caracas sta assumendo toni da escalation “sudamericana”, già visti in altri tempi come in occasione del conflitto nelle Malvinas/Falkland: il presidente Maduro ha affermato che “la responsabilità che ricade sulla nostra generazione oggi è quella di alzare la bandiera sulla Guyana Essequibo e cominciare una nuova fase storica che porti al recupero di questo lembo di terra che ci è stato sottratto”.
Alcuni analisti ritengono che quello di Caracas sia un bluff volto esclusivamente a cercare di ottenere l’allentamento delle sanzioni statunitensi, per altri invece l’escalation militare sembra inevitabile.
Maduro ha bisogno di sobillare gli istinti nazionalisti a fronte della grave crisi interna – come quasi sempre accade – ma la scarsissima partecipazione al referendum potrebbe frenare l’inizio di un nuovo conflitto, sebbene si debba considerare che Caracas possa essere spinta all’azione per una questione di prestigio: il fattore umano, irrazionale, nelle decisioni viene spesso e volentieri dimenticato.
Dall’altra parte della barricata il Brasile di Lula sta prendendo tutti i provvedimenti del caso per scongiurare l’invasione della Guyana pur con un approccio di basso profilo: le unità mobilitate sono poche – si tratta di una manciata di uomini e mezzi blindati – e il presidente Lula ha adottato un tono mite nei confronti del possibile conflitto e ha evitato di muovere critiche dirette a Maduro, con il quale si è già incontrato più di una volta quest’anno, una delle quali a Brasilia. Nel contempo, il presidente brasiliano ha annunciato una visita in Guyana per l’anno prossimo nel quadro della cooperazione tra il blocco del Mercato Comune e la Comunità dei Caraibi (Caricom). Trattandosi di uno dei due soli viaggi all’estero di Lula, che dedicherà il 2024 a visitare tutte le regioni del Brasile, possiamo capire l’importanza di questo dossier per Brasilia e come la presidenza stia cercando di mediare le tensioni scoppiate di recente.
Bisogna anche considerare che proprio Lula ha lavorato attivamente per riportare il Venezuela nella comunità sudamericana, pertanto si può capire come la presidenza abbia rifiutato di muovere critiche dirette a Maduro da quando è scoppiata la crisi. Il ruolo attivo del Brasile è anche funzionale e evitare ingerenze esterne, che potrebbero innescare il conflitto, ma in questo momento storico difficilmente Washington potrebbe decidere di sostenere la Guyana con la finalità di rovesciare il governo Maduro.
Chi scrive ritiene comunque possibile lo scoppio di un conflitto, proprio perché il Venezuela ha bisogno di spostare l’attenzione della popolazione dal fronte interno. Qualora si arrivasse all’irreparabile al Brasile di Lula non resterebbe che cercare l’appoggio dell’Organizzazione degli Stati Sudamericani per la creazione di una forza multinazionale di interposizione proprio perché Brasilia si è esposta molto per Caracas, anche in considerazione che un suo esclusivo intervento diretto in difesa della Guyana non è consigliabile in un momento in cui Lula sta consolidando il suo potere all’interno delle forze armate.
Guardando alle forze armate di Venezuela e Guyana, un’eventuale campagna militare vedrebbe quasi sicuramente una rapida vittoria di Caracas: la Gdf (Guyana Defence Force) può contare su pochi mezzi blindati, su un esercito di poco più di 4500 uomini e non possiede un’aviazione militare né una marina da guerra. Il Venezuela, di contro, ha un esercito forte di circa 115mila uomini armato di diversi carri armati (gli Mbt sono circa 170), Aifv, Apc, obici semoventi e pezzi di artiglieria trainata. Il Venezuela possiede anche una forza aerea che può contare su 22 Sukhoi Su-30MK2 e 20 F-16 nonché su una piccola marina militare composta da due sottomarini, una fregata e sei Opv (Offoshore Patrol Vessel).
Il Brasile, di contro, ha delle forze armate numericamente e qualitativamente superiori a quelle venezuelane nel loro complesso, ma difficilmente interverrebbe direttamente a meno di non essere direttamente minacciato dall’aggressione venezuelana, che è qualcosa che Maduro cercherebbe di evitare accuratamente.
La situazione è molto tesa, e ci sono indicazioni che il Venezuela potrebbe avviare l’invasione dell’Essequibo nei prossimi giorni, ma la mediazione brasiliana potrebbe facilmente scongiurare questa possibilità.
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