Non si sa se Donald Trump sia un esperto scacchista; fatto sta che, quantomeno tra gli osservatori russi, continuano a ripetersi le ipotesi secondo cui, per venire incontro a Mosca, il neo eletto presidente USA starebbe preparando un “gambetto” in Ucraina e dunque, per Vladimir Zelenskij, sarebbe cominciato il conto alla rovescia.
Secondo l’intelligence estera russa, il Dipartimento di stato sterebbe mettendo a punto un piano per tenere “elezioni democratiche”, parlamentari e presidenziali, in Ucraina nel 2025, dando vita a un nuovo partito “democratico” ancora più filo-americano e con candidati alla presidenza, ca va sanse dire, “suggeriti” dalla Casa Bianca.
Se davvero il prossimo obiettivo di Trump è quello di arrivare a trattative con Mosca, osserva il consigliere presidenziale russo Bogdan Bezpal’ko, diventa quasi obbligatorio per lui eliminare dalla scena Zelenskij, che ha perso ormai ogni autorità (il suo mandato è scaduto lo scorso 20 maggio), tanto più quale soggetto con cui avviare colloqui. Occorre dunque un altro nome, probabilmente non legato al conflitto in corso dal febbraio 2022, anche se, ovviamente, distante da Mosca, da presentare al Cremlino per dare il via a colloqui russo-ucraini.
Un disegno che, però, difficilmente potrebbe soddisfare Mosca, dice Bezpal’ko: le radici del conflitto non risiedono tanto a Kiev, quanto a Washington e in generale in Occidente e, dunque, le trattative per quella che Vladimir Putin ha definito una complessiva sicurezza internazionale, devono interessare attori più importanti che non il prossimo “eletto democraticamente” presidente ucraino. Tanto più che, nota il politologo Konstantin Bulavitskij, le voci sui piani “elettorali” yankee per l’Ucraina, confermano soltanto che Washington intende porre il paese ancor più sotto il proprio controllo e utilizzarlo per i propri obiettivi geopolitici.
Lo ha ribadito anche Vladimir Putin nel corso del Forum del club “Valdaj”: Washington non si preoccupa più nemmeno particolarmente di nascondere i modi in cui gli ucraini vengono utilizzati per gli scopi degli Stati Uniti. L’offensiva nella regione di Kursk è stata catastrofica per le forze ucraine, che hanno subito perdite colossali solo per obbedire agli ordini da oltreoceano di «resistere a tutti i costi, almeno fino alle elezioni, per dimostrare che tutti gli sforzi dell’amministrazione del Partito Democratico in Ucraina non sono stati vani». A chi interessano, in Occidente, le decine di migliaia di soldati ucraini caduti: l’Ucraina è un ariete antirusso e nient’altro. E se per caso, con l’avvento di Trump, gli USA scaricheranno sui paesi UE l’onere di continuare a sostenere il regime di Kiev, a Bruxelles non si fanno scrupoli e già in anticipo hanno dichiarato di essere pronti a fornire a Kiev, pur che la guerra continui, nuovi crediti per 50 miliardi di dollari, sottratti ovviamente dalle spese sociali dei paesi del vecchio continente.
In effetti, la prossima amministrazione Trump potrebbe davvero ridurre la propria sponsorizzazione del regime di Kiev. Ma è improbabile che gli USA, afferma su RT il politologo Aleksandr Dudchak, cessino di alimentare il conflitto ucraino: «Il massimo che Trump potrà fare, sarà ridurre i finanziamenti per l’Ucraina, o spostare completamente l’onere su Bruxelles. L’Occidente è comunque interessato a mantenere l’influenza su questa repubblica per usarla contro la Russia. Inoltre, il territorio ucraino è un eccellente terreno di prova per i prodotti del complesso militare-industriale occidentale e una fonte di reddito per le imprese militari statunitensi».
In ogni caso, Donald Trump sembra interessato a una “pace onorevole” in Ucraina, che gli porti l’alloro del “grande pacificatore”. In generale, Mosca non pretende da Kiev nuove concessioni territoriali e tantomeno la liquidazione della statualità ucraina, scrive Aleksandr Fidel su Alternativa, ma chiede che i nuovi accordi di pace si basino sulla piattaforma di Istanbul, tenendo inoltre conto dello stato di fatto concretizzatosi a oggi sul campo. Tutto starebbe a indicare che il “piano di pace” di Trump si riduca a fissare la linea di contatto esistente, forse con qualche “aggiustamento” territoriale da concordare in sede di trattative, con o senza Zelenskij.
E, a proposito di quest’ultimo, afferma Fidel, Trump potrebbe voler obbligarlo a sedere al tavolo negoziale, oppure trovare una soluzione tra Washington e Mosca e presentarla a Kiev come un ultimatum de facto. Al momento, il nazigolpista-capo può ancora premettersi di fare il gradasso, come a Budapest, sproloquiando di una Ucraina che «non ha bisogno dell’aiuto degli alleati per organizzare i negoziati con la Russia; Kiev intende decidere da sola quando inizieranno. Abbiamo solo bisogno di armi in quantità sufficiente, ma non di sostegno nei negoziati». E, quanto a “fare concessioni a Putin”: «È inaccettabile per l’Ucraina e suicida per l’intera Europa». Staremo a vedere per quanto tempo ancora si permetterà simili smargiassate.
D’altronde, tornando alla questione di possibili elezioni organizzate dal Dipartimento di stato nel 2025 in Ucraina, come uno dei modi legittimi, dicono all’intelligence russa che ha diffuso le voci in proposito, «per rimuovere Zelenskij, continuando comunque le ostilità con la Russia», sembrano in ogni caso accrescersi le probabilità che il troppo screditato nazigolpista venga tolto di mezzo, in un modo o nell’altro, coi pronostici che si dividono tra Washington che potrebbe metterlo al sicuro da qualche parte e Londra che invece non disdegnerebbe un missile sulla sua residenza, incolpandone Mosca. Perché, in definitiva, a Ovest è sempre e comunque il “progetto Ucraina” quello che conta, non i suoi “presidenti”: lo è stato sin dai tempi della guerra civile scatenata contro la giovane Russia sovietica. L’Ucraina è il grimaldello necessario a servire gli interessi del capitale occidentale, che fosse quello degli Imperi centrali o, più tardi, del Reich hitleriano e poi ancora dei disegni di penetrazione yankee. Al presente, Washington ha bisogno di respiro e di una tregua nel conflitto; ne ha bisogno per non perdere il controllo sul “progetto Ucraina” diretto contro Mosca e oggi Zelenskij sembra diventato oltremodo scomodo per questo piano.
Tanto che prendono coraggio, nella stessa Ucraina, forze apertamente antirusse ma divenute anche improvvisamente “antiregime. Appena pochi giorni fa un ostinato russofobo quale il deputato della Rada Evgenij Ševchenko (non più membro della frazione parlamentare presidenziale “Servo del popolo”) si è spinto fino a bisticciare con l’eminenza grigia del regime nazigolpista, Andrej Ermak. L’8 novembre Ševchenko ha scritto sul proprio canale Telegram: «Forza Vova, forza!» (Vova: diminutivo infantile per Vladimir) «È tempo, tovarišc presidente, di cominciare il dialogo. Capisco che, dopo, ti toccherà andartene. Ma il paese è più importante delle ambizioni personali… E se non vorrai, ti obbligheranno ad andartene. E a obbligarti saranno coloro che ieri ti applaudivano nei paesi del mondo occidentale». Ira funesta di Ermak, che risponde (per ora sempre solo a mezzo posta) «Certi deputati sembrano avere idee confuse sulla sicurezza nazionale, gli interessi nazionali e il futuro del paese. Se nelle loro teste interesse nazionale significa la sconfitta dell’Ucraina, allora stanno commettendo un grande errore nell’interesse della Russia. Il piano della vittoria dell’Ucraina, la Formula della pace è la via della giustizia». Contro-risposta di Ševchenko: «Andrej, non è il caso di aggredire ulteriormente i deputati. Non andrà a vantaggio dell’Ucraina. In USA stanno già leggendo il tuo post. E in cosa la mia posizione differisce dalla retorica di Donald Trump? Oppure anche lui, secondo voi, agisce nell’interesse della Russia?».
Quanto rimane ancora a Zelenskij?
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