Kursk: invasione del territorio russo pianificata dall’Occidente?
di ROBERTO IANNUZZI (blog personale)
Capovolgere la narrazione del conflitto e rafforzare il fronte bellicista occidentale fra gli obiettivi di un’azione volta a mettere in difficoltà Mosca innanzitutto da un punto di vista mediatico.
Sebbene siano queste le tesi trionfalistiche di una parte consistente della stampa occidentale, non ci sono elementi concreti che lascino presagire un simile esito.
L’episodio segna tuttavia una pericolosa escalation nella misura in cui vi sono indicazioni che alcuni paesi occidentali abbiano direttamente partecipato alla pianificazione e realizzazione dell’invasione di un pezzo di territorio russo.
La vista di carri armati, blindati ed altri sistemi d’arma occidentali impegnati nella conquista di terre russe per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale è certamente un evento il cui impatto non può essere sottovalutato.
Senz’altro Kiev ha colto di sorpresa i vertici militari di Mosca, penetrando rapidamente per una trentina di chilometri in terra nemica a partire dal 6 agosto, catturando decine di piccole città e villaggi, e provocando l’evacuazione di oltre 100.000 cittadini russi.
Questo iniziale successo ha generato una quantità impressionante di commenti ottimistici sui media occidentali, incentrati sull’idea che l’Ucraina può riprendere l’iniziativa sul campo di battaglia.
Ma l’azione a sorpresa di Kiev non ha determinato un ridispiegamento delle forze di Mosca tale da allentare la pressione sul Donbass, dove al contrario le truppe russe continuano ad avanzare. Nel frattempo, l’offensiva ucraina a Kursk si è ormai praticamente arrestata, sebbene non si possa escludere che Kiev stia preparando ulteriori sorprese e provocazioni.
Rimangono ad ogni modo diversi aspetti da chiarire riguardo a questa incursione a sorpresa, dall’apparente impreparazione russa, ai reali obiettivi dell’azione ucraina, alla concreta probabilità che diversi paesi partner di Kiev abbiano contribuito ad organizzarla (compiendo un altro passo in direzione del diretto coinvolgimento occidentale nel conflitto), ed infine alla possibilità che tale offensiva rafforzi ulteriormente il fronte bellicista nello schieramento che sostiene l’Ucraina.
Effetto sorpresa
Il fatto che i russi siano stati colti di sorpresa è stato spiegato in vari modi.
Il confine era scarsamente difeso, in primo luogo perché i russi probabilmente ritenevano che un attacco su quel tratto di frontiera, relativamente povero di obiettivi strategici, non avesse senso, in particolare in un momento in cui gli ucraini dovevano contrastare la sempre più minacciosa avanzata russa in Donbass.
L’avvento dell’era dei piccoli droni ha poi cambiato il modo in cui vengono difesi soprattutto i teatri inattivi. Invece di una linea di contatto densamente presidiata da soldati che sarebbero facile bersaglio di droni e dell’artiglieria supportata da droni, le linee più avanzate vengono lasciate di solito relativamente sguarnite di uomini, mentre la linea fortificata principale corre almeno una decina di chilometri dietro di esse.
Dunque un certo livello di penetrazione ucraina era da attendersi in ogni caso. Il confine è poi coperto da foreste, che facilitano l’infiltrazione, come già avevano saputo fare i russi in occasione dell’offensiva di Kharkiv del maggio 2024.
A differenza dei russi a Kharkiv, tuttavia, gli ucraini hanno condotto un’operazione combinata con una forte componente meccanizzata, più difficile da dissimulare.
Secondo fonti occidentali, la dissimulazione sarebbe stata facilitata dalla campagna mediatica ucraina che aveva lanciato l’allarme su una possibile offensiva russa nella confinante regione di Sumy. Ciò avrebbe in parte giustificato, agli occhi dei vertici militari di Mosca, il convergere di forze ucraine nella regione “a scopo apparentemente difensivo”.
Alcuni movimenti sospetti di truppe ucraine sarebbero stati rilevati da unità russe al confine, le quali avrebbero riferito ai vertici militari a Mosca. Questi ultimi forse li hanno sottovalutati considerandoli come movimenti di natura difensiva, o come esercitazioni.
Inizialmente gli ucraini hanno attaccato con un contingente di appena 2.000 uomini, cosa che avrebbe indotto i russi a ritenere che l’incursione non rappresentasse una minaccia seria. La seconda ondata ucraina era composta invece da un contingente di oltre 10.000 soldati (ora saliti addirittura a 20.000, secondo alcune fonti russe).
L’operazione sarebbe stata organizzata nella massima segretezza. Nemmeno le unità ucraine coinvolte erano inizialmente a conoscenza della missione per la quale erano state richiamate.
Obiettivi strategici ucraini
A cosa puntava esattamente l’offensiva ucraina nell’oblast di Kursk? Alla luce dell’estensione abbastanza piccola di territorio che le forze di Kiev sono effettivamente riuscite a conquistare, l’elemento più importante da un punto di vista strategico è la cittadina di Sudzha.
La rilevanza economica di questo piccolo centro sta nel fatto di essere un hub di distribuzione del gas e uno snodo ferroviario.
Da esso passa infatti il gasdotto Urengoy-Pomary-Uzhhorod che trasferisce tuttora una media di circa 42 milioni di metri cubi di gas al giorno verso l’Europa (una quantità paragonabile passa attraverso il gasdotto TurkStream).
Se questo flusso di gas dovesse essere interrotto a causa dei combattimenti, a scapitarne sarebbero soprattutto i paesi europei che tuttora ne dipendono (Slovacchia e Ungheria, considerati paesi filorussi, Austria e, in misura minore, Italia e Croazia).
Un’eventuale interruzione sarebbe però un colpo anche per Gazprom, che tuttora riceve dall’Europa introiti pari a circa 5 miliardi di dollari l’anno, una cifra non trascurabile alla luce delle difficoltà economiche della compagnia russa.
Gazprom non ha più alcun controllo sulla stazione di misurazione presso Sudzha in cui viene rilevato il flusso di gas, il che comporta il rischio di interferenze esterne sulle apparecchiature, ed impedisce al personale della compagnia di eseguire le normali procedure di manutenzione.
Il controllo ucraino di Sudzha lascia inoltre una sola linea ferroviaria da Kursk a Belgorod a disposizione dei russi, complicandone gli sforzi logistici. L’autostrada E105 che unisce i due capoluoghi, ed è strategica per sostenere il fronte russo di Kharkiv, non pare invece al momento particolarmente minacciata.
Al di là di possibili attacchi con droni, la centrale nucleare di Kursk non sembra essere attualmente alla portata dell’incursione ucraina, ma i rischi potrebbero aumentare in futuro.
Nella parte occidentale dell’oblast, gli ucraini hanno invece distrutto alcuni ponti sul fiume Seim, di fatto limitando la loro avanzata al più alla riva sud di tale fiume, dunque senza raggiungere altre località di rilievo.
Questa rapida panoramica indica che in effetti gli obiettivi strategici raggiungibili dall’offensiva ucraina nell’oblast di Kursk sono relativamente scarsi.
Certamente un obiettivo dell’operazione ucraina era invece quello di spingere Mosca a disimpegnare forze dal Donbass, dove le truppe di Kiev sono in grossa difficoltà, per riconquistare il territorio di Kursk. Questa speranza si è tuttavia rivelata vana.
I russi hanno optato per una risposta calibrata a Kursk, al fine di non sottrarre forze alla spinta offensiva in particolare nell’oblast ucraino di Donetsk. A contenere l’invasione ucraina è stata inviata una miscela di riservisti e di truppe scelte provenienti dal sud e dal nordest dell’Ucraina, ma non dal Donbass.
Nell’oblast di Donetsk ad essere particolarmente minacciata dall’avanzata russa è la cittadina di Pokrovsk. Kiev ne ha ordinato l’evacuazione. Dall’inizio dell’offensiva ucraina su Kursk, la progressione russa su Pokrovsk ha addirittura accelerato il passo, giungendo a pochi chilometri dall’abitato.
La caduta di Pokrovsk, uno snodo logistico vitale per lo sforzo bellico ucraino nell’est del paese, potrebbe preludere alla perdita dell’intero oblast di Donetsk da parte di Kiev.
La scelta ucraina di sottrarre brigate di grande esperienza allo sforzo difensivo nel Donbass per impegnarle nell’offensiva di Kursk potrebbe rivelarsi fatale.
Per contro, impiegare queste forze preziose in una guerra di manovra in territorio russo le ha esposte al terribile fuoco delle forze di Mosca ed a linee di rifornimento fragili e insicure, facile bersaglio dei droni avversari.
Allo stesso modo, l’impiego dei lanciarazzi HIMARS e di armi di difesa aerea nell’offensiva ha esposto questi sistemi d’arma alla reazione russa, provocando gravi perdite agli ucraini, in termini di uomini e mezzi.
Né l’azione ucraina sembra aver posto le premesse per una svolta negoziale. Al contrario, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha espressamente dichiarato che dopo l’invasione di Kursk non possono esservi negoziati con Kiev.
Mosca certamente non intende barattare territori in una regione altamente urbanizzata e industrializzata come il Donbass con zone scarsamente popolate e prive di reale valore strategico nell’oblast di Kursk.
L’operazione ucraina sembra dunque comportare, semmai, un inasprimento e un prolungamento del conflitto (sempre se reggerà il fronte nell’Ucraina orientale e il governo a Kiev).
Ruolo occidentale
Il 21 agosto, il quotidiano russo Izvestia ha rivelato un rapporto dell’SVR, i servizi segreti esteri di Mosca, secondo il quale l’offensiva ucraina su Kursk non era stata un’azione militare preparata da Kiev di propria iniziativa, bensì organizzata in collaborazione con quattro paesi occidentali.
I mezzi di informazione americani ed europei avevano in precedenza scartato una simile ipotesi, talora addirittura affermando che anche l’Occidente era stato colto di sorpresa dall’iniziativa ucraina.
Secondo il rapporto dell’intelligence russa, i vertici militari di USA, Regno Unito e Polonia avrebbero invece collaborato alla pianificazione dell’operazione. Le unità ucraine coinvolte sarebbero state addestrate in Germania e Gran Bretagna.
Consiglieri militari di questi paesi avrebbero fornito assistenza nella gestione delle unità ucraine che hanno invaso il territorio russo e nell’uso di armi ed equipaggiamento militare occidentale da parte degli ucraini.
Tali paesi avrebbero inoltre fornito all’esercito di Kiev intelligence satellitare sul dispiegamento delle truppe russe nell’area dell’operazione.
Mykhailo Podolyak, primo consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha velatamente confermato questa tesi dichiarando all’Independent che “vi erano state discussioni tra le forze alleate, anche se non in pubblico” riguardo all’offensiva.
Dal canto loro, la stampa e il governo di Londra non si sono fatti scrupolo di propagandare il ruolo britannico, in termini di fornitura di armi e di assistenza di intelligence, nell’operazione.
Il Times di Londra ha scritto che “l’equipaggiamento britannico, droni inclusi, ha giocato un ruolo centrale nella nuova offensiva ucraina, e personale britannico ha direttamente consigliato le forze armate di Kiev…a un livello non eguagliato da nessun altro paese”.
Sebbene la Casa Bianca abbia dichiarato che non era informata dell’operazione, si può facilmente ipotizzare il contrario a giudicare da quanto scritto da James Stavridis, ex ammiraglio USA già comandante supremo delle forze NATO in Europa, sulle colonne di Bloomberg.
Dopo aver rilevato con apparente leggerezza, e quasi con ammirazione, che quella ucraina è la prima invasione del territorio russo dopo quella tedesca di Hitler del 1941, Stavridis osserva che Kiev ha compiuto a Kursk “ciò che più di due anni di consulenza e supporto occidentale erano finalizzati ad ottenere; una vera operazione offensiva ad armi combinate”.
“Utilizzando la vasta gamma di sistemi d’arma forniti dall’Occidente”, scrive Stavridis, “dai droni avanzati ai nuovi caccia F-16, dai carri armati da combattimento ai missili ATACMS a lungo raggio, gli ucraini hanno dimostrato di poter superare i loro avversari più numerosi ma meno agili”.
“Notevole è stata anche la capacità ucraina di preparare ed eseguire l’operazione nonostante la presenza di satelliti e operativi dell’intelligence russa. È molto più difficile ottenere l’elemento sorpresa in un campo di battaglia moderno sotto lo sguardo costante degli attuali sistemi di sorveglianza, dai droni alle capacità informatiche avanzate”.
“Complimenti ai pianificatori ucraini”, conclude Stavridis, sebbene si abbia l’impressione che tali complimenti siano ugualmente rivolti ai pianificatori occidentali, senza i cui strumenti satellitari, di monitoraggio e di intelligence, una simile operazione sarebbe stata probabilmente impossibile.
Vittoria del fronte bellicista
Uno degli obiettivi più importanti ma forse meno sottolineati dell’offensiva di Kursk ha a che fare con la coesione del fronte occidentale e con la definizione della sua linea politica riguardo al conflitto con Mosca.
Stavridis sostiene che l’offensiva è un messaggio rivolto ai leader di Europa e USA, il quale confermerebbe la validità della strategia di addestramento, equipaggiamento e consulenza militare fin qui adottata nei confronti dell’esercito ucraino.
L’azione condotta da Kiev, insiste l’ex ammiraglio americano, ha cambiato la percezione della competenza dell’esercito ucraino, ne ha risollevato il morale, e può essere un’importante elemento contrattuale nei confronti della Russia.
Altri hanno sottolineato che l’incursione ucraina dimostrerebbe l’inconsistenza delle “linee rosse” imposte dal Cremlino, il quale avrebbe reagito debolmente all’invasione del territorio russo. Ciò confermerebbe che i timori di alcuni politici occidentali sui rischi di escalation, nel caso in cui queste linee rosse vengano oltrepassate, sarebbero infondati.
L’offensiva capovolgerebbe la narrazione del conflitto, dimostrando che la miglior difesa è l’attacco. Ciò consentirebbe anche all’Occidente di guadagnare tempo per l’invio di armi a Kiev, e costringerebbe Mosca a preoccuparsi della difesa dei propri lunghi confini, secondo un articolo della RAND Corporation.
Secondo questa interpretazione, l’operazione a sorpresa di Kursk dovrebbe spingere i leader europei ed americani a eliminare ogni restrizione all’impiego delle armi occidentali in territorio russo da parte ucraina, come ha chiesto lo stesso Zelensky. In alternativa, Kiev potrebbe addirittura impiegare propri missili balistici recentemente autoprodotti.
Vi sono poi esponenti politici statunitensi che hanno sfruttato l’offensiva di Kursk per accusare l’amministrazione Biden di inconcludenza ed eccessiva cautela.
E vi è chi, come Wess Mitchell, ex assistente segretario di Stato sotto l’amministrazione Trump, ha sostenuto che la Casa Bianca deve inviare più armi a Kiev, senza alcuna restrizione di impiego, per “stabilizzare” l’Europa prima di affrontare la Cina.
Simili posizioni belliciste sono condivise a Londra dal nuovo governo laburista di Keir Starmer, che ha mostrato chiaramente di non voler essere inferiore al governo precedente in fatto di atteggiamento ostile a Mosca.
Vi è anche l’esigenza di ricompattare lo schieramento occidentale nel momento in cui alcuni paesi cominciano ad esprimere perplessità e, come la Germania, a mostrare difficoltà di bilancio che richiederebbero una riduzione degli aiuti a Kiev.
Sebbene l’offensiva di Kursk abbia fin qui dimostrato un valore militare relativamente limitato, la sua pericolosità risiede nel fatto che essa imbaldanzisce un fronte bellicista composto da esponenti politici e militari di diversi paesi, dagli USA alla Gran Bretagna, alla Germania ed ai paesi baltici.
Tale fronte intende schiacciare ogni forma di dissenso nello schieramento occidentale, scoraggiando ogni apertura negoziale, proponendo azioni sempre più provocatorie nei confronti di Mosca, inclusi attacchi in profondità in territorio russo con armi a lunga gittata (ATACMS, Storm Shadow, ecc.), e spingendo verso un coinvolgimento sempre più diretto dei paesi NATO al fianco di Kiev.
FONTE: https://robertoiannuzzi.substack.com/p/kursk-invasione-del-territorio-russo
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