Linee sulla sabbia: la Gran Bretagna, l’America e la nascita dello stato d’Israele
da LIBERO PENSARE (Piero Cammerinesi)
di Terry Boardman
David Ben-Gurion, il primo Primo Ministro di Israele, lesse la Dichiarazione di Indipendenza di Israele nella Sala del Museo di Tel Aviv il 14 maggio 1948:
“Nell’anno 5657 (1897), su convocazione del padre spirituale dello Stato ebraico, Theodore Herzl, il Primo Congresso Sionista si riunì e proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale nel proprio Paese. Questo diritto fu riconosciuto nella Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato nel Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, sanciva a livello internazionale il legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz-Israel e il diritto del popolo ebraico a ricostruire la propria casa nazionale. [….]
Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione che chiedeva l’istituzione di uno Stato ebraico in Eretz-Israel [la Terra d’Israele]; l’Assemblea Generale richiese agli abitanti di Eretz-Israel di prendere le misure necessarie da parte loro per l’attuazione di tale risoluzione. Questo riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico di essere padrone del proprio destino, come tutte le altre nazioni, nel proprio Stato sovrano. Di conseguenza, noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità Ebraica di Eretz-Israel e del Movimento Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz-Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e in forza della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo con la presente l’istituzione di uno Stato ebraico in Eretz-Israel, che sarà conosciuto come Stato d’Israele”.1
La frase sopra riportata – “rinascita nazionale nel proprio Paese” – è strana perché prima del 1917 pochi avrebbero negato che gli ebrei fossero una nazione o un popolo. È chiaro che esistevano già come tali e quindi non avevano bisogno di “rinascere”; si parlava piuttosto di uno Stato nazionale. La Dichiarazione Balfour, emessa a nome del ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour per conto del governo del Regno Unito (senza alcun dibattito parlamentare o pubblico) nel 1917, non parlava di “rinascita nazionale”. Si riferiva alla “creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”; non diceva “la creazione in Palestina del focolare nazionale per il popolo ebraico”. Non esistevano precedenti per il termine “focolare nazionale” nel diritto internazionale; dal testo non era chiaro se si intendesse uno Stato ebraico. Tuttavia, la frase “nel proprio Paese” nella Dichiarazione di indipendenza del 1948 implicava che tutta la Palestina appartenesse agli ebrei. A quel punto, gli ebrei in Palestina erano circa 650.000, molti di più rispetto al 1917, e la maggior parte era arrivata dalla fine degli anni Venti. Il 3 febbraio 1919 l’Organizzazione sionista mondiale presentò alla Conferenza di pace di Parigi una dichiarazione che non parlava di “patria nazionale” ma di “patria nazionale“. La dichiarazione sionista faceva molto riferimento al “titolo storico” degli ebrei sulla terra di Palestina, sostenendo che “la Palestina può essere resa ora come lo era nei tempi antichi…”, ma nei tempi antichi gli ebrei costituirono un regno nella terra per diversi periodi, cioè uno Stato ebraico autonomo, e questo era in effetti ciò a cui i sionisti hanno sempre mirato ma che, dal periodo precedente la Dichiarazione Balfour del 1917 fino all’istituzione del Mandato di Palestina nel 1922, non potevano menzionare ufficialmente. La Dichiarazione sionista affermava anche che “con la violenza furono cacciati dalla Palestina”, riferendosi senza dubbio a un’espulsione da parte dell’Impero romano, ma tale espulsione non avvenne; la Palestina non era affatto priva di ebrei tra il 136 d.C. e l’arrivo dei conquistatori musulmani nel VII secolo, nonostante il trattamento crudele riservato dai Romani agli ebrei dopo la soppressione della rivolta ebraica guidata da Simone Bar Kokhba nel 132-136 d.C.2 .
La Galilea fu il principale centro religioso ebraico dopo il 136 d.C.. E anche per secoli prima delle due disastrose rivolte ebraiche contro i Romani nel 66-70 e nel 132-136 d.C., molti più ebrei avevano scelto di vivere al di fuori della patria ebraica che al suo interno:
“Forse da tre a cinque milioni di ebrei abitarono fuori dalla Palestina nei circa quattro secoli che vanno da Alessandro a Tito… Per la maggior parte di quest’epoca, in Palestina esisteva un regime ebraico. Gli ebrei della diaspora, dall’Italia all’Iran, superavano di gran lunga quelli della patria. Sebbene Gerusalemme [e il Tempio] incombesse sulla loro autopercezione di nazione, pochi di loro l’avevano vista e pochi avrebbero potuto vederla”.3
La Dichiarazione di Indipendenza del 1948 riconosceva che il nuovo Stato di Israele era stato creato da: a) atti di volontà di Theodore Herzl fino alla sua morte nel 1905 e dal movimento sionista dal 1897 fino al 1948 b) la Dichiarazione Balfour del Gabinetto del Regno Unito nel 1917; c) il Mandato della Società delle Nazioni (1922) d) un voto “irrevocabile” dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 1947.
Va notato che, a parte il primo di questi quattro fattori, gli altri tre derivano tutti dalle azioni delle élite del Regno Unito e degli Stati Uniti, che hanno emanato la Dichiarazione Balfour e creato sia la Società delle Nazioni che le Nazioni Unite; in effetti, il risultato stesso del voto dell’ONU nel 1947 è stato in gran parte dovuto alle pressioni americane su altri Paesi, in particolare sulla Francia (vedi sotto).
La frase della Dichiarazione d’Indipendenza del 1948
“Questo diritto” – del popolo ebraico alla rinascita nazionale nel proprio Paese – “…è stato riaffermato nel Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, ha sancito a livello internazionale il legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz-Israel e il diritto del popolo ebraico a ricostruire il suo focolare nazionale “
è problematica, perché il rapporto del Comitato speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina (UNSCOP) del 1947 (articolo 160, capitolo II: Gli elementi del conflitto) affermava che:
“Gli arabi hanno persistentemente aderito alla posizione che il Mandato per la Palestina, che ha incorporato la Dichiarazione Balfour, è illegale. Gli Stati arabi si sono rifiutati di riconoscerne la validità”.
(a) Essi sostengono che i termini del Mandato della Palestina sono incompatibili con la lettera e lo spirito dell’articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni per i seguenti motivi:
(1) Sebbene il paragrafo 4 dell’articolo 22 stabilisse che alcune comunità avessero raggiunto uno stadio di sviluppo tale da poter riconoscere provvisoriamente la loro esistenza come “nazioni indipendenti”, soggetta solo a un periodo limitato di tutela da parte di una Potenza obbligatoria sotto forma di consulenza e assistenza amministrativa fino a quando queste comunità non sarebbero state in grado di stare in piedi da sole, il Mandato della Palestina ha violato questa clausola omettendo deliberatamente l’immediato riconoscimento provvisorio dell’indipendenza del territorio e concedendo alla Potenza obbligatoria, nell’articolo 1 del Mandato, “pieni poteri di legislazione e amministrazione”.
(2) La volontà della comunità palestinese non era stata “una considerazione principale nella selezione della Potenza Mandataria”, come previsto dall’articolo 22, paragrafo 4 del Patto.
(b) Sono stati violati il principio e il diritto di autodeterminazione nazionale.
(c) Gli Stati arabi non erano membri della Società delle Nazioni quando è stato approvato il Mandato della Palestina e non sono quindi vincolati da esso“4.
“Diritto internazionale”
All’indomani dei bizzarri eventi del 7 ottobre 2023, quando uno degli Stati tecnologicamente più avanzati del mondo, ampiamente considerato come dotato del più sofisticato sistema di intelligence e di sicurezza del mondo, avrebbe “fallito” per oltre sette ore (!) a sventare una grave incursione transfrontaliera con attacchi genocidi da parte di terroristi a piedi, in moto, in camion e in parapendio – una circostanza che è stata ampiamente trascurata dai media e dai governi di tutto il mondo, ma che certamente regge il confronto con gli altrettanto bizzarri eventi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti – molti governi occidentali hanno da allora spesso affermato che “Israele ha il diritto di difendersi secondo il diritto internazionale” e che “Israele deve rispettare il diritto internazionale per quanto riguarda il trattamento dei civili in tempo di guerra”.
Nelle società democratiche il “diritto” dovrebbe essere deciso dalla maggioranza dei voti dei rappresentanti democraticamente eletti dalle popolazioni di quelle società. Ma quando si tratta di “diritto internazionale ” e di trattati internazionali tra governi o tra governi e organizzazioni internazionali come l’ONU, le popolazioni di quelle “società democratiche” e i loro rappresentanti sono spesso improvvisamente esclusi. Sembra essere accettato, anche nelle società democratiche, che le proposte e le decisioni in questi settori siano prese dagli “esperti” di politica estera e di diritto dei Paesi in questione, cioè da piccole cerchie di individui, e non dalle popolazioni o dai loro rappresentanti, la maggior parte dei quali non ha molto interesse né conoscenza degli affari internazionali. Il risultato di queste procedure completamente antidemocratiche che portano a nuove “leggi internazionali” è che le popolazioni delle società democratiche possono trovarsi per decenni vincolate da “leggi internazionali” sulle quali non sono state consultate né hanno avuto alcun ruolo nel decidere o votare. Inoltre, i gruppi di pressione privati extraparlamentari possono avere un notevole impatto sul comportamento e sulle decisioni dei governi in materia di diritto internazionale.
Come è nato, ad esempio, lo Stato di Israele nel 1948?
Grazie a decisioni prese nell’ambito del “diritto internazionale”, ovvero il Piano di spartizione della Palestina (mandataria) delle Nazioni Unite, approvato dall’Assemblea generale dell’ONU il 29 novembre 1947 con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astensioni. Il Regno Unito, che era uno dei Paesi astenuti, aveva ricevuto nel 1922 un mandato per amministrare la Palestina dalla Società delle Nazioni, un organismo che non esisteva prima del 1919. Per quanto riguarda questi “mandati” della Società delle Nazioni, va notato che il 17 maggio 1922, Lord Balfour informò il Consiglio della Società delle Nazioni che il suo governo intendeva il ruolo della Lega nella creazione dei mandati:
“I mandati non erano una creazione della Lega e non potevano in sostanza essere modificati dalla Lega. I compiti della Lega si limitavano a verificare che i termini specifici e dettagliati dei mandati fossero conformi alle decisioni prese dalle Potenze Alleate e Associate, e che nell’esecuzione di questi mandati le Potenze Mandatarie fossero sotto la supervisione, non sotto il controllo, della Lega. Un mandato era una limitazione autoimposta dai conquistatori alla sovranità che essi esercitavano sul territorio conquistato”.5
Questi “mandati” della Società delle Nazioni furono in effetti atti di “furto legalizzato” da parte delle potenze vincitrici (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Giappone) dopo la Prima guerra mondiale. Certo, tali atti di furto non erano stati insoliti dopo le guerre tra potenze coloniali nei 250 anni precedenti, ma si trattava comunque di un furto. La Gran Bretagna e la Francia, in quanto potenze coloniali ora (nel 1919) gravemente indebitate con gli Stati Uniti, si proposero di acquisire le colonie e i territori governati prima del 1914 dalla Germania e dalla Turchia ottomana, le potenze sconfitte nel 1918, e di farlo in accordo con i loro interessi nazionali. Tuttavia, gli Stati Uniti, che durante la guerra erano diventati la nazione creditrice del mondo, e sotto la presunta influenza del loro presidente“idealista” e “anticolonialista” Woodrow Wilson, insistettero sul fatto che, in accordo con la creazione in gran parte americana della Società delle Nazioni, le ex colonie delle potenze sconfitte non dovevano essere semplicemente trasferite agli imperi coloniali britannico e francese, ma i popoli di quelle colonie dovevano essere preparati all’autogoverno dalle amministrazioni di quegli Stati imperiali. Questa era la concezione che la Società delle Nazioni aveva dei “mandati”.
Quando Wilson lasciò l’incarico nel marzo 1921, la nuova amministrazione statunitense rifiutò di partecipare alla Società delle Nazioni o alla Corte permanente di giustizia internazionale, entrambe imposte al mondo dagli Stati Uniti sotto Wilson rispettivamente nel 1919 e nel 1920. Così, ad atti di velato furto 6 da parte di Gran Bretagna e Francia in Medio Oriente (la Gran Bretagna ottenne la Palestina; la Francia la Siria) seguì l’irresponsabilità americana nel “legittimare” tali atti di furto, determinandone la natura e poi rifiutando di assumersi ogni ulteriore responsabilità per tali azioni “internazionali”. I mandarini della politica estera britannica – dato che tutto ciò non aveva ovviamente nulla a che fare con gli elettori britannici, che non potevano essere coinvolti in nessuno di questi processi – avendo di fatto “rubato” la colonia turca in Palestina, si sono visti appioppare da questa istituzione della Società delle Nazioni, ideata dagli americani, l’onere di “amministrare” l’ex territorio coloniale della Palestina per decenni imprecisati nel futuro.
Una “casa nazionale”?
I mandarini britannici, tuttavia, si erano già imposti ulteriori oneri durante la guerra mondiale, quando avevano fatto promesse contraddittorie sia agli ebrei che agli arabi per ottenere il loro sostegno contro i nemici di guerra della Gran Bretagna. Per spingere gli arabi a ribellarsi contro i turchi, nel 1916 l’élite britannica aveva promesso agli arabi che dopo la guerra avrebbero avuto degli Stati indipendenti, governati da principi arabi. Inoltre, per ottenere il sostegno di ricchi ebrei sia in America che in Russia e altrove, nello sforzo bellico contro la Germania 7, il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour aveva fatto una promessa scritta a nome del governo – nota in seguito come “Balfour” nota in seguito come “Dichiarazione Balfour”, indirizzata personalmente a Lord Walter Rothschild, che Balfour evidentemente considerava il leader del movimento sionista ebraico in Gran Bretagna (formalmente non lo era, ma era largamente considerato da ebrei e non ebrei come il “principe” degli ebrei nell’Impero britannico, si potrebbe dire) – che il governo britannico avrebbe
“favorito l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e [avrebbe fatto] del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, restando chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo status politico di cui godono gli ebrei in qualsiasi altro Paese”.
Ci sarebbero state presto molte controversie sulla frase “un focolare nazionale per il popolo ebraico”: significava “uno Stato ebraico”? Sembra che la maggior parte dei mandarini coinvolti ritenesse che prima o poi avrebbe avuto questo significato, anche se nei primi anni affermarono che non era così. Ad esempio, il primo ministro David Lloyd George, Arthur Balfour e Winston Churchill si sarebbero poi incontrati con il leader sionista Chaim Weizmann nella casa di Balfour a Londra il 21 luglio 1921, dove
Lloyd George e Balfour assicurarono a Weizmann “che con la Dichiarazione avevano sempre inteso un eventuale Stato ebraico”, secondo il verbale di Weizmann di quell’incontro. Lloyd George dichiarò nel 1937 che la Palestina sarebbe diventata un Commonwealth ebraico se e quando gli ebrei “fossero diventati una maggioranza definitiva degli abitanti”, e [l’ex Segretario alle Colonie] Leo Amery fece eco alla stessa posizione nel 1946.8
La bozza finale della “Dichiarazione Balfour” fu redatta a nome di Balfour, ma in realtà egli aveva avuto poco a che fare con il testo; fu scritta da Leo Amery, anch’egli ebreo, che era stato segretario e braccio destro di colui che era probabilmente l’uomo più potente di quel Gabinetto di Guerra – Alfred, Lord Milner, Ministro senza Portafoglio (1916-1918)9. Ma Amery in seguito
“testimoniò sotto giuramento alla Commissione d’inchiesta anglo-americana nel gennaio 1946: ‘La frase “l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico” era intesa e compresa da tutti gli interessati per significare, all’epoca della Dichiarazione Balfour, che la Palestina sarebbe diventata alla fine un “Commonwealth ebraico” o uno “Stato ebraico”, se solo gli ebrei fossero venuti e si fossero stabiliti lì in numero sufficiente”. 10
Nei 30 anni successivi fecero proprio questo. Fino al 1939, il governo britannico non cercò di impedirli.
Come si era arrivati a questo?
Che un popolo che si supponeva avesse perso la propria patria nell’antichità fosse in grado di riconquistarla circa 1900 anni dopo e di crearvi uno Stato? Che innumerevoli popoli e culture in tutto il mondo avevano perso il controllo o erano stati cacciati dalle loro patrie nel corso dello stesso lungo periodo, per non farvi più ritorno o riprenderne il controllo, mentre il popolo ebraico era riuscito a convincere “il mondo” – cioè le élite della Gran Bretagna e dell’America, che a quel tempo controllavano i destini del mondo e controllavano anche l’ONU – che a loro, gli ebrei, doveva essere permesso di tornare e governare quell’antica patria, mentre ad altri popoli non doveva essere permesso di tornare alle loro terre ancestrali? Ovviamente, se lo stesso principio fosse applicato a livello storico, per così dire, la mappa del mondo sarebbe molto diversa: L’Inghilterra dovrebbe essere restituita ai gallesi, per esempio, e gli Stati Uniti alle tribù native americane.
L’età di Gabriele, arabi ed ebrei
La risposta a queste domande, da una prospettiva antroposofica che si rifà alla ricerca spirituale di Rudolf Steiner, è la seguente: a partire dall’inizio del XVI secolo, la guida della storia umana è passata da un potente essere spirituale a un altro – dall’Arcangelo di Marte Samael (1190-1510) all’Arcangelo della Luna Gabriele (1510-1879). Questi Arcangeli sono sette e sono attivi a rotazione, ciascuno “responsabile” di un periodo storico di circa 350-400 anni. Durante le fasi dell’Arcangelo Gabriele della Luna, l’umanità rivolge la sua attenzione, sotto l’impronta di Gabriele, al mondo materiale e alle esigenze della vita fisica, cioè a tutto ciò che è legato alla parola “incarnazione”. È il periodo delle scienze naturali, del colonialismo e dell’impero occidentale, del commercio mondiale, del capitalismo, dell’industrialismo e del nazionalismo.
È stato anche il periodo in cui il popolo di lingua inglese è salito al potere mondiale e in cui l’influenza della cultura semitica – quella dei popoli arabi ed ebrei – ha assunto un particolare potere all’interno della cultura occidentale, ma soprattutto di quella anglofona, come la Gran Bretagna e, più tardi, gli Stati Uniti. Nel XVII e XVIII secolo, la scienza naturale, spesso basata su traduzioni dai testi arabi, iniziò la sua marcia di trionfo sulla Chiesa. (È interessante notare che il caffè, importato dalla Turchia musulmana, accompagnò questa espansione dell’intelletto). Il deismo, una forma di religione filosofica tipicamente inglese, trascendentale, astratta e che ricorda non poco l’Islam e l’ebraismo, divenne la fede preferita di molti inglesi “illuminati”, non da ultimo dei massoni, il cui occultismo e rituale doveva molto al Tempio di Salomone e agli scritti dei cabalisti ebrei.Espulsi da re Edoardo I nel 1290, nell’Era dell’Arcangelo Marte Samael, gli ebrei erano stati riammessi in Gran Bretagna da Oliver Cromwell nel 1655, nell’Era dell’Arcangelo Luna Gabriele. Negli ultimi decenni dell’Era di Gabriele, il nome dei Rothschild era conosciuto in tutto il mondo. In effetti, il potere imperiale britannico nell’età vittoriana era impensabile senza di lui. Nei decenni successivi al 1810, il denaro dei Rothschild finanziò le campagne militari britanniche, costruì le ferrovie britanniche, fornì consulenza finanziaria e concesse prestiti alla famiglia reale, acquistò il Canale di Suez, stabilizzò l’economia e sostenne altre banche britanniche. I Rothschild furono anche tra i primi a finanziare gli insediamenti di immigrati ebrei in Palestina.
Il successo dei Rothschild in Gran Bretagna non era che un simbolo del crescente profilo della cultura ebraica nella vita britannica. Prendiamo ad esempio i Puritani inglesi del XVII secolo; nella loro vita religiosa si rifacevano al popolo dell’antico Israele e soprattutto all’Antico Testamento e alle sue prescrizioni. Indossavano il bianco e il nero, come gli ebrei, si coprivano sempre il capo, si opponevano alle immagini religiose, onoravano solo il testo della Sacra Scrittura e i suoi interpreti, si vedevano come esuli, in fuga dal peccaminoso “Egitto” per la Terra Promessa donata da Dio, l’America, dove portarono i loro valori fondamentalisti e li trapiantarono. I loro successori in Inghilterra, i Dissenzienti, banditi dalla vita politica, si dedicarono agli affari e all’industria e divennero capitalisti di successo. Questi Puritani e Dissenzienti, seguiti poi dai Metodisti e dagli Evangelici nel XVIII secolo, si consideravano “Israele”, guardavano al modello dell’antico Israele e ai profeti dell’antico Israele per leggere il futuro e discernere la volontà di Dio. Arrivarono a credere non solo di essere il nuovo “popolo eletto”, ma anche che il Messia non sarebbe tornato finché il suo “antico popolo eletto”, gli ebrei, non fosse stato riunito in Terra Santa e convertito a Cristo. Molti puritani di lingua inglese ritenevano che fosse compito del (nuovo) popolo eletto del Signore permettere agli ebrei di tornare in Terra Santa. Tali nozioni e interpretazioni della Bibbia si sono radicate nella cultura anglosassone nel periodo 1600-1850 in ampi settori della società protestante che legge la Bibbia, dagli evangelici e battisti della Chiesa bassa agli anglicani della Chiesa alta. Politici come David Lloyd George e Arthur Balfour erano ben consapevoli di tali interpretazioni.
L’Età di Gabriele si concluse nel 1879, ma il suo impulso non si fermò allora; tali impulsi arcangelici sono sempre più forti alla fine del loro periodo e continuano per diversi decenni fino a quando cominciano a spegnersi con l’arrivo di una nuova ondata arcangelica. Il nazionalismo ebbe quindi il suo apice negli anni 1870-1970, soprattutto durante le due guerre mondiali. Anche l’influenza ebraica in Occidente raggiunse il suo apice in questo periodo, in particolare in America. Non sorprende quindi che il movimento sionista, la Dichiarazione Balfour e lo sforzo di fondare uno Stato politico di Israele siano avvenuti in questo periodo. Si trattava, a rigore, del primo periodo dell’Era del Sole Arcangelo Michele, ma il suo impulso cominciava a crescere solo in quel periodo. Il suo è un impulso veramente cristiano, e l’impulso di Cristo è la creazione di un regno che non è di questo mondo.
Motivazioni nazionali
La Società delle Nazioni è stata una tipica manifestazione dei principi Gabrielici in uscita e Michaelici in entrata. Fu fondata dalle élite anglofone per servire gli interessi nazionali delle loro culture, ma aveva anche un impulso sovranazionale. Era una contraddizione in termini: un’istituzione sovranazionale che si basava sul principio dell’autodeterminazione nazionale! Gli arabi protestarono già nel 1919 che il principio wilsoniano dell’“autodeterminazione nazionale”, presunta pietra angolare della nuova Società delle Nazioni, significava che non era giusto che le potenze europee avessero la presunzione di incoraggiare gli ebrei a migrare in Palestina che, come “Siria meridionale” sotto il dominio turco a metà del XIX secolo, aveva una popolazione ebraica di solo circa il 5-7% contro l’80% di musulmani e il 10% di arabi cristiani.11 Al momento della Dichiarazione Balfour nel 1917, la popolazione della Palestina era composta per il 10% da ebrei e per il 90% da musulmani. L’”autodeterminazione nazionale” fu ampiamente interpretata nel senso che la Palestina sarebbe appartenuta alla popolazione araba a maggioranza musulmana.
Ma le élite britanniche e americane avevano “stabilito” il contrario, in base ai loro interessi imperiali britannici o pseudo-imperiali americani. Gli arabi erano troppo arretrati, secondo loro, per servire questi interessi nella regione, e questi interessi erano soprattutto la sicurezza del Canale di Suez e il trasporto sicuro del petrolio mesopotamico attraverso la regione verso i porti della Palestina, come Haifa, sul Mediterraneo. Per gli inglesi, il Canale di Suez significava la salvaguardia dei loro interessi imperiali in India e nel resto dell’Asia e a sud-est verso l’Australasia. Il petrolio mesopotamico garantiva il futuro della Royal Navy, senza la quale non ci sarebbe stato l’Impero britannico; questa era la realtà da quando il petrolio aveva iniziato a sostituire il carbone come combustibile della Royal Navy poco prima della guerra mondiale. La Gran Bretagna aveva carbone in abbondanza, ma non petrolio; doveva quindi assicurarsi il controllo delle regioni che possedevano abbondanti scorte di petrolio. Gli americani avrebbero avuto la stessa motivazione quando, nel XX secolo, le loro forniture di petrolio iniziarono a diminuire. Gli ebrei emigrati in Palestina erano relativamente moderni, istruiti e culturalmente europei, molti dei quali prevalentemente laici. I loro campioni e leader sionisti in Gran Bretagna, come Chaim Weizmann (1874-1952) e Herbert Samuel (1870-1963), sottolinearono il fatto che gli emigranti avrebbero reso un servizio efficace all’Impero britannico se fosse stato permesso loro di diventare l’elemento di controllo della regione.
Balfour e la sua Dichiarazione
Un ulteriore fattore fu ripetutamente affermato da Balfour e dalla cerchia di Milner durante la Prima Guerra Mondiale e continuò ad essere di grande importanza nel periodo tra le due guerre: cioè che il sionismo – la causa che dal 1897 (il primo Congresso sionista, a Basilea, in Svizzera) aveva cercato di creare uno Stato nazionale per il popolo ebraico e più tardi specificamente uno Stato in Palestina, l’antica “Terra d’Israele”, come la chiamavano i sionisti (Eretz Israel) – interessava molti ebrei influenti e ricchi negli Stati Uniti, ebrei il cui sostegno la Gran Bretagna non poteva permettersi di perdere: il 3 settembre 1917 Balfour
“ha sottolineato che si trattava di una questione su cui il Ministero degli Esteri era stato fortemente sollecitato per molto tempo. C’era un’organizzazione molto forte ed entusiasta, in particolare negli Stati Uniti, che era zelante in questa materia, e la sua convinzione [di Balfour] era che sarebbe stato di grande aiuto per gli Alleati avere la serietà e l’entusiasmo di queste persone arruolate dalla nostra parte. Non fare nulla significava rischiare una rottura diretta con loro ed era necessario affrontare questa situazione“.12
Nell’aprile del 1917 Balfour visitò gli Stati Uniti e incontrò, tra gli altri, Louis Brandeis, presidente dell’Organizzazione sionista d’America e uno dei più stretti consiglieri del Presidente americano Wilson. Balfour ottenne da Brandeis l’impressione che gli ebrei americani, soprattutto quelli più ricchi, sostenessero il sionismo.
Secondo un resoconto scritto nel 1923 dal Ministero degli Esteri britannico, fu durante la visita di Balfour in America che si consolidò l’idea di rilasciare una dichiarazione di sostegno al sionismo: “Durante questa visita la politica della dichiarazione come misura di guerra sembra aver preso una forma più definita. Si pensava che l’opinione americana avrebbe potuto essere influenzata favorevolmente se il governo di Sua Maestà avesse assicurato che il ritorno degli ebrei in Palestina era diventato uno scopo della politica britannica”.13
Chaim Weizmann, il leader sionista in Gran Bretagna, cercò di persuadere il governo britannico che i tedeschi, alleati della Turchia ottomana, avrebbero potuto cercare di usare la tattica sionista per convincere gli ebrei ricchi in America a favorire il pacifismo e minare così il sostegno degli Stati Uniti alla guerra a cui l’America aveva appena aderito (aprile 1917). Nell’autunno del 1917 apparvero prove che sembravano avvalorare le affermazioni di Weizmann.
L’unico membro del Gabinetto di Guerra, composto da cinque persone, che si espresse contro una dichiarazione a favore del sostegno di una patria nazionale ebraica in Palestina fu Lord Curzon, il quale sostenne che:
“…. Per quanto importanti possano essere le ragioni politiche… per l’adozione di una tale linea d’azione, dovremmo almeno considerare se stiamo incoraggiando un ideale pratico, o se stiamo preparando la strada alla delusione e al fallimento….”. Curzon sosteneva che “la maggior parte delle colonie agricole ebraiche [in Palestina] non avevano avuto successo”. E che “gli arabi hanno occupato il Paese per la maggior parte dei 1.500 anni. … . . Non si accontenteranno né di essere espropriati per gli immigrati ebrei, né di fungere da semplici tagliatori di legna e estrattori d’acqua per questi ultimi””14.
Ciò si sarebbe rivelato preveggente su entrambi i fronti.
Ma nella riunione del Gabinetto di Guerra del 31 ottobre 1917, le obiezioni di Curzon furono respinte. Balfour
“ha scelto di appoggiare la dichiarazione principalmente sul suo valore propagandistico”. Ha riferito che “la stragrande maggioranza degli ebrei in Russia e in America” è favorevole al sionismo. Se potessimo fare una dichiarazione favorevole a questo ideale”, disse, “saremmo in grado di svolgere una propaganda estremamente utile sia in Russia che in America”. Il gabinetto di guerra autorizzò allora Balfour, in qualità di segretario agli Esteri, a rilasciare una dichiarazione… [La dichiarazione] fu rilasciata due giorni dopo, con solo piccole correzioni di carattere amministrativo”.15
La promessa formale del governo britannico di “istituire in Palestina un focolare nazionale per il popolo ebraico” – la Dichiarazione Balfour – fu fatta in nome di una tattica temporanea per ottenere vantaggi in tempo di guerra. Anche un memorandum confidenziale del 1924 del Colonial Office dimostra che la Dichiarazione Balfour era una tattica di guerra. La Dichiarazione, infatti,
“aveva un preciso obiettivo bellico. Era stata concepita per ottenere, a nome degli Alleati, la simpatia degli ebrei influenti e delle organizzazioni ebraiche di tutto il mondo. La Dichiarazione fu pubblicata in un momento in cui la situazione militare era estremamente critica. La Russia aveva abbandonato l’Alleanza. L’Italia sembrava essere all’ultimo respiro e i tedeschi, liberati dall’ansia dell’Est, stavano ammassando ingenti forze sul fronte occidentale in preparazione della grande offensiva del 1918. La promessa agli ebrei fu fatta in realtà in un momento di grave pericolo nazionale“. 16
Una volta che la Dichiarazione fu resa pubblica, tuttavia, il governo britannico rimase bloccato e ritenne di non potervi tornare sopra. Dopo la fine della guerra si rese subito conto di essere stato appeso al suo stesso petardo, anche se la ragione originaria della Dichiarazione – il suo uso come tattica di propaganda bellica – non era più valida. Nonostante l’opposizione alla Dichiarazione, alla nomina di Herbert Samuel ad Alto Commissario e alla generale posizione filo-sionista del governo da parte di molti militari in Palestina e dei vertici del Servizio Civile, il governo si aggrappò ostinatamente alla Dichiarazione, sostenendo di voler soddisfare le richieste sia della comunità sionista che di quella araba.
I governi britannico e francese rilasciarono una dichiarazione ipocrita in Siria il 9 novembre 1918:
“L’obiettivo a cui mirano la Francia e la Gran Bretagna nel proseguire in Oriente la guerra scatenata dall’ambizione della Germania è la completa e definitiva emancipazione dei popoli così a lungo oppressi dai turchi e l’istituzione di governi e amministrazioni nazionali che derivino la loro autorità dall’iniziativa e dalla libera scelta delle popolazioni indigene“.17 (enfasi dell’Autore)
Ma nel dicembre 1918 britannici e francesi concordarono che solo la Gran Bretagna avrebbe governato in Palestina, modificando così l’accordo segreto concluso con i russi nel gennaio 1916 – per il quale i negoziati erano iniziati nel 1915, l’Accordo Sykes-Picot – secondo il quale, dopo la guerra, la Palestina sarebbe stata amministrata a livello internazionale.
Altre dichiarazioni di Balfour mostrano la portata della sua cinica valutazione dell’interesse personale della Gran Bretagna: in un promemoria dell’agosto 1919, in cui discuteva del Patto della Società delle Nazioni, spiegava:
“Quello che non sono mai riuscito a capire è come [la nostra politica] possa essere armonizzata con la dichiarazione [anglo-francese], con il Patto [della Società delle Nazioni] o con le istruzioni della Commissione d’inchiesta… Non credo che il sionismo danneggerà gli arabi; ma essi non diranno mai di volerlo. Qualunque sia il futuro della Palestina, essa non è ora una “nazione indipendente”, né è ancora in procinto di diventarlo. Qualunque sia il rispetto che si dovrebbe prestare alle opinioni di coloro che vivono lì, le Potenze nella loro scelta di un imperativo non propongono, a quanto ho capito, di consultarli. In breve, per quanto riguarda la Palestina, le Potenze non hanno fatto alcuna affermazione di fatto che non sia dichiaratamente errata, e nessuna dichiarazione di politica che, almeno nella lettera, non abbiano sempre inteso violare” e: “La contraddizione tra la lettera del Patto e la politica degli Alleati è ancora più flagrante nel caso della ‘nazione indipendente’ della Palestina che in quello della ‘nazione indipendente’ della Siria. In Palestina, infatti, non proponiamo nemmeno di consultare i desideri degli attuali abitanti del Paese, anche se la Commissione americana ha chiesto quali fossero. Le quattro Grandi Potenze sono impegnate nel sionismo. E il sionismo, giusto o sbagliato che sia, buono o cattivo, è radicato in tradizioni secolari, in bisogni attuali, in speranze future, di importanza ben più profonda dei desideri e dei pregiudizi dei 700.000 arabi che ora abitano quell’antica terra”.18 (enfasi dell’Autore)
Sembra che due cose si siano incontrate nella mente di Balfour: sebbene, in quanto rampollo della potente famiglia aristocratica Cecil, con le sue forti convinzioni anglicane tradizionaliste dell’Alta Chiesa, provenisse da un ramo del cristianesimo molto diverso da quello del battista gallese David Lloyd George, i due uomini, come molti dei loro contemporanei, erano stati educati con la Bibbia e la conoscevano molto bene, tanto che Lloyd George disse notoriamente di conoscere i re e i nomi dei luoghi dell’antico Israele meglio di quelli dell’Inghilterra. Essendo entrambi romantici nell’animo, avevano una certa inclinazione per l’antico destino del popolo ebraico ed erano stati sedotti dal fascino del leader sionista Chaim Weizmann e dai suoi appelli al loro senso della storia e della religione riguardo al destino del popolo ebraico.
Ma entrambi erano anche ben consapevoli del potere della finanza ebraica in Gran Bretagna, soprattutto dai tempi di Nathan Mayer Rothschild (1777-1836), che aveva finanziato la vittoriosa campagna di Waterloo di Wellington contro Napoleone e gran parte dello sviluppo ferroviario britannico nei decenni successivi. In qualità di politici di spicco, Balfour e Lloyd George erano anche consapevoli che il primo Primo Ministro britannico ebreo, Benjamin Disraeli (1804-1881), aveva sfruttato i suoi legami con la famiglia Rothschild nel 1875 per ottenere un prestito Rothschild che fece guadagnare al governo britannico la quota di controllo del Canale di Suez. Entrambi gli uomini avevano prestato orecchio alle argomentazioni pratiche e strategiche avanzate dal primo ministro di gabinetto britannico Herbert Samuel, un sionista convinto, che subito dopo lo scoppio della guerra tra Gran Bretagna e Turchia nel novembre 1914, disse che
“sostenendo la creazione di una colonia ebraica a est di Suez, la Gran Bretagna avrebbe potuto negare quel territorio alle potenze straniere rivali che avrebbero potuto minacciare il suo controllo del Canale di Suez… Samuel sostenne nel marzo del 1915 che “l’aiuto dato ora per il raggiungimento dell’idea che un gran numero di ebrei non ha mai smesso di coltivare attraverso tanti secoli di sofferenza non può non assicurarsi, in un futuro lontano, la gratitudine di un’intera razza, la cui benevolenza, nel tempo a venire, potrebbe non essere priva di valore“”19 (enfasi dell’Autore).
Il governo britannico avrebbe poi nominato Samuel primo Alto Commissario per la Palestina (vedi foto sotto: Samuel a destra con Balfour al centro e il Gen. Allenby a sinistra). In carica dal 1920 al 1925, fu il primo ebreo a governare la Palestina da 2000 anni. La nomina di Samuel non fu popolare tra gli arabi, ma egli cercò di apparire imparziale e riuscì ragionevolmente nel suo ruolo. Tuttavia, lo storico ebreo Bernard Wasserstein ha scritto che la sua politica era “sottilmente progettata per riconciliare gli arabi alla… politica filo-sionista” dei britannici20 e Sahar Huneidi, in A Broken Trust – Herbert Samuel, Zionism and the Palestinians (2001), ha scritto che la maggior parte delle politiche di Samuel in Palestina andavano in realtà oltre la nozione di “focolare nazionale ebraico” promessa nella Dichiarazione Balfour e miravano alla realizzazione di uno Stato ebraico.
Da sinistra a destra: Allenby, Balfour, Herbert Samuel
Le rivolte scoppiarono più volte a causa del sentimento arabo di tradimento da parte degli Alleati occidentali e contro la crescente immigrazione sionista. Il 18 agosto 1921, con l’aggravarsi della situazione intercomunitaria, sebbene non vi fossero violenze arabe dirette contro le truppe britanniche in Palestina, il Gabinetto britannico si riunì per discutere la situazione, ma solo l’ultimo dei quattro punti principali discussi riguardava direttamente la Palestina:
1) “L’onore del governo era coinvolto nella Dichiarazione di Balfour, e tornare indietro sulla nostra promessa ridurrebbe seriamente il prestigio di questo Paese agli occhi degli ebrei di tutto il mondo”. 2) I Primi Ministri del Canada e del Sudafrica hanno recentemente dichiarato che la nostra politica sionista si è dimostrata utile in quei Dominions. 3) Non ci si aspettava che il problema potesse essere risolto facilmente o rapidamente, soprattutto in considerazione del crescente potere degli arabi nei territori confinanti con la Palestina. 4) è stato affermato che la pace è impossibile sulla base della Dichiarazione Balfour, che prevede la creazione di un focolare nazionale per gli ebrei e il rispetto dei diritti della popolazione araba. Il risultato di questa incoerenza deve essere quello di allontanare sia gli arabi che gli ebrei, coinvolgendoci in inutili spese militari. Contro questa posizione si sostenne che gli arabi non avevano alcun diritto prescrittivo su un Paese che non erano riusciti a sviluppare nel migliore dei modi “21 .
Quindi, la Dichiarazione doveva essere rispettata per il bene degli interessi sionisti in Canada e Sudafrica e per l’”onore” del governo britannico, dopo che quasi un milione di britannici erano morti combattendo in guerra per quel governo, spesso in circostanze terribili, anche se si riconosceva che “la pace era impossibile sulle linee della Dichiarazione Balfour”!
Nel luglio 1922, la Società delle Nazioni approvò il Mandato della Palestina, la Gran Bretagna come potenza obbligatoria e l’attuazione della Dichiarazione Balfour da parte della Gran Bretagna. In agosto, il Congresso arabo di Palestina rifiutò il Mandato di Palestina, definendolo una violazione dei diritti degli arabi.
Il rapporto segreto di Cavendish del 1923
Meno di un anno dopo, nel febbraio 1923, il nuovo Segretario alle Colonie, Victor Cavendish, 9° Duca di Devonshire (uno dei più eminenti aristocratici inglesi), fece eseguire da una commissione segreta di 10 persone una rivalutazione completa della politica britannica riguardo alla Palestina, compresa la questione se mantenere la Dichiarazione Balfour e persino il Mandato. Nel suo rapporto al Gabinetto, dopo i risultati della commissione, Cavendish concluse che, nonostante le difficoltà del progetto che, per sua stessa ammissione, era impopolare presso la stampa e l’opinione pubblica, la Gran Bretagna avrebbe dovuto continuare a mantenere sia la Dichiarazione che il Mandato, essenzialmente per il bene dell’”onore” del Paese, cioè dell’Establishment: “Ripudiare la Dichiarazione”, “rompere una promessa fatta agli ebrei di fronte a tutto il mondo” e “restituire il Mandato” alla Società delle Nazioni significherebbe che
“Saremmo in effetti condannati per un atto di perfidia, dal quale è appena il caso di dire che il nostro buon nome non si riprenderà mai….. Saremo per sempre la potenza cristiana che, dopo aver salvato la Terra Santa dal Turco, non ha avuto la forza o il coraggio di custodire ciò che aveva conquistato”.22
Preoccupazioni d’onore tipiche di un aristocratico del XIII secolo. Non importa che la Dichiarazione non corrisponda più alla realtà e non abbia più senso, bisognava portarla avanti – questo era in effetti il ragionamento di Cavendish.
Tuttavia, Cavendish propose anche due ragioni decisamente disonorevoli per continuare a mantenere il Mandato. Nel 1922 la Gran Bretagna stava negoziando il ritiro dall’Egitto. In tali circostanze, sarebbe stato opportuno per la Gran Bretagna, anzi vitale, mantenere le forze in Palestina, a est del Canale di Suez, per mantenere una presenza militare vicino al Canale. Questo motivo di interesse personale andava contro il principio dei mandati, che dovevano andare a beneficio della popolazione del territorio mandato e non della potenza mandataria, ma la Società delle Nazioni non ne venne mai a conoscenza, perché “il memorandum di Cavendish… fu reso pubblico solo molto dopo il ritiro della Gran Bretagna dalla Palestina “23 (cioè dopo il 1948).
Il secondo motivo disonorevole era che Cavendish sosteneva che gli ebrei stavano portando molti investimenti nel territorio e benefici all’economia: “Si può ben sostenere che, dando loro l’opportunità di farlo, stiamo servendo gli interessi della civiltà nel suo complesso, a prescindere da qualsiasi considerazione sentimentale sulla restituzione di un popolo disperso alla sua antica patria”. Ma questo non era vero, perché gli investimenti ebraici andavano a beneficio solo dell’economia ebraica in Palestina, non di quella araba. Il capitale ebraico fu impiegato per acquistare terreni di proprietà araba e solo la manodopera ebraica fu ammessa sui terreni di proprietà del Fondo Nazionale Ebraico. In un rapporto del 1921 per l’Esecutivo sionista si legge che:
“la situazione avrebbe potuto essere meno grave se l’attività sionista avesse portato agli arabi i vantaggi materiali che erano stati invitati ad aspettarsi da essa”.24
Il Gabinetto nel 1923 concluse quindi che non era possibile realizzare un focolare nazionale ebraico insieme alla protezione degli interessi della popolazione araba e alla sua eventuale indipendenza. Tuttavia, nonostante questa continua contraddizione, il Gabinetto decise, ancora una volta per ragioni di interesse imperiale (cioè per la perdita di “faccia” che ne sarebbe derivata), di portare avanti la promessa della Dichiarazione di un focolare nazionale ebraico. La conseguenza fu l’inevitabile conflitto tra arabi ed ebrei, che la Gran Bretagna, nelle sue ristrettezze economiche dopo il 1945, non sarebbe stata in grado di affrontare e che portò infine alla sua ignominiosa partenza dalla Palestina nel 1948, nonostante l’infangamento del suo “onore” e del suo “nome”, e lasciando dietro di sé una situazione di terribile conflitto che è ancora in corso cento anni dopo il rapporto segreto Cavendish del 1923.
Lo storico americano J.B. Quigley ha commentato:
Il 31 luglio 1923 il Gabinetto approvò il rapporto della commissione, con lievi emendamenti. Il rapporto era a dir poco straordinario. Se fosse stato reso pubblico all’epoca, si può solo ipotizzare il furore che avrebbe suscitato. Il governo britannico ammetteva che il suo sostegno al sionismo era stato spinto da considerazioni che non avevano nulla a che fare con i meriti del sionismo o con le sue conseguenze per la Palestina. Il governo, per ragioni estranee alla Palestina, era disposto a relegare la Palestina in una posizione in cui il conflitto intercomunitario era quasi inevitabile “25.
Il comitato Cavendish propose di istituire un’Agenzia araba in Palestina per servire gli interessi arabi e che avrebbe operato a fianco dell’Agenzia ebraica già esistente – ma solo se i sionisti fossero stati d’accordo e se gli arabi avessero accettato di cessare ogni ulteriore agitazione. La notizia di questa proposta fu resa pubblica, ma il rapporto della commissione Cavendish rimase segreto. L’opinione pubblica non sapeva quindi che il Gabinetto considerava effettivamente il Mandato inattuabile.
“La dichiarazione che fu resa pubblica recitava, in modo insincero, che il Governo aveva cercato di condurre l’amministrazione della Palestina in modo da rendere uguale giustizia agli interessi di entrambe le parti interessate… Questa dichiarazione pubblica era direttamente in contrasto con le conclusioni raggiunte dal Gabinetto in privato. Non si seppe che la Gran Bretagna era più preoccupata di mantenere il Mandato che dell’opportunità di promuovere un focolare nazionale ebraico. Non si seppe che la Gran Bretagna non aveva alcun piano per attuare la Dichiarazione Balfour in modo da ottenere un risultato accettabile 26.
Negli anni Venti, il governo britannico diceva alla Commissione per i Mandati Permanenti della Società delle Nazioni che gli interessi di entrambe le comunità in Palestina venivano serviti in modo appropriato, ma già nel luglio del 1923 la sua valutazione reale era che ciò era ben lungi dall’essere vero e di fatto era virtualmente impossibile.
Nel frattempo, l’immigrazione ebraica continuò a crescere costantemente. La popolazione di Tel Aviv passò da 2.500 abitanti nel 1920 a 25.000 nel 1924, e la popolazione ebraica complessiva della Palestina mandataria passò da 90.000 abitanti nel 1923 a 450.000 nel 1940, la maggior parte dei quali arrivò dopo il 1929, con l’ascesa del nazismo in Germania; la popolazione araba era di circa un milione. Alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, la popolazione ebraica era di 650.000 persone. L’aumento del numero di ebrei negli anni ’30 portò a grandi proteste, sommosse e violenze da parte degli arabi, che culminarono nella Grande Rivolta Araba del 1936-39, durante la quale forze armate irregolari ebraiche collaborarono con le truppe britanniche nella lotta contro gli arabi e dopo la quale il governo britannico impose finalmente notevoli restrizioni all’immigrazione ebraica e annunciò che avrebbe posto fine al Mandato della Palestina entro 10 anni, cioè si sarebbe ritirato. Nel 1937 i britannici avevano annunciato un piano di spartizione del territorio in tre modi: uno Stato arabo, uno Stato ebraico e il mantenimento del mandato britannico su Gerusalemme e sul porto di Haifa; ovviamente i britannici volevano ancora controllare Gerusalemme e il loro porto petrolifero di Haifa. Questi piani britannici del 1937 e del 1939 portarono all’immigrazione clandestina e alla violenza terroristica contro le autorità britanniche da parte dei movimenti ebraici Lehi (Combattenti per la libertà di Israele) e Irgun (Organizzazione militare nazionale) negli anni Quaranta. Gli inglesi erano finalmente riusciti a mettere contro di loro sia gli arabi che gli ebrei. La violenza ebraica culminò nell’attentato dinamitardo al quartier generale britannico presso l’Hotel King David nel 1946, in cui vennero uccise 91 persone e 45 rimasero ferite.
Gli americani e l’ONU votano nel novembre 1947
Dopo la Seconda guerra mondiale, il governo laburista, sottoposto a forti pressioni economiche e a notevoli pressioni da parte degli Stati Uniti, decise di abbandonare l’India e la Palestina non appena fosse stato possibile. Nel frattempo, la Società delle Nazioni, ideata dagli anglo-americani, aveva lasciato il posto, nel 1946, alle Nazioni Unite, ideate dagli anglo-americani.
Come ha fatto questo organismo a dare la sua benedizione alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948?
Dopo la morte del Presidente Roosevelt nell’aprile del 1945, i gruppi di pressione ebraici cercarono di fare pressione sul nuovo e inesperto Presidente per costringere gli inglesi ad aumentare le quote di immigrazione in Palestina. Uno di questi, l’American League for a Free Palestine (ALFP), era una copertura per il gruppo terroristico ebraico Irgun ed era guidato da Hillel Kook, un membro anziano dell’Irgun.27 Nel 1946, con gli orribili filmati dei campi di concentramento in Germania nella mente della gente e molti ebrei ancora in attesa in condizioni miserabili in Europa, gli ebrei americani non erano in vena di compromessi. La loro pressione lobbistica fu incessante e furono raccolti molti soldi, da celebrità di Hollywood e persino dalla mafia, per i gruppi ebraici militanti che combattevano contro gli inglesi in Palestina. Kook e altri rappresentarono la lotta armata di questi gruppi come la lotta dei rivoluzionari americani per la libertà dagli inglesi nel 1770 e, come nel 1770, Kook e i suoi alleati non esitarono a coinvolgere i francesi, creando una sezione francese dell’ALFP e ottenendo il sostegno di luminari come Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Sotto la pressione politica dell’importante lobby ebraica di New York, il presidente Harry Truman chiese “uno Stato ebraico vitale” e il governatore repubblicano Thomas Dewey sollecitò l’ingresso in Palestina di “centinaia di migliaia” di emigranti. Truman espresse la sua esasperazione per le forti pressioni ebraiche, ma ritenne di doversi piegare ad esse, non da ultimo per il numero di elettori protestanti americani della Bible Belt che sentivano di dover aiutare “gli ebrei” a riconquistare la Terra Promessa. Un fattore che ha influito è stata l’influente Bibbia di riferimento Scofield del ministro fondamentalista americano Cyrus I. Scofield 28 (pubblicata in Gran Bretagna dalla Oxford University Press) che dal 1909 era diventata popolare negli Stati Uniti con le sue ampie note alla King James Version. Alla fine della seconda guerra mondiale la Bibbia di Scofield aveva venduto più di due milioni di copie. Le note della Bibbia Scofield, tra l’altro, promuovevano il dispensazionalismo escatologico – l’idea che Dio intervenga nella storia umana in fasi storiche discrete 29.
Le azioni terroristiche ebraiche divennero sempre più audaci, sempre più violente e sempre più efficaci. Gradualmente, come era accaduto con l’IRA in Irlanda nel 1919-21, i britannici cedettero agli attacchi sempre più raccapriccianti dei terroristi e divenne sempre più chiaro che stavano perdendo il controllo della situazione nonostante i loro pesanti sforzi per reprimere i gruppi armati ebraici. Nel settembre 1947 i britannici annunciarono che si sarebbero ritirati unilateralmente il 14 maggio 1948, qualunque fosse la situazione e qualunque fosse la decisione dell’ONU. Il 29 novembre 1947 l’ONU discusse la proposta di spartizione elaborata dal Comitato speciale ONU per la Palestina (UNSCOP). La proposta richiedeva una maggioranza di due terzi per essere approvata. Gli ebrei di New York esercitarono un’efficace azione di lobbying sia all’interno che all’esterno dell’edificio dell’ONU; la loro attenzione si concentrò sulla Francia, che fino a quel momento non aveva preso una posizione chiara. Bernard Baruch (1870-1965), un ardente sionista e un vero e proprio uomo di potere che aveva finanziato Woodrow Wilson per diventare presidente nel 1912, aveva consigliato i presidenti Roosevelt e Truman, era un amico intimo di Winston Churchill e inoltre era anche un sostenitore dell’Irgun e dell’ALFP, fece pressioni dirette sul delegato francese delle Nazioni Unite, Alexandre Parodi, dicendogli personalmente che il mercato azionario francese sarebbe crollato se la Francia non avesse appoggiato la spartizione nel voto dell’ONU e insinuando che il Presidente Truman avrebbe potuto scegliere di inviare altrove gli aiuti destinati alla Francia. Il chiaro messaggio fu trasmesso a Parigi. Nella votazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre, Parodi votò a favore della spartizione e lo stesso fecero i tre vicini della Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Questi voti contribuirono a garantire la maggioranza dei due terzi (33-13) per la spartizione. In Palestina, gli ebrei gridarono “Vive la France!”, ma avrebbero dovuto piuttosto gridare “Vive Baruch!”. Fu così che i sionisti ottennero il sostegno delle Nazioni Unite per lo Stato di Israele che fondarono il 14 maggio 1948.
L’antica rivalità: Gran Bretagna e Francia
Nel frattempo, continuavano ad arrivare in Palestina fondi francesi per le armi destinate ai gruppi armati ebraici: nel gennaio 1948 il ministro degli Esteri francese Georges Bidault autorizzò 26 milioni di dollari di armi per il gruppo Haganah.
Fino alla fine del Mandato britannico, nel maggio 1948, i due vecchi rivali imperiali, Gran Bretagna e Francia, continuavano a scambiarsi colpi sul Levante e sul Mediterraneo orientale, che si contendevano fin dagli anni Settanta dell’Ottocento, quando Disraeli aveva manovrato la Francia con il denaro dei Rothschild per acquistare le quote di controllo del Canale di Suez (che era stato costruito dai francesi!), dal 1882, quando il primo ministro britannico William E. Gladstone aveva inviato le truppe britanniche a occupare l’Egitto per consolidare il controllo del Canale, e dal 1915, quando gli irascibili diplomatici Sir Mark Sykes e François Georges-Picot avevano litigato per delineare le sfere di influenza e di controllo britanniche e francesi nella regione e avevano creato le famigerate linee Sykes-Picot su una mappa che determinavano in gran parte i confini dei territori postbellici che esistono ancora oggi e che recentemente, nel 2014, l’ISIS ha dichiarato di voler cancellare per ricreare il “Califfato” islamico.
Fu infatti a causa della frustrazione della Gran Bretagna per la determinazione della Francia a ottenere il controllo della Siria durante la Prima guerra mondiale che il governo britannico prestò per la prima volta ascolto alla proposta di Herbert Samuel di creare una patria ebraica in Palestina. Quando nel novembre 1914 il sultano turco, che era anche il califfo dell’intero mondo islamico, aveva dichiarato la guerra santa (una grande jihad) contro la Gran Bretagna, quest’ultima aveva risposto lanciando l’anno successivo un massiccio assalto imperiale a Costantinopoli via Gallipoli. Nel 1916 i britannici si rivolsero a Hussein lo Sharif della Mecca, che discendeva dal Profeta Muhammed e come tale era l’unico uomo nel mondo islamico che superava il Sultano/Califfo, ma il prezzo che lo Sharif doveva pagare per unirsi alla lotta contro i turchi era alto: comprendeva Siria, Libano, Iraq, Giordania e Palestina.
Tuttavia, gli alleati della Gran Bretagna, i francesi, insistevano per avere la Siria, anche se non la occupavano. La loro rivendicazione si basava invece su “legami culturali” romantici di lunga data tra Francia e Siria, risalenti all’epoca di Carlo Magno, alle Crociate e alle alleanze franco-ottomane del XVI e XVII secolo, nonché ai legami educativi e commerciali con la Siria e il Libano. Anche i francesi volevano la Palestina, ma Sykes riuscì a convincere Picot che la Palestina avrebbe dovuto essere governata a livello internazionale dopo la guerra, una soluzione che non soddisfaceva nessuno dei due. Gli inglesi avevano almeno ottenuto il controllo dei giacimenti petroliferi della Mesopotamia, del porto di Haifa e della Transgiordania e del deserto del Negev che confinava con il Sinai e il Canale. Tuttavia, avrebbero preferito di gran lunga che la Francia non avesse ottenuto nulla nella regione.
“Risentiti per essere stati costretti all’accordo [3 gennaio 1916] da Georges-Picot, cominciarono immediatamente a cercare modi per aggirarlo e, in particolare, per colmare il vuoto nelle loro difese lasciato dall’insoddisfacente sistemazione della Palestina. Per farlo, gli inglesi si rivolsero a un’idea che circolava negli ambienti governativi da un anno. Si trattava del fatto che il sostegno al sionismo – la campagna politica, ancora senza successo, per la creazione di uno Stato ebraico in Palestina – rappresentava un modo migliore per la Gran Bretagna di garantire la propria posizione in Medio Oriente”. 30
Inoltre, dopo il fallimento del tentativo dei turchi di conquistare il Canale di Suez attraverso un assalto al Sinai nel gennaio 1915, i britannici riconquistarono il Sinai ma furono sconfitti in due battaglie a Gaza nella primavera del 1917. Il generale Edmund Allenby (discendente di Oliver Cromwell) guidò quindi le forze britanniche in una vittoriosa campagna verso nord, dal Sinai a Gerusalemme (dicembre 1917) e Damasco (ottobre 1918). Questa campagna non avrebbe avuto successo senza il sostegno delle forze arabe di Sharif Husein, guidate dal col. T. E. Lawrence (“Lawrence d’Arabia”), uno stretto alleato del figlio di Hussein, il principe Faisal, che voleva l’indipendenza e la statualità per gli arabi.
La secolare rivalità imperiale tra Inghilterra e Francia, che risale al XVIII secolo e oltre, alle Crociate del XII e XIII secolo, ebbe quindi un peso non trascurabile negli eventi che portarono alla formazione dello Stato di Israele nel 1948. Allenby entrò a Gerusalemme il 7 dicembre 1917, a piedi, per pudore, alla testa del primo esercito europeo dal XIII secolo. Si dice che abbia osservato: “Solo ora le Crociate sono finite”, ma non permise ai suoi addetti stampa di usare le parole “crociata” e “crociati” e pensò di combattere gli Ottomani, non l’Islam. Tuttavia, i coloni sionisti del XX secolo in Palestina erano per la maggior parte europei e gli arabi li vedevano e li vedono tuttora come tali: come moderni crociati, invasori coloniali che devono essere contrastati ed espulsi, come lo furono i crociati 700 anni prima. I sionisti, seguendo l’impulso nazionalista dell’Età di Gabriele e credendo nell’unica e antica rivendicazione del loro popolo nei confronti della terra, cercarono di stabilire un moderno Stato nazionale in una terra che era stata abitata da altri per oltre mille anni.
Note
1 https://www.timesofisrael.com/israels-declaration-of-independence-may-14-1948/
Si noti che questo saggio non fa riferimento al genocidio nazista contro gli ebrei del 1939-1945. Questo perché la sezione della Dichiarazione d’indipendenza di Israele citata dal discorso di David Ben-Gurion non si riferisce al genocidio, ma piuttosto ai quattro fattori menzionati a pagina 19 di questo articolo (il paragrafo che inizia: “La Dichiarazione di Indipendenza del 1948 riconosceva…”). Se non ci fosse stato il genocidio, il movimento sionista avrebbe comunque insistito per la creazione di uno Stato ebraico e, se necessario, avrebbe combattuto militarmente il governo britannico per scacciare gli inglesi e raggiungere il proprio obiettivo.
2 Cfr. L’invenzione del popolo ebraico (trad. ingl. 2009) di Shlomo Sand, professore emerito israeliano di storia all’Università di Tel Aviv, p. 181 ss.
3 https://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_diaspora
4 https://en.wikipedia.org/wiki/Mandate_for_Palestine#cite_note-247 Note [t]
5 https://en.wikipedia.org/wiki/Mandate_for_Palestine#cite_note-224
6 Le potenze imperiali avevano naturalmente acquisito molte delle loro colonie con altri atti di furto, conquista o inganno.
7 In precedenza, molti ebrei, soprattutto negli Stati Uniti, erano stati filo-tedeschi e il governo tedesco aveva cercato di mantenere il loro sostegno.
8 https://en.wikipedia.org/wiki/Balfour_Declaration
9 Più potente del Primo Ministro Lloyd George che, per garantire il proseguimento della guerra, era stato messo al potere con un colpo di Stato nel dicembre 1916 da Milner e dai suoi sostenitori che avevano pianificato tale mossa per molti mesi. Milner, amministratore coloniale di grande esperienza e poi banchiere egli stesso, aveva profondi legami con l’alta finanza e più in generale con l’establishment; in confronto, Lloyd George era solo un abile retorico politico ed ex avvocato, un opportunista politico, mentre Milner seguiva le proprie convinzioni e il proprio credo riguardo al futuro imperiale della Gran Bretagna.
10 https://en.wikipedia.org/wiki/Balfour_Declaration#cite_note-250
11 Cheryl A. Rubenberg, Israele e l’interesse nazionale americano: A Critical Examination. University of Illinois Press, 1989, p. 26.
12 https://en.wikipedia.org/wiki/Balfour_Declaration#CITEREFHurewitz1979
13 https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1650658. J. B. Quigley, “La perfidia di Albione: Britain’s Secret Re-Assessment of the Balfour Declaration”, Ohio State University, 2010, p. 3.
14 ibidem, pag. 4.
15 ibidem, pag. 5.
16 ibidem, p. 5. Questa nota del governo britannico non era del tutto accurata: la dichiarazione fu fatta il 2 novembre 1917, cinque giorni prima del colpo di Stato bolscevico a San Pietroburgo. Ci vollero almeno tre mesi prima che i sovietici chiedessero finalmente la pace con la Germania, il 18 febbraio 1918, e i tedeschi potessero così iniziare ad “ammassare ingenti forze sul fronte occidentale in preparazione della grande offensiva del (21 marzo) 1918”.
17 op. cit., Quigley, p. 6.
18 https://www.scribd.com/fullscreen/60431057?access_key=key-136ulpy32ssl2l27p8nb
Documenti sulla politica estera britannica, 1919-1939. (Londra: H.M. Stationery Office, 1952), 340-348 n. 242. Memorandum del signor Balfour (Parigi) sulla Siria, la Palestina e la Mesopotamia, 11 agosto 1919.
19 J. Barr, A Line in the Sand – Britain, France and the Struggle that Shaped the Middle East (2011) pag. 32.
20 B. Wasserstein, The British in Palestine: The Mandatory Government and the Arab-Jewish Conflict 1917-1929 (1978), pag. 92.
21 Quigley, p. 11.
22 op. cit., Quigley, p. 13.
23 op. cit., Quigley, p. 14.
24 op. cit., Quigley, p. 14.
25 op. cit., Quigley, p. 18.
26 op. cit., Quigley, p. 19.
27 Cfr. J. Barr, Una linea nella sabbia, pp. 326-335.
28 Scofield aveva ricevuto molti aiuti da ricchi ebrei per la creazione e la promozione della sua nuova Bibbia, le cui note di studio erano considerate filo-sioniste. La teologia di Scofield si basava in larga misura sugli insegnamenti dispensazionalisti di uno dei fondatori dei Fratelli di Plymouth, l’anglo-irlandese John Nelson Darby (1800-1882).
29 Questi, si sosteneva, avrebbero incluso il ritorno degli ebrei in Israele e anche il “Rapimento”, il raduno della “Chiesa” dei fedeli in cielo durante il “Tempo della Tribolazione”; questi sarebbero diventati temi principali del fondamentalismo cristiano e del “sionismo cristiano” negli Stati Uniti nel XX secolo.
30 J. Barr, op. cit., p. 32.
Tradotto dall’Inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare
Terry M. Boardman (nato nel 1952) si è laureato in Storia all’Università di Manchester.
Ha vissuto e lavorato per dieci anni in Giappone e attualmente vive nelle West Midlands, nel Regno Unito, dove insegna inglese come seconda lingua.
È attivo anche come conferenziere e scrittore.
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