Il CdS demolisce le “terne dipartimentali”: solo le commissioni possono valutare chi diventa professore nelle università italiane
da ROARS (Redazione)
Il Consiglio di Stato, in accoglimento di un ricorso amministrativo, ha contestualmente cassato il regolamento dell’Università di Trento nella parte relativa al reclutamento. La pronuncia del Consiglio di Stato mette ordine in una materia sulla quale eravamo già intervenuti a suo tempo, verificando come l’autonomia accademica avesse di fatto balcanizzato il reclutamento dei professori nei 97 atenei pubblici e privati italiani, vulnerando l’art. 97 Cost., e sulla quale si era espresso impeccabilmente Gianluca Gardini lo scorso febbraio. Citiamo dalle conclusioni del suo articolo apparso sul Diario di Diritto Pubblico:
tutti gli Atenei che adottano la tecnica delle terne di idonei, riservando la chiamata del vincitore al Consiglio di dipartimento che compie così una sorta di cooptazione, si pongono al di fuori dell’art. 97 della Costituzione italiana, e violano in modo palese (annullabilità per violazione di legge o finanche nullità per violazione diretta di una norma costituzionale) i principi e le regole sul reclutamento dei professori universitari di ruolo.
Un breve commento è disponibile anche qui.
D’ora in poi tutti gli atenei italiani che intendano mantenere la previsione che la valutazione dei candidati contempli anche la valutazione di un seminario tenuto dai partecipanti alla selezione concorsuale dovranno conformare il proprio regolamento in modo da attribuire alla commissione di concorso esterna all’ateneo il compito di:
- valutare anche la presentazione del seminario ad opera dei candidati risultati idonei all’esito della valutazione preliminare del loro curriculum, dei loro titoli e delle loro pubblicazioni;
- a conclusione di detta ulteriore fase valutativa, procedere all’individuazione del concorrente più meritevole, ai fini della sua chiamata da parte dell’Università.
A latere di questa conclusione, è agevole attendersi che i candidati valutati dalla commissione, ma non scelti dai dipartimenti, che siano ancora in termini per proporre ricorso (120 giorni per il ricorso straordinario al P.d.R.) facciano valere le loro ragioni. E a tal proposito sarebbe auspicabile che gli atenei italiani interessati da questa delicata situazione procedano in autotutela, annullando le procedure ancora ricorribili, per rinnovarle conformemente alle indicazioni del Consiglio di Stato, anche per evitare ulteriori conseguenze risarcitorie ed erariali.
Segue il testo della sentenza, i cui effetti si estendono a tutti gli atenei che hanno adottato regolamenti analoghi a quello trentino (un elenco è disponibile qui).
Pubblicato il 25/10/2024
08516/2024 REG.PROV.COLL.
08006/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8006 del 2023, proposto dal dott. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Cristina Osele e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi di Trento, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. Roberta De Pretis e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;
dott. -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, Sezione Unica, n. -OMISSIS-del 15 giugno 2023, resa tra le parti sul ricorso R.G. n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della dott.ssa -OMISSIS-;
Vista la memoria costituzione e difensiva dell’Università degli Studi di Trento;
Visti i documenti dell’appellata;
Viste le memorie e le repliche dell’appellante e dell’appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 settembre 2024 il Cons. Pietro De Berardinis e uditi per le parti l’avv. Maria Cristina Osele e l’avv. Roberta De Pretis;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
L’odierno appellante, dott. -OMISSIS-, espone di aver partecipato alla procedura concorsuale indetta dal Rettore dell’Università di Trento con decreto -OMISSIS-per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato di tipo B presso la Facoltà di Giurisprudenza per il settore concorsuale 12/H3 (Filosofia del diritto), settore scientifico disciplinare IUS/20 (Filosofia del diritto), alla quale partecipavano, altresì, il dott. -OMISSIS- e la dott.ssa -OMISSIS-.
Espletate le operazioni valutative, la Commissione giudicatrice esprimeva all’esito della seduta del 23 giugno 2022 il giudizio sulle conoscenze linguistiche dei candidati (“ottimo” per tutti), nonché la valutazione complessiva, condensata nei giudizi di “molto buono” per l’odierno appellante e per il dott. -OMISSIS- e di “ottimo” per la dott.ssa -OMISSIS-; gli atti della Commissione venivano approvati dal Rettore con decreto -OMISSIS-.
In data 13 luglio 2022 seguiva la tenuta, da parte dei candidati, dei seminari innanzi al Consiglio della struttura dipartimentale Facoltà di Giurisprudenza in seduta “allargata”, in esito alla quale il predetto Consiglio giudicava di pari livello le presentazioni svolte dai candidati e, per conseguenza, riteneva di dare prevalenza ai giudizi della Commissione di concorso, dai quali, come si è detto, era emersa la superiorità della dott.ssa -OMISSIS-. Pertanto, il citato Consiglio deliberava, con voto unanime, la chiamata della suddetta candidata, senza ulteriore approvazione degli atti da parte del Rettore o del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo.
Il dott. -OMISSIS-impugnava gli atti della suddetta procedura concorsuale, chiedendo l’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti:
– l’estratto del verbale n. -OMISSIS- del Consiglio della struttura dipartimentale Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, recante deliberazione della chiamata della dr.ssa -OMISSIS- al posto di ricercatore messo a concorso a far data dal 1° settembre 2022;
– gli atti presupposti, connessi e conseguenti, tra cui il decreto rettorale di nomina della Commissione giudicatrice, i verbali di quest’ultima, il decreto del Rettore -OMISSIS- di approvazione degli atti della Commissione stessa e il Regolamento per il reclutamento e la progressione di carriera dei professori e dei ricercatori, nonché per il conferimento degli assegni di ricerca (“Regolamento”). Di quest’ultimo il ricorrente chiedeva, in alternativa, la disapplicazione.
Da ultimo il ricorrente domandava la disapplicazione, l’annullamento o la declaratoria di nullità del contratto di lavoro, ove medio tempore stipulato tra l’Ateneo e la controinteressata.
L’adito T.R.G.A. di Trento, Sez. Unica, con sentenza n. -OMISSIS-del 15 giugno 2023, dichiarava in parte inammissibile e per il resto respingeva il ricorso del dott. -OMISSIS-.
Con il ricorso in epigrafe l’appellante ha impugnato la sentenza ora vista, chiedendone la riforma e deducendo, a supporto del gravame, i seguenti motivi:
1) error in iudicando per errata applicazione dei principi della l. n. 240/2010 rispetto al regolamento dell’Ateneo per il reclutamento dei professori e ricercatori universitari, motivazione omessa, errata e contraddittoria, giacché il T.R.G.A. avrebbe errato nel ritenere gli artt. 24-26 del Regolamento (che disciplinano le modalità di svolgimento delle procedure di valutazione comparativa) coerenti con i principi fondamentali sulla selezione dei ricercatori di cui all’art. 24 della l. n. 240/2010 (c.d. riforma Gelmini. A nulla rileverebbe l’autonomia regolamentare dell’Università, poiché l’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 142/2011 vincolerebbe la potestà regolamentare in tema di reclutamento dei ricercatori al rispetto dei principi fondamentali delle leggi statali in materia, che, invece, sarebbero stati violati in modo palese;
2) error in iudicando per errata disamina dei motivi di ricorso riferiti alla valutazione dei candidati, omessa valutazione del contenuto degli atti impugnati, motivazione errata e contraddittoria, in quanto la sentenza gravata avrebbe erroneamente disatteso il terzo motivo del ricorso, tramite il quale il dott. -OMISSIS-aveva censurato il giudizio della Commissione per la mancanza di una griglia di valutazione predeterminata ed attendibile e per lo svolgimento di valutazioni dei titoli dei candidati meramente descrittive e parziali, fondate su enunciazioni vaghe e inconsistenti e con la valutazione di titoli della controinteressata non previsti dal bando;
3) error in iudicando per errata disamina dei motivi di ricorso riferiti alla valutazione del grado di indipendenza dei candidati, motivazione omessa, errata e contraddittoria, giacché, pur essendosi la Commissione vincolata a valutare l’indipendenza di ogni candidato rispetto ai gruppi di ricerca entro cui si era svolta la sua formazione iniziale, la Commissione stessa non avrebbe svolto alcuna indagine al riguardo e così avrebbe omesso di valutare l’eccellenza del profilo del ricorrente rispetto a quello della dott.ssa -OMISSIS-. La sentenza gravata, tuttavia, non avrebbe motivato sull’ora vista omissione valutativa, limitandosi a far proprie le tesi della controinteressata;
4) error in iudicando per errata applicazione dell’art. 24 della l. n. 240/2010, nonché dell’art. 24 del Regolamento, motivazione omessa, errata e contraddittoria, in quanto il T.R.G.A sarebbe incorso in un errore nell’affermare che la discussione pubblica innanzi alla Commissione potesse vertere sia sui titoli che sulla produzione scientifica, quasi che fossero un’alternativa;
5) error in iudicando per errata applicazione dell’art. 24 del Regolamento e dell’art. 15 del d.P.R. n. 487/1994, motivazione omessa, errata e contraddittoria, atteso che il ricorrente aveva contestato le modalità di sottoscrizione dei verbali riferiti alle sedute telematiche della Commissione, ma il primo giudice avrebbe disatteso la censura adagiandosi sulle tesi dell’Ateneo e senza tenere conto del tenore letterale delle dichiarazioni dei Commissari prof. -OMISSIS-e prof. -OMISSIS-;
6) error in iudicando per errata applicazione dell’art. 24 della l. n. 240/2010 rispetto al Regolamento, motivazione errata e contraddittoria, perché il primo giudice avrebbe ritenuto che l’attribuzione del potere di chiamata del vincitore al Consiglio di Facoltà fosse compresa nell’autonomia regolamentare dell’Ateneo senza considerare che, in base al Regolamento dell’Università di Trento, la Commissione si limiterebbe a stilare una rosa di idonei, mentre il predetto Consiglio svolgerebbe una parte della valutazione e disporrebbe la chiamata.
Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Trento con memoria di costituzione e difensiva, a mezzo della quale ha contestato integralmente la fondatezza dei motivi di appello, concludendo per la sua reiezione.
Si è altresì costituita in giudizio la dott.ssa -OMISSIS-, depositando memoria, con cui ha eccepito, in rito, l’inammissibilità del primo motivo di appello, nella parte in cui lamenta che il Regolamento di Ateneo ha previsto che la valutazione della Commissione sia integrata da un seminario, tenuto dai candidati ammessi innanzi al Consiglio della struttura dipartimentale (il quale è così investito della decisione finale). Sempre in rito, ha poi eccepito l’inammissibilità del quinto motivo d’appello, avente a oggetto la sottoscrizione del verbale della Commissione in tempi diversi, perché mancherebbe la prova di come tale circostanza abbia inciso sull’esito della selezione. Nel merito ha infine eccepito l’infondatezza di tutte le censure dell’appello, chiedendo la reiezione dello stesso.
L’appellante ha depositato una memoria con cui ha replicato alle difese dell’Università ed una replica con cui ha controdedotto alle eccezioni della controinteressata. Quest’ultima ha sua volta depositato una replica, insistendo nelle conclusioni già formulate.
All’udienza pubblica del 10 settembre 2024 sono comparsi i difensori del dr. -OMISSIS-e della dr.ssa -OMISSIS-, i quali hanno sinteticamente discusso la causa. Successivamente questa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
Viene in decisione l’appello presentato dal dott. -OMISSIS- contro la sentenza del T.R.G.A. Trento che ha respinto il ricorso da lui proposto avverso l’esito della procedura indetta dall’Università di Trento per la chiamata a un posto da ricercatore di tipo B presso la Facoltà di Giurisprudenza, per il settore concorsuale 12/H3 – S.S.D. IUS/20 (Filosofia del Diritto).
Nel giudizio di primo grado il ricorrente ha lamentato, innanzitutto, che la Commissione giudicatrice non avrebbe attribuito un punteggio per i titoli e per le pubblicazioni dei candidati, ma si sarebbe limitata a meri giudizi discorsivi e generici: ciò, facendo applicazione dell’art. 24 del Regolamento dell’Ateneo sul reclutamento dei professori e ricercatori universitari, che sarebbe, però, illegittimo, perché contrastante con l’art. 24, comma 2, lett. c), della l. n. 240/2010.
Nel respingere la censura, il T.R.G.A. si è richiamato al contesto normativo vigente nella Provincia di Trento, che colloca l’Università di Trento in una posizione di peculiare autonomia, originante dal d.lgs. n. 142/2011 (che contiene le norme di attuazione dello Statuto della Regione recanti la delega di funzioni legislative e amministrative alla Provincia di Trento in materia di Università degli Studi). In base all’art. 3 del citato decreto legislativo, infatti, l’Università di Trento, nell’esercizio della sua potestà statutaria e regolamentare, non è vincolata al rispetto di tutte le norme di dettaglio della legge statale in materia (la l. n. 240/2010, c.d. “riforma Gelmini”), e pertanto dell’art. 24 della stessa, ma solo dei principi fondamentali della predetta legge statale. E l’art. 24 del Regolamento è conforme a tali principi: infatti, in luogo dell’attribuzione di un punteggio ai titoli e alle pubblicazioni dei candidati – che, nota il Tribunale, non è un principio fondamentale, ma solo una delle possibili modalità di espressione delle valutazioni –, esso ha previsto il “motivato giudizio analitico” della Commissione e questa è una modalità che offre garanzie di trasparenza e oggettività della selezione, e in genere di ricostruzione dell’iter logico della valutazione, quantomeno pari a quella basata sull’attribuzione di un punteggio.
Precisa sul punto la sentenza che il richiamo all’art. 24 della l. n. 240/2010 contenuto in altri articoli del Regolamento non esprime un autovincolo al rispetto di tutte le disposizioni del citato art. 24 (e in specie a quelle non espressamente riprodotte dal Regolamento), ma ha il significato di un rinvio “in termini finalistici” alla procedura comparativa tra i candidati, che costituisce il principio informatore dell’art. 24 della c.d. riforma Gelmini.
Con altro gruppo di censure il ricorrente ha poi dedotto come anche la valutazione comparativa dei candidati sarebbe illegittima, in quanto affidata dalla Commissione ad affermazioni stereotipate: la valutazione dei candidati sarebbe, in sostanza, mancata e la Commissione non avrebbe tenuto conto degli elementi di superiorità dello stesso ricorrente (ad es.: il numero dei suoi interventi in conferenze, pari a 44, rispetto ai 39 indicati dalla dr.ssa -OMISSIS-).
Al riguardo il T.R.G.A. ha richiamato preliminarmente i noti insegnamenti giurisprudenziali sui limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle operazioni valutative delle Commissioni di concorso, caratterizzate da ampia discrezionalità tecnica, nonché sulla natura della valutazione comparativa (in quanto esito finale delle suddette operazioni), che consiste in un raffronto globale delle capacità e dei titoli dei candidati, i cui elementi vanno considerati nel loro insieme, secondo il peso che assumono, e non apprezzati isolatamente.
Ciò premesso, il T.R.G.A. ha disatteso le doglianze del ricorrente, poiché l’allegato A) al verbale -OMISSIS- reca la descrizione e la valutazione dei titoli e della produzione scientifica dei candidati, “operata in maniera puntuale e assistita da un giudizio individuale di ciascun commissario e da un giudizio collegiale di sintesi per ciascun candidato”, e non sono ravvisabili nel giudizio sui titoli, i curriculum e la produzione scientifica dei candidati, in sede di valutazione preliminare, quegli elementi sintomatici dell’eccesso di potere lamentati dal ricorrente (irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà delle valutazioni, ecc.) ai quali soltanto può estendersi il sindacato del G.A.; neppure sono ravvisabili detti elementi sintomatici nella valutazione complessiva di cui all’allegato B) del verbale -OMISSIS- e nella valutazione comparativa di cui al verbale n. 3 di pari data. Il richiamo al possesso da parte della controinteressata dell’abilitazione alla professione forense e al suo impegno nell’ambito della teoria dell’argomentazione giuridica del Perelman, ha solo un valore descrittivo e non ha inciso sui giudizi individuali e collegiali.
In ordine alle singole censure sull’attività valutativa della Commissione, il Tribunale ha disatteso in primo luogo quella relativa alla mancata considerazione della circostanza che la controinteressata ha svolto la propria attività nella sola Università di Trento e dell’incidenza di tale elemento sul parametro del “grado di indipendenza del candidato”, poiché in realtà detto parametro si fonda non solo sulla “permanenza in centri di ricerca diversi da quelli di origine”, ma investe anche altri criteri prefigurati dal bando (per es., gli inviti presso università o istituzioni di prestigio e la partecipazione a comitati scientifici di riviste di rilievo). Il dato quantitativo degli interventi in convegni e seminari (44 a 39) non depone, secondo la sentenza appellata, per una significativa differenza tra i candidati. L’attività svolta all’estero, poi, è stata valutata per entrambi i candidati, il ricorrente con un periodo superiore all’anno, la controinteressata per un periodo inferiore.
In merito alla censura di omessa motivazione dei contenuti della discussione, svoltasi soltanto sulla produzione scientifica e non anche sui titoli e perciò tale da non consentire di evidenziare la migliore caratura del profilo del ricorrente, la sentenza ha osservato che la discussione, oltre a dover accertare la conoscenza della lingua straniera richiesta dal bando, può vertere sia sui titoli che sulla produzione scientifica.
Il primo giudice ha poi disatteso le censure volte a sottolineare l’esistenza di indizi tali da far dubitare dell’imparzialità e indipendenza di uno dei Commissari (il prof. -OMISSIS-) ed ha ritenuto insussistenti altre ragioni di conflitto di interessi o di astensione in capo ai Commissari stessi, richiamando i noti insegnamenti in materia di limiti dell’obbligo di astensione del membro della Commissione che abbia un rapporto di collaborazione scientifica con uno o più dei candidati. Inoltre, ha disatteso la censura inerente al presunto carattere “sartoriale” della selezione, modellata – secondo la tesi del ricorrente – sull’attuale impegno della dott.ssa -OMISSIS- nell’Ateneo trentino, considerati sia il coinvolgimento di più organi nell’indizione della procedura, sia il fatto che il lungo iter di quest’ultima è stato avviato quando la controinteressata ancora non aveva i requisiti per parteciparvi.
In definitiva, secondo il T.R.G.A., la differente valutazione comparativa dei due candidati – “ottimo” per la controinteressata e “molto buono” per il ricorrente – trova spiegazione nella congruenza (solo) parziale dell’attività del dr. -OMISSIS-con il settore di indizione della procedura, elemento che non ha formato oggetto di specifiche censure e che emerge dal giudizio collegiale conclusivo sui titoli e sulla produzione scientifica del ricorrente, messo a confronto con il giudizio sulla dott.ssa -OMISSIS-. Né – al contrario di quanto sostenuto nel ricorso – vi sono affinità tra il settore concorsuale 12/H3 (Filosofia del Diritto), per il quale la controinteressata possiede l’abilitazione alle funzioni di professore di II^ fascia, e il settore concorsuale 12/H2 (Storia del Diritto medioevale e moderno), per il quale il dott. -OMISSIS- possiede l’abilitazione.
Ancora, la sentenza ha giudicato insussistente la violazione dell’art. 23 del Regolamento di Ateneo e dell’art. 15 del d.P.R. n. 487/1994, dedotta dal ricorrente per le modalità di sottoscrizione dei verbali e in specie per avere i Commissari diversi dal Presidente dichiarato la propria adesione al contenuto di questi in data anteriore alla sottoscrizione da parte del Presidente stesso (prof. -OMISSIS-), in quanto tali dichiarazioni preventive – come chiarito dall’Università – sono riferibili al contenuto della stesura definitiva del verbale, condivisa dal prof. -OMISSIS-, prima della sua formale sottoscrizione, a suggello della chiusura della corretta verbalizzazione. Del pari, ha ritenuto insussistente la doglianza secondo cui la chiamata sarebbe stata disposta (illegittimamente) avendo riguardo non solo al S.S.D. messo a concorso, ma anche ai temi di ricerca e così introducendo specificazioni che non possono influire sui giudizi comparativi: infatti, la coerenza, prevista dall’art. 26 del Regolamento di Ateneo, del profilo del candidato rispetto alla “eventuale tipologia di impegno didattico e di ricerca” è aspetto che nella fattispecie in esame non ha inciso sulla chiamata della dott.ssa -OMISSIS-.
Da ultimo, il primo giudice ha affermato che l’attribuzione della chiamata, ai sensi dell’art. 26 del Regolamento, alla competenza del Consiglio della struttura dipartimentale va ricondotta a sua volta all’autonomia regolamentare dell’Ateneo.
Così sintetizzate le motivazioni della sentenza di prime cure, occorre ora passare alla disamina dei motivi di gravame, principiando dal primo, a mezzo del quale l’appellante lamenta l’erroneità della predetta sentenza, per non avere essa accolto le doglianze aventi a oggetto le plurime violazioni, nel caso di specie, dei principi fondamentali della legge statale (n. 240/2010).
In particolare l’appellante lamenta che, facendo applicazione degli artt. 23, 24 e 26 del Regolamento di Ateneo (il quale forma anch’esso oggetto di impugnazione):
- I) la Commissione giudicatrice ha svolto sia la valutazione preliminare, sia quella complessiva con l’utilizzo di un giudizio discorsivo e senza attribuzione di punteggi, in violazione dell’art. 24, comma 2, lett. c), della l. n. 240/2010;
- II) l’identificazione del vincitore non è stata rimessa alla predetta Commissione, come prescrive l’art. 24, comma 2, lett. d), della legge statale, ma questa si è limitata a stilare la rosa degli idonei;
III) quale parte integrante della valutazione, i candidati ritenuti idonei hanno svolto un seminario, che però è stato tenuto dinanzi al Consiglio della struttura dipartimentale, pur trattandosi di organo diverso dalla Commissione valutatrice e privo dei requisiti di imparzialità e competenza;
- IV) l’ora visto Consiglio della struttura dipartimentale (e non l’Università, in persona del Rettore) ha identificato il vincitore e disposto la sua chiamata.
Sostiene l’appellante che le motivazioni rese dal T.A.R. sul punto sarebbero errate e spurie, poiché a nulla varrebbe il richiamo all’autonomia regolamentare dell’Università, avendo l’art. 3 del d.lgs. n. 142/2011 vincolato la potestà regolamentare al rispetto dei principi fondamentali delle leggi statali in materia, che nel caso de quo sarebbero stati violati. Né varrebbe l’equivalenza tra la valutazione con un punteggio numerico e la valutazione con un giudizio discorsivo, poiché ciò di cui il ricorrente si sarebbe lamentato in primo grado sarebbe stata la violazione della previsione dell’art. 24 della l. n. 240/2010 che dispone due valutazioni, una tramite giudizio analitico e un’altra, dopo la discussione pubblica, tramite punteggio numerico. Ancora, non varrebbe neppure l’assimilazione alla procedura di abilitazione nazionale (che comporta un giudizio analitico motivato), trattandosi di procedura che non si fonda su alcuna valutazione comparativa, cosicché la suddetta assimilazione sarebbe del tutto impropria.
Da ultimo, al contrario di quanto ritenuto dal T.R.G.A., il richiamo da parte del Regolamento all’art. 24 della l. n. 240/2010 sarebbe riferito all’art. 24 in quanto tale e nella sua interezza, e non già ai soli principi da esso dettati; del resto, ad opinare diversamente si dovrebbe concludere che l’Università di Trento potesse discostarsi dalle procedure di accesso previste dalla stessa l. n. 240/2010, il che, però, porrebbe problemi di costituzionalità del d.lgs. n. 142/2011 per la previsione di una via alternativa di selezione dei ricercatori a tempo determinato nell’Ateneo trentino, diversa rispetto alla selezione più trasparente e rigorosa richiesta nel resto del territorio nazionale.
Le doglianze ora riferite sono riproposte anche nel sesto e ultimo motivo di appello (che, perciò, va trattato congiuntamente al primo), poiché con esso il dott. -OMISSIS-, nel dolersi del rigetto del settimo motivo del ricorso di primo grado, insiste a censurare il ruolo “centrale e autoreferenziale” assegnato dal Regolamento al Consiglio della struttura dipartimentale.
In particolare, l’appellante insiste nel dolersi che, mentre la l. n. 240/2010 avrebbe imposto una netta separazione tra la fase della valutazione e identificazione del vincitore e quella della chiamata, detta separazione non sarebbe stata rispettata nel caso di specie, poiché, come già detto:
- I) la Commissione non ha identificato il vincitore, limitandosi a stilare la rosa degli idonei;
- II) il Consiglio della struttura dipartimentale Facoltà di Giurisprudenza ha espletato una parte della valutazione (quella relativa al seminario) e ha disposto la chiamata.
Alle doglianze ora riferite ha replicato la dott.ssa -OMISSIS-, eccependone in rito l’inammissibilità, nella parte avente a oggetto lo svolgimento del seminario innanzi al Consiglio della struttura dipartimentale e la sua valutazione ad opera di tale organo, che è dunque investito della decisione finale: per questo aspetto, infatti, si tratterebbe di doglianze formulate per la prima volta in appello, in violazione del divieto di nova ex art. 104 c.p.a. e del termine decadenziale di impugnativa.
Nel merito la controinteressata ha eccepito l’infondatezza delle doglianze, perché esse ometterebbero di considerare il peculiare regione di autonomia che caratterizza l’Università di Trento per effetto del d.lgs. n. 142/2011 (attuativo della delega di cui all’art. 2, comma 122, della l. n. 191/2009): regime che, per quanto riguarda il reclutamento dei professori e dei ricercatori, è dettato dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 142 cit., secondo cui la disciplina del reclutamento è definita da regolamenti di Ateneo “nel rispetto dei principi e dei criteri stabiliti dallo Statuto in armonia con i principi fondamentali delle leggi statali in materia”. Ne discende, ad avviso della dott.ssa -OMISSIS-, che l’art. 24 della legge statale n. 240/2010 può trovare applicazione nei limiti dei principi fondamentali in essa contenuti, tra i quali non rientrerebbero né l’attribuzione di un punteggio numerico ai titoli e alle pubblicazioni dei candidati, né la rigidità del modello di procedura selettiva, che potrebbe articolarsi in modo diverso, sempreché siano garantite la trasparenza e l’imparzialità.
La mancata previsione dell’assegnazione di un punteggio numerico sarebbe pienamente legittima, poiché il modello scelto dal Regolamento d’Ateneo, basato sul “motivato giudizio analitico” espresso dalla Commissione su titoli, curriculum e pubblicazioni di ogni candidato, consentirebbe comunque di ricostruire l’iter logico sotteso alle valutazioni della Commissione e ciò anche in riferimento alla (seconda) fase della discussione pubblica dei titoli e della produzione scientifica, all’esito della quale viene comunque espresso un nuovo giudizio (art. 24, comma 4, del Regolamento).
Allo stesso modo, non contrasterebbe con i principi fondamentali della legge statale la previsione del Regolamento, secondo cui i candidati selezionati dalla Commissione sono invitati a tenere innanzi al Consiglio di Facoltà un seminario sull’attività di ricerca svolta: infatti, la chiamata del vincitore da parte del Consiglio avverrebbe sulla base delle valutazioni formulate dalla Commissione in merito al profilo scientifico dei candidati, oltre che degli elementi emersi nella presentazione del seminario, di tal ché, da un lato, sarebbe indiscutibile il ruolo decisivo – e non ancillare – svolto dalla Commissione, dall’altro lato, l’imparzialità e la trasparenza della procedura di selezione sarebbero rafforzate dall’intervento di organi diversi (il Consiglio di Facoltà) in sede di chiamata del vincitore, poiché tale intervento realizzerebbe proprio quel sistema di “check and balance”, la cui violazione sarebbe invano lamentata dall’appellante.
In conclusione, le doglianze dell’appellante sarebbero infondate sia per la parte in cui contestano la legittimità della procedura svolta, sia per quella in cui lamentano errori e omissioni nella motivazione espressa sul punto dalla sentenza gravata.
Con riferimento, poi, al sesto motivo di appello, la dott.ssa -OMISSIS- ha eccepito l’infondatezza della censura in esso dedotta di incompetenza del Consiglio di Facoltà alla chiamata, che per l’appellante spetterebbe invece al Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo. La procedura seguita dall’Ateneo nel caso di specie sarebbe rispettosa delle previsioni del Regolamento, la legittimità delle quali non potrebbe essere messa in discussione, non avendo la controparte contestato la violazione dei principi fondamentali della legge statale in materia di reclutamento dei professori e ricercatori universitari (l. n. 240/2010).
Analoghe prospettazioni sono formulate altresì dall’Università di Trento, nei propri scritti difensivi, al fine di dimostrare l’infondatezza delle doglianze ora in esame.
In sintesi, l’Avvocatura Generale dello Stato, per il tramite del cui patrocinio l’Ateneo si è costituito e difeso in giudizio, invoca l’art. 2, comma 122, della l. n. 191/2009, recante delega alla Provincia di Trento delle funzioni amministrative e legislative in materia di Università degli Studi di Trento, e il d.lgs. n. 142/2011, che vi ha dato attuazione, discostandosi dalla normativa statale ma mantenendone i principi generali. Per effetto di tale normativa di attuazione e in particolare dell’art. 6, comma 3, del citato decreto legislativo, il reclutamento dei professori e dei ricercatori è demandato ai Regolamenti di Ateneo, mentre la disciplina di cui all’art. 24 della l. n. 240/2010 sarebbe applicabile all’Università di Trento nei limiti dei suoi principi fondamentali: il predetto art. 6 escluderebbe, infatti, un richiamo integrale alle disposizioni della legge statale.
Lo Statuto dell’Università, emanato con D.R. n. 167 del 23 aprile 2012, avrebbe recepito all’art. 31, comma 8, l’indicazione normativa ora vista, affidando ai Regolamenti di Ateneo la definizione dei modelli di reclutamento dei professori e dei ricercatori, con la garanzia di “procedure di assunzione aperte, trasparenti e ispirate alle migliori pratiche utilizzate a livello internazionale, che prevedano particolare valorizzazione dell’esperienza internazionale”.
Il Regolamento di Ateneo, dal canto suo, recepirebbe appieno la riforma introdotta dall’art. 24 della l. n. 240/2010 in tema di reclutamento di ricercatori a tempo determinato, con la mediazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 142/2011 e quindi prescindendo dal pedissequo recepimento delle singole disposizioni della c.d. legge (o riforma) Gelmini.
Sarebbe, perciò, del tutto infondata la tesi dell’appellante, che individua un ruolo preminente affidato al Consiglio della struttura dipartimentale nella procedura di reclutamento, poiché, all’opposto, l’iter procedurale delineato denoterebbe l’intervento di organi differenti proprio nell’ottica di garantire la separazione di poteri e la massima trasparenza. Nell’indizione della procedura valutativa non sarebbe rinvenibile alcun appannaggio del Consiglio di Facoltà, né alcun potere distorsivo contrastante con le previsioni regolamentari e di ciò avrebbe puntualmente dato atto la sentenza appellata, menzionando il “lungo iter attraverso il quale l’Università è giunta all’indizione della procedura, iter che coinvolge più organi dell’Amministrazione”, nonché la circostanza che “l’iter stesso è stato avviato allorquando la controinteressata non aveva ancora i requisiti per partecipare alla procedura”. Sicché, in ultima analisi, sarebbe infondata la censura dell’appellante secondo cui il primo giudice sarebbe incorso in omissione di pronuncia sul punto, in quanto in realtà il T.R.G.A. avrebbe puntualmente argomentato in relazione alla particolare procedura di reclutamento.
Così riportate le posizioni delle parti, va anzitutto sgombrato il campo dal dubbio che la questione relativa ai poteri attribuiti al Consiglio della struttura dipartimentale (di Facoltà) nella fattispecie in esame costituisca questione nuova, formulata per la prima volta in appello, alla stregua di una vera e propria mutatio libelli, e che pertanto la stessa sia inammissibile, in quanto proposta in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104 c.p.a., che rende inammissibili in appello motivi diversi da quelli tempestivamente formulati con il ricorso di prime cure (cfr. C.d.S., Sez. V, 18 luglio 2024, n. 6440; Sez. VI, 30 giugno 2023, n. 6405; Sez. IV, 3 gennaio 2023, n. 108).
Tale dubbio non ha ragion d’essere, la relazione eccezione di inammissibilità, sollevata dalla dott.ssa -OMISSIS-, essendo infondata e da respingere.
Invero, la giurisprudenza di questo Consiglio ha evidenziato come, ai fini del giudizio sull’esistenza o meno di un’estensione del thema decidendum in conseguenza delle contestazioni formulate nell’atto di appello, occorre verificare se si sia in presenza di una nuova argomentazione a fondamento di un motivo di ricorso già articolato in primo grado, ovvero di una nuova censura proposta per la prima volta in appello.
Il principio processuale stabilito dall’art. 104, comma 1, c.p.a. comporta, infatti, che il perimetro del giudizio di appello risulti circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado, cosicché la parte non può introdurre domande nuove caratterizzate da un nuovo o mutato petitum, oppure da una nuova o mutata causa petendi, che determinino una nuova o mutata richiesta giudiziale, ovvero nuovi o mutati fatti costitutivi della pretesa azionata (cfr., oltre ai precedenti già elencati, C.d.S., Sez. VI, 15 luglio 2024, n. 6336; id. 29 gennaio 2020, n. 714; Sez. V, 21 agosto 2023, n. 7856; Sez. IV, 31 luglio 2018, n. 4715). Il divieto di nova ex art. 104 comma 1, c.p.a. ha carattere assoluto e valenza di ordine pubblico processuale, “promanando dalla fondamentale esigenza di assicurare il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione”, poiché è volto ad assicurare che “l’oggetto del giudizio del gravame non risulti più ampio di quello su cui si è pronunciato il giudice della sentenza appellata” (C.d.S., Sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 76).
Tale divieto, quindi, non impedisce alla parte di svolgere nuove argomentazioni in sede impugnatoria, tendenti ad evidenziare l’erroneità della sentenza gravata e a illustrare ulteriormente un motivo di censura già articolato in primo grado (C.d.S., Sez. VI, n. 714/2020, cit.). Al riguardo, infatti, è stata richiamata la distinzione tra motivo e argomentazione elaborata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 21 del 27 luglio 2016 in materia di revocazione, ma utilizzabile secondo la giurisprudenza ora ricordata, anche per delimitare la portata applicativa dell’art. 104, comma 1, c.p.a. L’Adunanza Plenaria, per quanto qui interessa, ha osservato che “il motivo di ricorso [….] delimita e identifica la domanda spiegata nei confronti del giudice, e in relazione al motivo si pone l’obbligo di corrispondere, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi”; “a sostegno del motivo – che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice – la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni, volta a illustrare le diverse censure, ma che non sono idonee, di per se stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda.”
Ne deriva che l’art. 104, comma 1, c.p.a., se preclude la proposizione in appello di nuove domande od eccezioni non rilevabili d’ufficio, non impedisce la formulazione in sede impugnatoria di nuove argomentazioni, volte a contrastare il percorso motivazionale sotteso alla decisione di primo grado senza ampliare il novero di censure indirizzate contro gli atti o i provvedimenti impugnati innanzi al T.A.R. (C.d.S., Sez. VI, n. 714/2020, cit.).
Andando ad applicare i suesposti principi al caso di specie, deve concludersi che il primo motivo di gravame, al contrario di quanto eccepisce la dott.ssa -OMISSIS-, non rappresenta in parte qua un motivo nuovo, proposto per la prima volta in appello.
Invero, con la memoria di replica il dott. -OMISSIS-ha contestato che ci si trovasse dinanzi a un motivo nuovo: in particolare, ha sottolineato di avere impugnato in primo grado il Regolamento dell’Ateneo per il reclutamento dei docenti e dei ricercatori formulando al riguardo due distinti motivi di ricorso, uno dei quali – il settimo – volto a censurare il Regolamento proprio in ragione del ruolo rivestito dal Consiglio della struttura dipartimentale, quale organo deputato a identificare il vincitore e procedere alla sua chiamata.
Il rilievo è fondato e condivisibile: infatti, con una delle doglianze contenute nel settimo motivo del ricorso di primo grado il ricorrente ha lamentato l’illegittimità del ruolo assegnato dall’art. 26, comma 2, del Regolamento di Ateneo al Consiglio della struttura accademica che ha richiesto l’attivazione della procedura (nel caso ora in esame: al Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza), deducendo i vizi di violazione di legge e di lesione delle garanzie dei candidati “giacché la fase dei seminari e della chiamata è rimessa al vaglio del solo Consiglio della struttura accademica che ha richiesto l’attivazione della procedura, senza ulteriori verifiche o approvazioni da parte dell’Università”, tramite il Rettore o il Consiglio di Amministrazione della stessa Università.
Se ne evince che la questione del ruolo svolto nella procedura in esame dal Consiglio della struttura dipartimentale costituisce non già una doglianza nuova, ma una mera argomentazione a sostegno di una doglianza articolata in primo grado (nel settimo motivo di ricorso) e, dunque, non viola il divieto di nova previsto dall’art. 104 c.p.a., non potendo ritenersi che nel caso di specie ci si trovi innanzi a una mutatio libelli, pacificamente inammissibile. In altri termini, non si può parlare, come fatto dalla controinteressata nelle difese scritte e orali, di una presunta “inversione di rotta” rispetto al giudizio di primo grado.
Quale mero sviluppo e articolazione più dettagliata di censure comunque già presenti nel ricorso di primo grado, le censure dell’appellante ora riferite sono, dunque, ammissibili: esse sono altresì fondate nel merito e devono, perciò, essere condivise.
È vero, infatti, che in aderenza alle previsioni degli artt. 24 e 26 del Regolamento, nella procedura di valutazione comparativa in discorso non è stata la Commissione giudicatrice che ha provveduto ad identificare il vincitore; questo è stato individuato anche in esito alla presentazione del seminario, ma tale ultima prova – che ha senz’altro concorso alla sua individuazione – non si è svolta innanzi alla Commissione: come si legge nel verbale n. -OMISSIS-, essa si è svolta innanzi al Consiglio della struttura dipartimentale “in seduta allargata” ed è stato quest’organo a deliberare la chiamata della dott.ssa -OMISSIS- all’esito di detta presentazione, senza che risultino dagli atti ulteriori controlli su tale deliberazione da parte di altri organi dell’Ateneo (e segnatamente, da parte del Rettore, ovvero del Consiglio di Amministrazione).
Tuttavia, l’attribuzione al succitato Consiglio della gestione di una parte della fase valutativa (quella relativa all’apprezzamento della presentazione del seminario ad opera dei candidati indicati come idonei dalla Commissione giudicatrice), nonché – in esclusiva e senza altri controlli – della decisione sulla chiamata del candidato vincitore, è illegittima, essendo lo stesso Consiglio un organo che non offre idonee garanzie di imparzialità e competenza tecnica, cosicché – come giustamente lamenta l’appellante – il ruolo attribuitogli comporta la violazione dei principi fondamentali di trasparenza, merito e par condicio posti in materia dalla legge statale.
Il vulnus all’imparzialità emerge con palmare evidenza ove si consideri il ruolo fondamentale che i Consigli delle strutture accademiche (e quindi, nella fattispecie in esame, il Consiglio della struttura dipartimentale Facoltà di Giurisprudenza) rivestono nelle procedure di reclutamento dei ricercatori, a tali organi spettando, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del Regolamento di Ateneo, di deliberare la proposta di attivazione della procedura di valutazione comparativa. Risultano vani, perciò, i tentativi dell’Università e della controinteressata di sminuire detto ruolo, sulla scorta delle motivazioni della sentenza appellata, che però sul punto non può essere condivisa. Ancora più evidente è poi il vulnus al principio di competenza tecnica, attesa la presenza, nel Consiglio, anche di componenti non esperti della materia per cui è stata indetta la procedura valutativa (Filosofia del Diritto): e ciò a differenza di quanto prescritto per la Commissione giudicatrice, la quale, però, come condivisibilmente lamenta l’appellante, nel modello di reclutamento delineato dal Regolamento dell’Ateneo trentino (e seguito puntualmente nel caso di specie) svolge un ruolo meramente ancillare.
Inoltre, la violazione dei principi ora citati trova conferma proprio nello svolgimento della procedura per cui è causa, come dimostra la lettura del ridetto verbale n. -OMISSIS-. Si legge, infatti, in tale verbale, nella parte relativa alla tenuta del seminario ad opera dei candidati, che mentre non vi sono state domande o interventi dei componenti del Consiglio per le prove svolte dal dott. -OMISSIS-e dal dott. -OMISSIS-, al termine della presentazione della dott.ssa -OMISSIS- un componente dell’organo è intervenuto per sottolineare “le potenzialità degli studi della candidata”. Tale episodio rafforza sia i dubbi di imparzialità dell’organo, per il differente trattamento dei candidati nello stesso svolgimento della prova, sia le perplessità sulle capacità dei membri del Consiglio non esperti nella materia della “Filosofia del Diritto” di valutare in tutte le loro sfumature le presentazioni svolte dai candidati e di cogliere le “potenzialità” dei loro studi (e non solo di quelli della dr.ssa -OMISSIS-).
Il vulnus ai principi ora rammentati è tanto più grave, in considerazione del ruolo di attore esclusivo svolto dal Consiglio della struttura dipartimentale, in base all’art. 26 del Regolamento, nel processo decisionale sulla chiamata del vincitore. Invero, ai sensi del comma 2 del citato art. 26 al Consiglio è attribuito il potere di provvedere “con deliberazione motivata, approvata con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia, alla chiamata di uno dei candidati dichiarati idonei”, o di decidere “di non procedere ad alcuna chiamata”. Non sono previsti ulteriori atti di organi diversi (in particolare: del Rettore), nell’esercizio di poteri di verifica sulla legittimità dell’operato del Consiglio, né è previsto l’intervento di ulteriori organi deliberanti (il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo).
Come detto, sia l’Università, sia la controinteressata hanno tentato, nei loro scritti, di sminuire il ruolo preminente illegittimamente rivestito dal Consiglio della struttura dipartimentale nella procedura per cui è causa. La controinteressata, in particolare, ha esposto nelle sue memorie e ribadito anche in sede di discussione orale che il Consiglio deciderebbe sulla base dei giudizi della Commissione, oltre che della presentazione, di tal ché il ruolo della Commissione sarebbe decisivo: ciò verrebbe dimostrato proprio dalla vicenda in esame, dove il Consiglio, avendo valutato “di pari livello” le presentazioni tenute dai candidati, ha ritenuto di dare prevalenza “ai giudizi della Commissione di concorso” e per conseguenza ha individuato come profilo più idoneo quello della dott.ssa -OMISSIS-, siccome valutato dalla Commissione stessa come “ottimo”, mentre i profili del dott. -OMISSIS-e del dott. -OMISSIS- sono stati ambedue valutati come “molto buono”.
È evidente, tuttavia, la fallacia della suesposta argomentazione, poiché, da un lato, è stato il Consiglio a decidere di dare prevalenza ai giudizi della Commissione, i quali, perciò, di per sé soli non sarebbero stati sufficienti all’individuazione del vincitore della selezione. Dall’altro lato – e soprattutto – l’ora visto ragionamento prova troppo, perché da esso emerge che, se nel caso di specie il Consiglio non avesse valutato “di pari livello” le presentazioni svolte dai candidati, si sarebbe potuto discostare dai giudizi della Commissione e assegnare la prevalenza al candidato la cui presentazione fosse risultata più convincente (e pertanto, in ipotesi, anche a un candidato diverso dalla dott.ssa -OMISSIS-, indicata come prevalente dalla Commissione). Ciò trova conferma nell’art. 26, comma 2, del Regolamento, che, come detto, attribuisce al Consiglio della struttura accademica il potere di decidere sulla chiamata “con deliberazione motivata”, “sulla base delle valutazioni formulate dalla Commissione in merito al profilo scientifico dei candidati e degli elementi emersi in sede di presentazione del seminario” e cioè sulla base anche delle proprie valutazioni su detto seminario (che, previa adeguata motivazione della relativa deliberazione, possono portarlo a discostarsi dalla Commissione).
Se ne evince che le difese ora viste, lungi dal conseguire i propri obiettivi, finiscono per corroborare la tesi del ruolo preminente assegnato dal Regolamento al Consiglio della struttura dipartimentale e così concorrono a dimostrare l’illegittimità delle disposizioni regolamentari che hanno delineato un tale ruolo. In realtà non vi è nessuna previsione, nel Regolamento, che vincoli il Consiglio al rispetto dei giudizi della Commissione e tale non è il citato art. 26, comma 2, che dà vita a una sorta di spuria e anomala cogestione valutativa tra Commissione e Consiglio della struttura dipartimentale, in cui la posizione di quest’ultimo è comunque predominante.
Priva di pregio è, infine, la considerazione che la normativa di settore (a partire dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 142/2011) obbliga l’Ateneo trentino, nell’esercizio della potestà regolamentare ad esso conferita per la disciplina del reclutamento dei ricercatori, a rispettare soltanto i principi fondamentali dettati dalla legge statale in materia. Infatti, le disposizioni regolamentari censurate, e gli atti che nel caso de quo vi hanno dato attuazione, contrastano, come si è detto, proprio con principi fondamentali (trasparenza, merito, imparzialità, par condicio), che non sono solo stabiliti dalla normativa primaria statale, ma hanno anche rango costituzionale (artt. 3 e 97 Cost.): ne discende che è indubbio l’obbligo dell’Ateneo di rispettare detti principi, anche per evitare dubbi che la disciplina regolamentare possa avvantaggiare i candidati “interni” all’Ateneo rispetto agli “esterni”.
In conclusione, si rivelano fondati il primo e il sesto motivo dell’appello, lì dove censurano ab imis la legittimità del Regolamento di Ateneo nella parte in cui (artt. 24-26), declinando la previsione della legge statale (art. 24 della l. n. 240/2010), disciplina le procedure per chiamata di ricercatori del tipo per cui è causa. Il suindicato Regolamento, infatti, travalicando in parte qua dai limiti di autonomia comunque riconosciuti dalla l. n. 240/2010, ha di fatto svilito il ruolo della Commissione di concorso e ha demandato la decisione finale a un organismo (il Consiglio della struttura dipartimentale) non dotato di adeguata competenza tecnica e comunque non deputato in via ordinaria allo svolgimento di attività valutative, le quali, per evidenti ragioni sistematiche, vanno demandate alle Commissioni di concorso. La disciplina regolamentare ha così violato i pur ampi margini di autonomia riconosciuti all’Ateneo trentino nella materia in questione dalla normativa statale e, segnatamente, dagli artt. 3 e 6, comma 3, del d.lgs. n. 142/2011, che risultano violati, unitamente all’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 240/2010, ai sensi del quale i ricercatori universitari a tempo determinato “sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione”.
L’illegittimità della riferita disciplina regolamentare comporta, a cascata, l’illegittimità degli atti della procedura valutativa adottati in applicazione della suddetta disciplina, e in specie del più volte citato verbale n. -OMISSIS-, che ha deliberato la chiamata della dr.ssa -OMISSIS-.
La fondatezza dei motivi di appello ora esaminati è dirimente, nonché dotata di efficacia assorbente rispetto a tutti gli altri motivi, poiché essa comporta – in uno con l’annullamento delle disposizioni regolamentari illegittime – l’annullamento dell’intera procedura selettiva, non limitato alla fase in cui sono intervenute le valutazioni e poi la deliberazione del Consiglio di Facoltà (di cui al verbale n. 6), ma esteso alle pregresse operazioni valutative compiute dalla Commissione giudicatrice ed alla loro approvazione da parte del Rettore con decreto -OMISSIS-. Infatti, con le suddette operazioni la Commissione non ha individuato il candidato più meritevole in vista della sua chiamata, secondo quello che avrebbe dovuto essere il suo compito, ma si è limitata alla stesura di una lista di candidati idonei (pur se in ordine di preferenza), ai fini del successivo svolgimento, da parte di questi ultimi, del seminario innanzi al Consiglio di Facoltà, deputato a valutare tale (ulteriore) prova e titolare del potere di identificare il vincitore e procedere alla sua chiamata.
Nel caso di specie, dunque, non è possibile invocare il principio di conservazione degli atti giuridici (il quale fa sì che, in base all’effetto retroattivo in genere connaturato alla decisione di annullamento, la P.A. rinnovi il procedimento a partire dal momento segnato dalla statuizione demolitoria e conservi gli effetti giuridici degli atti endoprocedimentali anteriori, non inficiati dai vizi di legittimità accertati in sede giurisdizionale: cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 3 giugno 2024, n. 4969; id., 2 maggio 2023, n. 4449; Sez. VI, 11 dicembre 2023, n. 11038; id., 6 aprile 2022, n. 2552; id., 10 gennaio 2022, n. 163; id., 23 agosto 2021, n. 5995), poiché in realtà quanto poc’anzi esposto fa sì che l’intero insieme delle operazioni della Commissione sia inficiato dai vizi riscontrati.
Ne consegue che è necessaria una rinnovazione ab imis della procedura selettiva, secondo i principi di diritto recati dalla presente decisione, con integrale affidamento delle operazioni di valutazione dei candidati a una nuova Commissione giudicatrice in diversa composizione affinché questa provveda a individuare il concorrente più meritevole, di talché spetterà alla Commissione:
- I) valutare anche la presentazione del seminario ad opera dei candidati risultati idonei all’esito della valutazione preliminare del loro curriculum, dei loro titoli e delle loro pubblicazioni;
- II) a conclusione di detta ulteriore fase valutativa, procedere all’individuazione del concorrente più meritevole, ai fini della sua chiamata da parte dell’Università.
In conclusione, l’appello è fondato e da accogliere nei termini ora visti, attesa la fondatezza del primo (nella parte oggetto di esame) e del sesto motivo ivi dedotti e con assorbimento di tutte le ulteriori censure in esso contenute.
La fondatezza dell’appello comporta che, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere accolto e per l’effetto gli atti con esso impugnati debbono essere annullati, ai fini della rinnovazione della procedura secondo le regole e principi più sopra enunciati.
La pronuncia di annullamento si estende alle disposizioni del Regolamento dell’Università di Trento sul reclutamento dei docenti e dei ricercatori universitari che disciplinano le modalità di reclutamento dei ricercatori (artt. 24-26), anch’esse impugnate con il ricorso. In virtù dell’efficacia erga omnes (per questa parte) della decisione di annullamento, l’Università è vincolata a garantire la pubblicità della presente decisione con le stesse forme di pubblicazione del Regolamento parzialmente annullato, ai sensi dell’art. 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199: tale disposizione, infatti, stabilita in materia di decreto decisorio del ricorso straordinario per il caso di annullamento di atti amministrativi generali a contenuto normativo, si applica secondo la giurisprudenza anche al giudicato di annullamento dei medesimi atti (C.d.S., Sez. VI, 30 novembre 1993, n. 954).
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado del giudizio, in ragione della complessità e novità delle questioni affrontate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando i provvedimenti e gli atti con esso impugnati, comprese le disposizioni di natura regolamentare censurate nel ricorso, e disponendo a tal riguardo la pubblicazione della presente decisione da parte dell’Università appellata ai sensi dell’art. 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Compensa le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli art. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità degli interessati, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a consentire l’identificazione delle persone fisiche menzionate in sentenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2024, con l’intervento dei magistrati:
Claudio Contessa, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Pietro De Berardinis | Claudio Contessa | |
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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