Ricordate il Presidente della Repubblica Mattarella che nel febbraio scorso, in concorso di “colpa” col ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (almeno secondo la Presidente del Consiglio Meloni), ebbe a dire: “Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”? Ma quello dei “manganelli” sarebbe forse l’unico fallimento della nostra Repubblica? L’unico episodio parentetico? Il 15 marzo scorso, sono passate poche settimane, e alla cerimonia commemorativa dell’ottantesimo anniversario della distruzione della città di Cassino, il P.d.R. osserva
https://www.quirinale.it/elementi/109051
“un moto di ripulsa da parte di tutte le coscienze per la distruzione di un territorio e delle sue risorse, per l’annientamento delle famiglie che lo abitavano, nel perseguimento della cieca logica della guerra, quella della volontà di ridurre al nulla del nemico”
“(…) Quello che l’Italia ha compiuto in Europa in questi decenni è un cammino straordinario di pace e di solidarietà, abbracciando i valori dell’unità del nostro popolo, della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale.
Valori che gli Italiani vollero consacrati con la scelta della Repubblica e con la Costituzione.
Insieme a una affermazione solenne, tra le altre: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.
Sono queste le poche parole dell’art.11 della nostra Costituzione che contiene le ragioni, le premesse del ruolo e delle posizioni del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo.”
Bene, ora chi vuole, si provi a sottoscrivere questo stralcio del discorso presidenziale:
O qualcuno pensa che questo discorso sia «un’escroquerie philosophique o un fuoco d’artificio»? Oppure quell’abbraccio ai valori dell’unità del nostro popolo sia solo la proiezione di un desiderio, un’immagine idillica del Sogno shakespeariano, anche se spesso quel cammino straordinario di pace e solidarietà appare un cammino all’incontrario? E, intanto, la frase emblematica dello shakespeariano Puck: “Come sono pazzi (o sciocchi, la parola è fool) questi mortali” appare una foto della nostra Italia e del mondo intero, sempre più appropriata ed impietosa”.
E, dunque, non ci si dovrebbe scandalizzare nel leggere: “Secondo fonti referenziate consultate da L’Espresso (18/12/23), incluso quest’ultimo ottavo carico che raggiungerà il territorio ucraino attraverso la Polonia, in quasi due anni di guerra l’Italia ha ceduto armi per un valore stimabile in 1,8 miliardi di euro”?.
Allora, se tanto mi dà tanto, ebbene, io mi sarei aspettato il Presidente Mattarella in piazza sui temi della guerra, della Palestina e della giustizia sociale nel nostro Paese! Ed allora lo confesso, so di aver chiesto troppo. Senza contare che anche il Presidente Mattarella avrebbe potuto diventare heideggeriano!
Ma no, via, non può essere tutto «un’escroquerie philosophique». Il Presidente della Repubblica Italiana non può, non dovrebbe farlo!
Certo c’è Heidegger, il quale in “Che cosa significa pensare”, giunge a dire che nel pensiero d’un pensatore, quello che va considerato “è ciò che è taciuto, tenuto conto che Egli parla per poter meglio tacere”. Qui, però vorremmo ricordare Luciano Parinetto, ovvero l’autore di un prezioso libricino dal titolo “Gettare Heidegger” ed. Mimesis.
Nonostante che “la tecnologia per gasare esseri umani doveva essere inventata”, tuttavia la sua escogitazione non fu frutto di un’autonoma evoluzione tecnologica, ma si ispirò chiaramente a procedimenti dell’economia industriale, vale a dire alla “catena di montaggio” dell’industria capitalistica, sicché volendo avvalersi dell’attuale terminologia informatica, potremmo chiamare le camere a gas l’hardware dello sterminio e il metodo dell’implementazione il software dello sterminio. Insieme hardware e software costituiscono la tecnica di sterminio, istituzionalizzata in quei centri di uccisione che la Germania nazista ha lasciato in eredità al mondo. Dietro di essi, si è visto, vi è la tecnica del capitale, che si vale di un’efficientissima burocrazia e della Weltanschauung preparatoria di medici, biologi, psichiatri, che avevano fomentato dal loro punto di vista nazista l’ideologia nazista: ma il “macabro utilitarismo” coperto dall’ideologia, resta il Gestell (fulcro) ricavato dall’assassinio di massa. Il nazismo, dunque, non inaugura affatto, a quanto pare, il trionfo della tecnica per la tecnica: i documenti dicono che anche qui, come sempre e dappertutto, e in barba ad Heidegger ed ai suoi affezionati nipotini (tipo Galimberti), essa non può dispiegarsi senza il capitale e senza servirne le finalità (…) e sarebbe grottesca se non fosse terribile, la documentazione pervenuta sino a noi, della contabilizzazione del lucro ricavato per parte di quello sterminio. (…) D’altra parte sotto il nazismo – sostiene Marcuse – “il regno del terrore non è sostenuto solo dalla forza bruta, estranea alla tecnologia, ma anche dalla ingegnosa manipolazione del potere insito nella tecnologia”.
Bisognerebbe chiedersi, allora, che cosa mai avrebbe taciuto il Presidente Mattarella? Ad esempio che per costruire ponti di dialogo sarebbe molto meglio prima bombardare per concimare la pace? Che il ripudio della guerra di cui all’art. 11 della nostra Costituzione sarebbe solo uno specchietto per allodole, e che trattasi in fondo di semplici svolazzi aulici, come per tanti articoli della nostra Costituzione? Che a quasi 80 anni dalla nascita della Repubblica bisognerebbe accontentarsi e magari addirittura gioire per la contraffazione burlesca della giustizia sociale, oggi spudoratamente esibita davanti ad un popolo impoverito, umiliato ed offeso, ma sempre ancora incosciente?
E giacché siamo giunti nei paraggi del tema “nazista”, sarebbe anche il caso di ricordare la vergognosa vicenda di Ilaria Salis. Se il governo meloniano canta a squarciagola il ritornello dell’eccessivo clamore mediatico che avrebbe danneggiato la buona causa della Salis, il presidente della Repubblica Mattarella racconta, invece, un’altra Ungheria, con buona pace del governo che auspica il silenzio sulla vicenda.
Ma, infine, heideggeriani si nasce o si diventa? Sia come sia, anche al P.d.R. Napolitano è accaduto nel centenario della nascita di Almirante di inviare a costui un ideale abbraccio commemorativo … probabilmente dimentico (il Presidente s’intende), che l’Almirante era stato uno dei firmatari del manifesto della razza, che aveva fatto parte della repubblica di Salò ed era stato pure attivista delle brigate nere. Potrebbe anche darsi, però, che l’onorevole Napolitano fosse divenuto, col tempo, un comunista heideggeriano, che sarebbe una contradictio in adiecto (contraddizione nell’attributo), e allora diciamo che fosse divenuto un comunista spento, anche perché “Avec le temps, va, tout s’en va” almeno secondo Léo Ferré, il quale però era un anarchico e quindi “ça va sans dire” inattendibile:
“www.youtube.com/watch?v=ZH7dG0qyzyg”.
In ogni caso di fatti da ricordare ce ne sarebbero tanti. Ad esempio i fatti di Portella della Ginestra e la fine di Mattei:
Ecco un brano tratto da “Giudici” di Giuseppe Di Lello ed. Sellerio (da p. 50 e sgg.):
“L’idea di cooptare le bande, quella di Giuliano in primo luogo, nel braccio armato del movimento separatista viene al barone La Motta e ai suoi amici agrari vincendo le resistenze dell’ala progressista che, tra l’altro, perderà subito Antonio Canepa ucciso nel giugno del 1945 in uno strano conflitto a fuoco con i carabinieri.
La cooptazione viene ideologicamente motivata con la nobiltà del fine e storicamente giustificata con la strategia della guerra garibaldina, nel corso della quale il generale si era servito senza troppe remore anche dei banditi allora disponibili sulla piazza.
La motivazione concreta risiede, invece, nella favorevole congiuntura che permette di usare le bande sia per la sognata indipendenza che per la difesa dei feudi dal “pericolo rosso”. I segnali elettorali, infatti, spingono le componenti del blocco agrario a correre ai ripari con tutti i mezzi possibili. Nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946 in Sicilia i monarchici con il palese sostegno del clero (il cardinale Ruffini si è affacciato al balcone del palazzo reale di Palermo a fianco del luogotenente Umberto di Savoia), prevalgono con 1.292.000 voti contro i 705.949 voti repubblicani. Nella propaganda la repubblica è associata al comunismo e la sua vittoria nel Paese è letta dagli agrari come un primo, grave segnale di un possibile sovvertimento dell’ordine nelle campagne.
Nelle contemporanee elezioni per l’assemblea costituente la Democrazia cristiana raccoglie circa 643.000 voti mentre i comunisti ne ottengono 150.000 e i socialisti 234.000.
Il separatismo diventa sempre più una chimera e gli agrari comprendono che la prospettata autonomia è una formula efficace per superare il vicolo cieco in cui si sono andati a cacciare, senza perdere minimamente la prospettiva di una restaurazione conservatrice a difesa dei loro interessi di classe.
All’insegna di una ideologia “riparazionista” la nuova classe dirigente che si è prospettata con le recenti elezioni per la costituente offre ai Siciliani l’autonomia per compensarli dei “torti” subiti e, molto concretamente, al blocco agrario in crisi il nuovo terreno su cui ridislocare le proprie forze. (…)
La mafia dal canto suo, entrata pesantemente in campo a fianco degli agrari per la difesa delle terre e della rendita parassitaria, intensifica la strategia terroristica con l’eliminazione fisica di molti dirigenti dell’imponente movimento di lotta: questa strategia si rende necessaria perché la vittoria del “Blocco del Popolo” suona come un campanello d’allarme per le forze reazionarie che sembrano vacillare sotto l’ondata dell’occupazione delle terre.
Ai primi rari omicidi del 1945 segue un incremento del terrore nel 1946 con gli omicidi di vari sindacalisti, capilega e uomini politici, tra i quali Gaetano Guarino, sindaco socialista di Favara (…)”
Il 1° maggio la strage di Portella della Ginestra.
“All’opera intrapresa a Portella contro comunisti e socialisti la banda Giuliano dà un seguito nel giugno successivo con una serie coordinata di attentati alle sezioni del partito comunista e di alcuni comuni del palermitano.
Tra le dieci e le undici della sera del 22 giugno vengono attaccate con mitra, bombe a mano e benzina, le sezioni di Partinico, Carini, Borgetto e san Giuseppe Jato, mentre il giorno dopo tocca alle sezioni di Monreale e Cinisi.
Quello di Partinico risulta l’attentato più grave e più significativo perché, oltre ai due morti e ai cinque feriti, sul posto vengono raccolte copie di un manifesto con un appello ai siciliani di accorrere al quartier generale della banda, nel Feudo Sagana, per partecipare alla lotta antibolscevica iniziata da Salvatore Giuliano. (…)
La riforma agraria conosce forme di resistenza ostruzionistica ancor più sofisticate. Gli avvocati, per lo più professori nelle università siciliane, escogitano un ingegnoso sistema attraverso il quale permettono agli agrari, con spezzettamenti e successive fittizie intestazioni a figli e mogli, con la protezione degli interminabili giudizi civili contro contadini riottosi ma poveri, di passare quasi indenni attraverso una riforma concepita per attenuare il perverso sistema del latifondo.
Questa, tra le tante subite e perdute dai contadini, sarà chiamata “la guerra della carta bollata”. (…)
I contadini perdono la loro battaglia per molte ragioni concomitanti e sono costretti a lasciare i feudi, a emigrare in massa, con l’amarezza di non avere potuto conquistare le terre sulle quali hanno lavorato per generazioni, né avere giustizia per i loro morti.
Portella della Ginestra è una strage modello, nelle finalità stabilizzanti e nell’occultamento delle responsabilità politiche; segna l’inizio dell’era repubblicana in Sicilia e in Italia e a tale modello saranno ispirate le altre stragi che seguiranno, groviglio di collusioni tra politici, servizi deviati (anzi orientati), criminali comuni, centri istituzionali.
La verità per i morti di Portella forse non avrebbe cambiato il corso degli avvenimenti politici e sociali, sia in Sicilia come in Italia, ma li avrebbe potuti depurare di un tasso di violenza che, con gli anni, ha reso questo Paese uno dei più incivili d’Europa (malgrado avesse la Costituzione più bella del mondo!)
Da Portella della Ginestra alla Morte di Mattei il 27 ottobre 1962
Ed ora, giusto perché nessuno pensi (questo è l’esempio d’una tipica negazione affermativa) che “Portella della Ginestra sta tutta sola sul cuore dell’italica terra ed essa è subito serva”, ecco alcuni stralci dal libro “Enrico Mattei” di Nico Perrone ed. il Mulino 2001:
(p.96) “Dopo un incontro col Presidente dell’ENI, Pietro Nenni annotò così nel suo diario: si tratta di un grosso affare che fa risparmiare all’Italia una sessantina di miliardi e apre un vasto campo alla intensificazione degli scambi con l’Est. Una operazione rivoluzionaria che ha suscitato attacchi in America e ripercussioni in Italia. Se ne sono lagnati in particolare Segni, Pella e Scelba. Malgrado ciò l’accordo è stato ratificato dal governo.”
“Mattei aveva evidentemente l’influenza necessaria per orientare a favore dell’Eni il governo, anche in una questione che si riverberava fortemente sui rapporti con l’alleato americano.
(…) Mattei in un discorso del 1961 dette una puntuale motivazione delle sue scelte:
la nostra politica ha ottenuto dei successi, in quanto alla sua azione si deve il fatto che tutti i prodotti petroliferi venduti in Italia hanno i prezzi più bassi d’Europa. Noi non abbiamo portato via denari ai paesi produttori, i quali hanno diritto a percepire profitti e imposte dalle loro riserve petrolifere, ma ci ribelliamo all’idea di pagare il 40-45 per cento di profitto agli intermediari.
Su questo balzello privato non siamo d’accordo, non lo vogliamo più pagare. Vogliamo stabilire un rapporto commerciale con i paesi produttori, con lo scambio diretto tra materie prime da una parte e prodotti industriali dall’altra, come abbiamo fatto per esempio con l’Unione Sovietica, dove abbiamo portato a termine un contratto di 200 milioni di dollari. 100 milioni di dollari di petrolio da una parte, 100 milioni di dollari di forniture industriali nostre dall’altra. Mediante questi contratti abbiamo costretto tutte le compagnie petrolifere a ribassare i prezzi ed un ribasso molto notevole è stato riversato sul consumatore.
Mattei e i “bambinetti”
(p.98) l’Unione Sovietica non rimase l’unico interlocutore “nemico” del “mondo libero” con cui Mattei intrecciò rapporti commerciali, e politici. Fin dal 1958 egli si era recato nella Repubblica Popolare Cinese, ove aveva avviato colloqui per scambi commerciali. Allora, la Cina popolare era off limits: non era riconosciuta dagli Stati Uniti, non era ammessa alle nazioni Unite e, su pressione americana, non era riconosciuta dall’Italia e dagli altri paesi della Nato (con un’eccezione per il Regno Unito, che manteneva relazioni al rango di incaricati d’affari), né poteva intrattenere significativi rapporti commerciali con l’Occidente.
A seguito di quei primi contatti, Mattei si recò a Ginevra per incontrare Chen-Yi (8 marzo 1961) vice-presidente del Consiglio e ministro degli Esteri del governo di Pechino. (…) i viaggi dei dirigenti dell’Eni in Cina furono numerosi, dopo i primi colloqui di Mattei e anche una missione cinese venne ricevuta a San Donato Milanese, nella sede dell’Eni. I primi scambi commerciali della Cina col gruppo Eni, avvennero mediante l’esportazione di gomma sintetica prodotta dall’Anic. “The New York Times” valutò (20 agosto 1962) in 200 milioni di dollari l’accordo commerciale dell’Eni con la Cina.
(…) Egli (cioè Mattei, nell’incontro con A.W. Harriman, ambasciatore itinerante del presidente Kennedy) definì suicide le politiche di sfruttamento delle società petrolifere, perché esse avrebbero “inevitabilmente condotto, nel corso di pochissimi anni” i paesi del Terzo Mondo verso la “nazionalizzazione”. Ricordò di essersi dovuto rivolgere all’Unione Sovietica, ove poteva acquistare petrolio “al prezzo di 100 milioni di dollari anziché ai 140 che gli erano stati richiesti dalle società petrolifere” occidentali, pagando con “prodotti del gruppo Eni (petrolchimici, gomma sintetica e tubi)” e realizzando ulteriori “20 milioni di dollari di profitti”.
“Mattei venne a illustrare le dimensioni dell’Eni – che definì una giant corporation – con 3000 ingegneri, 300 geologi, 6000 chimici e altri tecnici”, lamentando che le società petrolifere “cercavano ancora di minacciare lui e l’Italia come se fossero dei bambinetti”.
Harriman chiese a Mattei se egli non avesse mai cercato un dialogo con le società petrolifere e Mattei rispose che la “settimana prima egli aveva incontrato per sette ore a Zurigo il “numero 3” della Standard”. Ricordò che lo avevano trattato con molta familiarità, ma egli non era stato in grado di raggiungere un accordo. Egli tuttavia voleva un simile accordo e intendeva continuare la discussione”. Mattei affermò: “L’Italia era un alleato e voleva essere parte dell’Occidente, ma anche l’Italia deve vivere”.
E aggiunse: “io sono povero, ma paziente” ed evidenziò continuamente, lungo il suo discorso, questo sentimento di discriminazione contro l’Italia.” (…) verso la fine dell’incontro, Mattei ribadì che “se i governi e le grandi industrie dell’Occidente” non sapranno valutare con realismo la situazione, “l’Asia, l’Africa e l’America latina si volgeranno altrove”. Harriman dette calorosamente ragione a Mattei. Il colloquio, inizialmente previsto in mezz’ora, era durato due ore.
Mattei “un po’ esaltato”
Harriman, ricordando quell’incontro con Cazzaniga, disse di aver trovato Mattei “un po’ esaltato” e che quell’uomo poteva essere pericoloso “se fosse stato sostenuto da una politica estera un po’ aggressiva”.
Si potrebbe concludere che in tale commento ci sarebbero gli elementi essenziali per comprendere il problema Mattei, da parte degli Stati Uniti: e bisognerebbe considerare anche che, rischi di una politica italiana ancora più incisiva, date le influenze che Mattei esercitava su Fanfani e Gronchi, a quel tempo effettivamente ne esistevano.
McGhee aggiunse che l’Eni, “questa organizzazione italiana di proprietà governativa, stava compiendo, in molte regioni del mondo, cose che sono state molto dannose agli interessi americani, il cui effetto “distruttivo” pesava nelle relazioni degli Stati Uniti col blocco sovietico.
(…) In ogni caso, da queste carte rimane dimostrato che i servizi segreti (SIFAR) avevano immediata conoscenza degli incontri e delle dichiarazioni di Mattei e dei suoi collaboratori.
Il colloquio si aprì con l’osservazione di Sulzberger di “una certa identità di vedute” fra Nenni e Mattei, e portò il giornalista – dopo aver ricordato che il leader socialista “ebbe delle forti critiche verso il patto atlantico” a chiedere quale posizione avesse Mattei rispetto all’alleanza. Mattei – questo è un punto importante – avrebbe risposto in modo diretto e deciso: “io sono contrario al patto atlantico”.
Gli slogan contro la Nato, correnti nei cortei pacifisti della sinistra intesi più per galvanizzare le masse su una linea antigovernativa che per pervenire a qualche risultato – parevano lontani da ogni ragionevole esito di politica estera – trovavano nelle dichiarazioni di Mattei un sostegno che li rendeva invece più irritanti per la sensibilità dell’establishment americano.
“la reignezione”
(p. 126) Nel dicembre 1953, al culmine di una crisi, il Pignone, una fabbrica fiorentina rischiava la chiusura con il licenziamento di circa 1.200 lavoratori. Il sindaco Giorgio La Pira si convinse a far rilevare questa fabbrica dall’Agip, dall’Agip Mineraria e dalla Snam, tre società controllate dall’Eni. Il Nuovo Pignone sviluppò un programma che gli diede la leadership mondiale in alcuni settori. Il Nuovo Pignone – per primo al mondo – introdusse la tecnologia della “reignezione”, attraverso la quale i gas inutilizzati, che venivano bruciati accanto al pozzo determinando un pennacchio di fuoco, vennero ripompati nel sottosuolo, col risultato di recuperare energia per tenere sotto pressione i giacimenti e di conservare per la successiva utilizzazione, degli idrocarburi che, con le vecchie tecnologie, andavano invece perduti causando inquinamento.
P.s.: perdonate, se potete; la parafrasi quasimodiana.
2 aprile 2024
Oronzo Mario Schena
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