Negoziocidio. Chiudono due negozi al giorno mentre Amazon vola (con i droni)
di GIUBBE ROSSE NEWS (Sonia Milone)
Anche Lino l’anno scorso se ne è andato. Ha chiuso l’ultimo fruttivendolo del mio quartiere, sebbene definirlo fruttivendolo non rende proprio l’idea. Lino teneva una sedia vicino all’ingresso, nel caso volessi fermarti a fare due chiacchiere, un’invito alla lentezza, alla sosta. Raramente in tanti anni di attività ho visto quella sedia vuota, era il crocevia del quartiere, un luogo di incontro, lo spazio della memoria di un territorio.
Entravi di fretta per comprare al volo un chilo di arance e uscivi con due sacchetti stracolmi di ogni ben di Dio. Tutti drogati dalla sua oasi di profumi e colori, chiunque andava da Lino non tornava più indietro, non era più in grado di mettere piede in un supermercato per acquistare un pomodoro triste arrivato dall’altra parte del mondo e accasciato su un bancale sotto le fredde luci al neon. E se avevi bisogno, ti portava la spesa a domicilio: “tanto passo vicino per tornare a casa”. Aveva sempre pronte le caramelle per i bambini del quartiere, li conosceva tutti, infatti, diceva che teneva aperto solo per passare il negozio ai suoi nipoti, “sapessi i soldi che mi offrono per vendere” ed aprire l’ennesimo bar gestito dai cinesi o il solito “all you can eat”.
È un’Italia che va scomparendo quella del commercio dei piccoli negozi di prossimità dalla dimensione umana e calorosa. Sono luoghi caratterizzanti un territorio vissuto e abitato in cui si genera e si radica un modo di vivere, un’identità collettiva, espressione visibile di relazioni sociali vive di riconoscimento e non solo di sfruttamento.
Per ogni negozio che apre, oggi, in Italia, ne chiudono due. I dati sono drammatici, una vera strage che desertifica il tessuto urbano. Da Torino a Napoli nessuno si salva, a Milano non ce la fanno nemmeno gli esercizi commerciali a due passi dal Duomo.

Secondo lo studio di Confcommercio (qui e qui), in 10 anni, tra il 2012 e il 2022, in Italia sono sparite oltre 100mila attività di commercio al dettaglio. Nelle città la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti, con un calo di quasi il 20%. Serrande abbassate soprattutto nei centri storici e per i negozi di beni tradizionali come libri e giocattoli (-31,5%), mobili e ferramenta (-30,5%), abbigliamento (-21,8%).
La desertificazione avanza soprattutto al nord e nel centro Italia spazzando via le botteghe di paese, le attività storiche e i piccoli negozi specializzati. E con essi scompaiono pezzi di tradizione delle nostre città. Senza i negozi diminuisce la socialità nelle città, la varietà dei prodotti, la qualità della vita dei residenti e aumenta la criminalità: è comprovato che per ogni vetrina che si spegne una strada diventa più buia, meno sicura. Dove spariscono i negozi con i beni di prima necessità, i quartieri si spopolano e nessuno torna più ad investire aprendo nuovi punti vendita.
Solo in Lombardia, negli ultimi dodici mesi, hanno abbassato le saracinesche due botteghe al giorno. Secondo la rilevazione della Regione, al 30 giugno 2024 si contano 700 negozi in meno confermando la fotografia di un tessuto commerciale sempre più povero di esercizi con superficie di vendita inferiore a 150 metri quadri (nei Comuni sotto i 10mila abitanti) e a 250 metri quadri (nei Comuni con più di 10mila residenti).

Diminuisce di pari passo anche la superficie occupata da queste realtà: 750mila mq in meno rispetto a vent’anni fa. Una tabula rasa occupata dalle grandi strutture commerciali (quelle con una superficie di vendita superiore a 2.500 mq) che, dal 2005 al 2024, in Lombardia, sono passate da 3 milioni a quasi 40 milioni di mq occupati. Veri divoratori di spazio con perdita di diversificazione dei prodotti, questi centri “sfrattano” i piccoli e sono sempre più grandi: vent’anni fa erano 443, quest’anno se ne contano 474.
Guardando i dati, il Covid è stato fatale a molte piccole attività: nella regione lombarda, ad esempio, nel 2021 erano 2.421 in meno rispetto al 2019. (1) D’altronde, la pandemia ha segnato la svolta nel passaggio dal virale al virtuale con la digitalizzazione di ogni attività (smart working, didattica a distanza, ecc.) che ha ingrossato a dismisura l’ecommerce normalizzando forme sempre più solitarie e individualizzate di acquisto e consumo.
Sempre più affidabile nelle consegne e rassicurante nei resi, sempre più efficiente grazie ai dipendenti con il braccialetto al polso per monitorare e ottimizzare ogni loro azione (2), Amazon è in regime di monopolio assoluto e oramai attraversa tutta l’economia tradizionale a scapito del commercio fisico tradizionale. La federazione britannica dei negozianti (British Retail Consortium) ha previsto che, con l’ecommerce, “entro il 2025 un terzo dei lavoratori del settore perderà il lavoro e a essere colpite saranno soprattutto le piccole imprese del commercio”.
La crescita del commercio on-line smaterializza le relazioni e deterritorializza i luoghi sorvolandoli, nel vero senso della parola dopo che il 4 dicembre è stato consegnato il primo pacco a domicilio da un drone di Amazon Air. Si tratta di un test effettuato a Chieti che verrà esteso nel 2025 a tutto il Belpaese mentre sono in costruzione ovunque i “vertiporti” per sostituire, a poco a poco, gli spostamenti su gomma in nome della lotta contro benzina e diesel previsti dall’Agenda 2030.

Si tratta della prima consegna di droni in Europa, dopo gli Stati Uniti, perchè l’azienda ha scelto l’Italia come avamposto sperimentale, come dimostra anche l’apertura a Vercelli il 4 aprile 2024 dell’Operations Innovation Lab, il centro per l’innovazione robotica di Amazon che ha l’obiettivo di “superare le aspettative dei clienti attraverso soluzioni rivoluzionarie”, con l’ambizione niente meno di “supportare e continuare a far eccellere l’Italia, culla di creatività e saper fare unico al mondo”.
In effetti, proprio Leonardo ha inventato il volo per elevare l’uomo (fisicamente e spiritualmente), ma ora anche il cielo viene offuscato per impedirci di innalzare lo sguardo verso un orizzonte libero dalle logiche neoliberiste e consumistiche con l’occupazione commerciale di queste macchine volanti, giocattoloni per utenti infantilizzati e del tutto incoscienti dei danni ai nostri borghi e alle migliaia di posti di lavoro persi…Con i droni di Amazon, anche il nostro immaginario va in svendita…
Cosa spinge la gente a rinunciare a farsi una passeggiata per le vie del centro per incollarsi ad uno schermo dove acquistare un paio di scarpe on line senza averle prima provate e toccate per verificare la qualità dei materiali, ammetto di non riuscire proprio a comprenderlo. Persino un prodotto sensoriale come il profumo è riuscito a trovare la sua nicchia nel mercato digitale. Come ha scritto il filosofo Byung-Chul Han “Attraverso il medium digitale noi siamo riprogrammati senza accorgercene. Esso agisce sotto il livello di decisione cosciente modificando radicalmente la nostra percezione, sensibilità, pensiero e socialità…Oggi ci inebriamo del medium digitale senza essere in grado di valutare del tutto le conseguenze di una simile ebbrezza. Questa cecità e il simultaneo stordimento rappresentano la crisi dei nostri giorni.” (3)
I negozi non muoiono solo di Amazon ma anche di tasse alte, di affitti eccessivi, di burocrazia folle, di leggi ostili, di bollette gravose per la crisi energetico-bellica. (4)
E muoiono perchè non reggono la concorrenza dei grandi centri commerciali aperti sette giorni su sette, con orari più lunghi, prezzi più bassi, servizio a domicilio e parcheggio gratuito sempre disponibile. Ad essi i Comuni consentono sempre più aperture per ricavare i canoni di urbanizzazione.
L’aggressione commerciale al territorio è iniziata con l’assedio periferico intorno alle città, per poi avanzare, di anno in anno, sempre più in centro dove oramai si trovano format tutti uguali che offrono sempre gli stessi grandi marchi rendendo insostenibile la possibilità di esistenza dei piccoli negozi al dettaglio, soprattutto in alcune categorie merceologiche.

Veri e propri “non luoghi”, secondo la celebre definizione coniata dall’antropologo Marc Augè, sono spazi che sono qui ma potrebbero essere ovunque omologando ogni angolo del mondo e uniformando gli stili di vita.
Sono gli spazi di consumo tipici della surmodernità, costruiti solo in base a criteri di marketing, dove la gente entra ed esce in qualità esclusiva di cliente anonimo: non vi è radicamento o storicità né vi si possono leggere regole simboliche che reggono un ordine sociale e le sue rappresentazioni collettive.
Cosa resta del tessuto urbano quando le relazioni concrete e i contesti locali di interazione vengono ristrutturati su pure estensioni spazio-temporali incapaci di significare antropologicamente? Che cosa rimane delle antiche piazze, luoghi di scambio e di incontro, quando le logiche del mero utilitarismo e dei rapporti di mercato predominano su ogni altro spazio di vita?
Gli studi attestano che, in tre mesi, gli algoritmi conoscono un utente “meglio” del suo partner inviando pubblicità e informazioni ad hoc che derivano da processi di proliferazione personalizzati. Almeno per Natale, spegni il PC, alzati dal divano e vai a comprare i regali nel negozietto sotto casa creando legami, identità e cultura all’interno di un territorio. Percorri la via che non fai più da tempo, potresti sorprenderti di ciò che ancora non sapevi girando l’angolo della tua città.
I conflitti oggi riguardano più che mai il bisogno di opporsi ai non luoghi.
NOTE
1) Nel 2022 c’è stata una leggera ripresa con l’apertura di circa 800 nuovi piccoli punti vendita ma è stato un fuoco di paglia e già nel 2023 sono diminuite di 581 unità per arrivare di nuovo al meno 700 del 2024 rispetto al 30 giugno 2023.
2) Si veda “Amazoniade, un anno nel magazzino di Passo Corese“, il documentario in 20 puntate del giornalista d’inchiesta Massimiliano Cacciotti
3) Byung-Chul Han, “Nello sciame. Visioni del digitale”, Nottetempo, 2015
4) Come noto, Amazon gode di uno speciale regime fiscale
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