Femminismo oltre il politicamente corretto
di DOPPIOZERO (Annarosa Buttarelli)
iamo in un’epoca di “caos cognitivo” che si è preso molti cervelli nel mondo. Spesso anche quelli che si ritenevano cervelli migliori, a sinistra, paiono brancolare nel buio e non comprendere cosa accade veramente nella realtà quotidiana. Molti concordano nel pensare che sia perché la sinistra istituzionale si è adattata all’andamento confuso del cosiddetto capitalismo neoliberista finanziario, adattamento che collabora con la fine del pensiero critico attraverso l’elaborazione del cosiddetto “politicamente corretto”, altrimenti pensabile come morale pubblica imposta soprattutto attraverso i media, social compresi.
Il combinato disposto di caos cognitivo e politicamente corretto conduce velocemente a uno stato mentale e comportamentale che potremmo definire di dominio, poiché si esplica soprattutto attraverso slogan, parole d’ordine, formule morali, e soprattutto fumo, con cui si ricopre ogni cosa grazie all’attivazione continua dell’appello ai “diritti”. Si dimentica, allo stesso tempo a destra e a sinistra, che nel sistema giuridico occidentale i “diritti” sono individuali e si richiamano strettamente a proprietà individuali. Questo era molto chiaro alle donne, fino al femminismo della seconda ondata compreso, perché, in tutto questo, non erano mai state considerate (grazie al cielo).
Oggi, grazie al mercato neoliberista dei diritti, il femminismo come soggetto politico è diviso in correnti, in pratiche differenti, in prese di posizione molto distanti tra loro: sinistra istituzionale e femminismi difensori della libertà individualistica si trovano d’accordo nel contestare il femminismo delle origini che “non crede di avere (solo) dei diritti”. Francesca Izzo, nell’eccellente introduzione al libro collettivo Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi curato da Daniela Dioguardi, femminista della differenza sessuale (di quel femminismo, cioè, della libertà non individualistica) – spiega molto chiaramente la distanza, sua, come di altre, “da partiti e organizzazioni della sinistra a cui erano appartenute o avevano guardato con simpatia.”
La mia premessa dà una traccia per capire i motivi di questo allontanamento, e ulteriori ragioni possono essere trovate nella lacerazione prodotta, anche tra donne, da temi e appelli “divisivi”. La divisione deve ringraziare i dettami politicamente corretti, che ammaliano anche una parte delle femministe, creando nella mente una forbice dicotomica. Eccone alcuni: affido condiviso che “cancella la madre”; prostituzione come “lavoro” parificato agli altri neoliberisti; maternità surrogata come diritto a avere figli a prescindere dall’unità psicofisica materna; identità di genere che nega l’unità psicofisica di ogni corpo, e via così da una dicotomia all’altra.. L’inaccettabilità, sia logica sia umana, di questa confusione del presente, risulta sottolineata da un’evidenza: ogni dicotomia che si presenti nella storia tende a cancellare le donne di sesso femminile dalla cittadinanza e dall’autorità guadagnata dal pensare radicalmente.
Forse ci stiamo avviando verso una nuova era che tende all’insignificanza del soggetto sessuato? O si tratta forse di un revanchismo misogino di maschi che intendono riprendersi di nuovo l’autorità assoluta? Le autrici del libro si sono sentite nella necessità di mettere nero su bianco “i problemi che ci stanno di fronte, non affrontabili accumulando e sovrapponendo diritti. Si tratta invece di rivoluzionare i fondamenti, i paradigmi della cittadinanza perché l’ingresso delle donne significa la rottura e lo sconvolgimento degli assetti istituzionali”, compreso tutto quanto supporta questi assetti, come il “politicamente corretto”. Le esperienze e i contributi di riflessione contenuti nel libro cercano di rispondere alla domanda: perché per porre fine alle discriminazioni e alle violenze si deve annullare la differenza sessuale?
Scrive Francesca Izzo, “Nei fatti ciò che viene dissolto è la donna (dell’uomo non se ne parla…) per raggiungere un’uguaglianza secondo imperativi sociali pensati e voluti dagli uomini per gli uomini. […] Cosa succede quando la sinistra cosiddetta progressista si chiude al confronto su alcuni temi e l’inclusione diventa dogma? Oltre a lasciare spazio in maniera allarmante alla destra sugli stessi temi, rischia di contribuire all’affermazione di nuove censure e ingiustizie, anziché allo sviluppo di nuove pratiche democratiche.” Non lasciamo ai posteri l’ardua sentenza. I tempi che corrono stanno già esprimendo il loro giudizio.
In copertina, Faith Wilding, Big Herbal, 2020, Courtesy the artist and Anat Ebgi.
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