Elogio delle ferie d’agosto
di FERDINANDO PASTORE (Pagina FB)

La sintesi dello spirito cosmopolita e imprenditoriale dell’esistenza è racchiusa nella purtroppo osannata filippica di Sergio Marchionne contro la dispersiva e indolente abitudine nazionale di lasciare vuoti gli uffici per tutto il mese di agosto. Da poco nominato capo supremo della Fiat, si stupì dell’assenza completa del personale nel momento in cui l’azienda versava in uno stato di crisi: in America, sottolineò il nostro, se ne fregano di agosto, loro lavorano senza soste. L’Italia, dunque, piace per visitarla in vacanza ma non per investire denari. Gli aspiranti business men, i solerti quadri manageriali delle multinazionali ma anche tutto quel ceto politico, tecnico e giornalistico sempre in vetrina con camicie bianche arrotolate fino ai gomiti, con parte del mondo professionale più di tendenza, salutarono quelle parole come una svolta sintattica del costume nostrano.
Finalmente un sano protestantesimo efficientista varcava le Alpi per sanificare in un sol colpo sedimentate pigrizie vacanziere, cocomeri lasciati a rinfrescare a riva, pance gonfie e tese orgogliosamente messe in mostra sui bagnasciuga dei nostri mari calmi dove nessuno fa surf. Un vero e proprio scandalo l’Italia: per ben un mese si ha il coraggio di abbandonare la postura prestazionale delle giornate per preferire l’inconcludenza delle chiacchiere di paese. Il sudore arroventato degli esodi di massa, la promiscuità tra classi sociali distanti per censo, cultura, posizione professionale, il brulichio di corpi arrostiti dal sole che schiamazzano nelle spiagge, contraddicevano l’esclusività portata dalla dedizione rarefatta, impersonalmente identica a sé stessa, all’ufficio, ai meeting internazionali in diretta da Milano, e al raggiungimento dei bonus e degli incentivi concorrenziali.
Meglio non mischiarsi con quella mistura di creme abbronzanti, di musica rumorosa, di conversazioni capaci di dilatare il corso del tempo senza misurarsi mai con la virtuosità del profitto. Più cool sparire di tanto in tanto per dei weekend rigeneranti con voli last minute. Tonificare menti e personalità con l’aria condizionata dei grandi hub del turismo d’élite, con gli spazi concepiti perché a tutti sia concesso di percepirsi parte dello star system per almeno mezza giornata, con il viaggio emotivamente esperienziale in canyon o deserti esotici, per poi tornare diligentemente a inebetirsi con curve di fattibilità o con target prestazionali che vorrebbero indorare lo sfruttamento.
Agosto, al contrario, il lungo agosto italiano, quando il cemento delle città sprofondava nel silenzio, quando l’ingorgo dell’autostrada del sole allarmava la protezione civile con la distribuzione di acqua fresca, contribuiva a fortificare la democrazia. Il ritorno nei paesi d’origine accomunava il destino di padroni e lavoratori, di ricchi e poveri. Tutti rimasticavano il dialetto, tutti potevano sorridere dei piccoli pettegolezzi della piazza. Anche il lungo conflitto sociale dell’inverno rumoroso trovava una quiete nel cibo di prossimità, nelle tavolate di reminiscenza contadina; vecchi, giovani, padri e madri, signori e cafoni si confrontavano senza l’assillo cronometrico dell’orario, di un cartellino, senza l’ossessione totalitaristica per la performance.
Il nostro agosto, ormai stemperato dopo anni di precarietà e di flessibilità lavorativa che inchiodano al ricatto delle imprese, era un gioiello da esportare, persino in America. Altro che Marchionne.
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