Padre Semeria, sacerdote nazionalpopolare
di QELSI (Leonardo Giordano)
La figura di Padre Giovanni Semeria, fondatore dei cappellani militari, è personalità molto complessa e composita, non priva di aspetti e caratteristiche a prima vista contraddittori, per poter essere considerata come antesignana di una certa forma di “sovranismo”. Tuttavia un tratto abbastanza distintivo della sua personalità può essere definito a giusta ragione “nazionalpopolare”.
Chi era questo sacerdote il cui contributo all’istituzione di un ordine regolare e riconosciuto di cappellani militari fu decisivo e determinante? Nacque nel 1867 a Coldirodi, frazione di Sanremo, anche se la sua famiglia si trasferì a Torino appena due anni dopo la sua nascita. Fu a Torino che egli fece i suoi primi studi presso il Collegio dei Gesuiti “Girolamo Vida” e poi presso il Collegio “Carlo Alberto” di Moncalieri allora condotto dall’ordine dei Barnabiti, un ordine sacerdotale cui era appartenuto il patriota cappellano dei garibaldini Ugo Bassi. Fortemente segnato dalla formazione presso quest’ordine ne prese i voti nel 1883. I suoi studi di teologia, filosofia, eloquenza ed archeologia furono approfonditi e spesso orientati da dotti e grandi maestri di queste discipline. Egli conobbe, seguendone alcune lezioni, il grande storico della Roma classica Teodoro Momsen. A 22 anni, a Pasqua del 1890, divenne sacerdote barnabita.
Continuò i suoi studi laureandosi in Filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, in modo particolare approfondì gli studi sul marxismo e sulla dottrina sociale della Chiesa, l’enciclica “De rerum novarum” in primis. Nel frattempo si distinse per un’intensa opera di apostolato nel quartiere popolare di S. Lorenzo a Roma che egli considerava “il quartiere più miserabile di Roma, ma dei più miserabili al mondo”. Dotato di un’oratoria appassionata ed intensa, di un eloquio dotto e vibrante, la sua opera di apostolato della dottrina sociale della Chiesa faceva perno sulla predicazione. Egli diceva di sostenere una sorta di cristianesimo “sociale” ed era convinto che la democrazia, in sé e per sé, sganciata da principi saldi e trascendenti, non fosse un valore: ‹‹Non vogliamo un cristianesimo che nella democrazia si corrompa, ma una democrazia che nel cristianesimo si ispiri, si rigeneri, si nutra.›› Un’opinione sulla democrazia, la sua, che si è potuta leggere anche negli scritti di S. Giovanni Paolo II.
Fu sospettato di modernismo e, nel 1908, gli fu intimata la sospensione della sua predicazione a Genova. Subì anche un processo che si concluse con due condanne del Sant’Uffizio, mai pubblicate per l’incombere della Prima Guerra Mondiale. Ciò gli comportò però l’allontanamento in Belgio sino al 1914 dove lavorò tra gli emigranti italiani e pubblicò sotto altro nome alcuni suoi studi nella Rivista neoscolastica diretta da Padre Agostino Gemelli, futuro fondatore dell’Università Cattolica.
Nel 1915 il Generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano, su segnalazione della figlia Carla, lo chiamò come cappellano militare e lo fece rientrare dal Belgio. Nei mesi che avevano preceduto lo scoppio della guerra, Padre Semeria aveva partecipato con vari scritti al serrato dibattito e confronto tra interventisti e neutralisti. La sua posizione non poteva assolutamente essere assimilata ad una sorta di pacifismo “irenista” e pantofolaio, così come netta, da cristiano coerente, era la sua condanna della guerra e delle sue tragiche e violente conseguenze: ‹‹Tolstoj dunque, pacifismo ad oltranza, herveismo sacro…sciopero militare, anarchia? Per quel bell’ordine che rappresenta la guerra, anche quella dei popoli civili, colle biblioteche che fumano, e le cattedrali che bruciano e tanti innocenti travolti nel turbine, per quel bell’ordine…Ma io non voglio lasciarmi trasportare da nessun sentimento che possa essere tacciato di sentimentalità. Io non sono anarchico, io non credo nel Vangelo dinamite, nel Vangelo anarchico. Sento le esigenze morali, le esigenze della giustizia. Vangelo guerraiolo… e Vangelo antiguerraiolo sono due contrari, due estremi. Possono essere falsi entrambi.››
Una volta però che una guerra è scoppiata ed è divenuta realtà, un dato di fatto, anche un uomo di Chiesa e di religione non può abbandonare le anime di coloro che vi partecipano, si deve sentire mobilitato per far modo che queste anime non si perdano nella tremenda temperie bellica, per accompagnare questi uomini che sono i soldati a fare il loro dovere pur non rinunciando, con la disperazione, a partecipare al disegno divino di salvezza.
Giuseppe Mastromarino, uno degli studiosi più appassionati dell’opera del prete barnabita, afferma: ‹‹[…] il Semeria non fu affatto nazionalista, un guerrafondaio, ma considerò la guerra un flagello che sarebbe stato meglio evitare o estirpare. Egli si definiva un patriota cristiano, un realista che aveva preso atto, purtroppo, della guerra e, in questo senso, difendendo l’operato dei cappellani militari, poteva dire con orgoglio “non fummo nei giorni di pace apostoli di guerra. Nei giorni di guerra fummo apostoli della vittoria”››.
In questo contesto egli approfondì lo studio dell’evoluzione del patriottismo italiano distinguendovi tre fasi: il patriottismo pre-unitario legato all’idea di libertà dallo straniero e di nazione, il patriottismo “retorico, verboso e d’avventura” che caratterizza l’Italia post-unitaria, infine il patriottismo che “scaturisce da una nuova idea di italianità viva, morale, fatta non solo di lingua, ma di tradizioni artistiche e storiche che hanno il loro simbolo in Dante”. Questa forma più “evoluta” di patriottismo, secondo il barnabita, dovrebbe caratterizzare l’Italia del XX secolo. ‹‹Ma ciò che crea davvero l’anima di un popolo, di una nazione è…la coscienza di una missione da compiere nel mondo, strumento provvidenziale per la diffusione della civiltà nel mondo. Patrioti, perché cittadini della terra, noi vogliamo un’Italia più grande per la gloria di Cristo, Vogliamo un’Italia nel Cristo più civile e nella civiltà più cristiana››.
Come concretizzò nella vita reale, la dura vita delle trincee e del primo periodo post-bellico, tali sue idealità? Tale concezione del patriottismo e dell’amor patrio che non poteva per lui disgiungersi dalla “carità di patria”? Fu decisivo l’incontro al fronte, nel 1916, con un altro cappellano barnabita, Padre Giovanni Minozzi il quale gli chiese di collaborare all’ istituzione sui fronti di guerra delle “Case del Soldato”, apposite strutture finalizzate a fornire supporto spirituale, psicologico e materiale ai soldati impegnati nella Grande Guerra. Con creative e partecipate iniziative culturali, ludiche ed artistiche essi, insieme ad altri cappellani, si adoperarono per accompagnare la dura e, spesso, disperante vita del soldato con la speranza, con il conforto spirituale ed il supporto psicologico pur sostenendo la necessità che essi compissero al meglio il loro dovere di servizio verso la Patria.
Questa attività fu particolarmente fervida dopo il disastro di Caporetto e si narra che Padre Semeria, che aveva un rapporto amichevole con il Generale Cadorna, con diversi colloqui, contribuì a salvarlo dalla tentazione del suicidio che stava prepotentemente affacciandosi nel suo animo. Anzi tali colloqui, unitamente alla conoscenza intima che il Padre aveva avuto del Generale Comandante in Capo, forniscono un’idea alquanto diversa su questa figura sulla quale la vulgata storica ha creato diversi luoghi comuni fino a farne il solo ed unico capro espiatorio della disfatta.
Sia Padre Semeria che Don Minozzi, soprattutto negli ospedali da campo o nel confessionale prima di una battaglia, avevano parlato sovente con soldati e graduati ed avevano raccolto le loro confidenze, le loro angosce, il loro timore per i figli e i familiari che, laddove essi non avessero potuto far ritorno a casa, sarebbero rimasti senza sostentamento e privi del capo famiglia. Nel 1917, Padre Semeria, scrivendo a Papa Benedetto XV, come conseguenza fattiva e prosecuzione concreta del suo amor di patria, che era anche carità di patria, intendeva impegnarsi in una nuova missione consistente nella “buona, sacra, cristiana educazione dei poveri orfani”.
D’altro canto, il 12 novembre 1917, un anno prima di Vittorio Veneto e poco dopo Caporetto, Don Minozzi scriveva a Bologna il suo testamento spirituale nel quale si consacrava “totalmente agli orfani di guerra che erano stati il pensiero costante, la preoccupazione più assidua e tormentosa dei soldati”.
Fu così che nel 1919 essi fondarono l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia che doveva occuparsi, con l’edificazione di collegi e strutture educative, degli orfani di guerra del meridione. Infatti in questo primo anno nacquero i centri di Amatrice, Gioia del Colle e Potenza. Nel 1921 l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno fu riconosciuta con Decreto Regio come Ente Morale e Padre Semeria si impegnò in una campagna faticosa e densa di eventi e viaggi per raccogliere fondi e contributi a sostegno di questa Opera. Dice lo storico Mastromarino: ‹‹Padre Semeria divenne il “Fra Galdino” per tutte le contrade d’Italia per predicare, vendere i suoi libri scritti nelle piccole soste e nei modi più inconsueti, alla continua ricerca di sostegno e fondi per fare il bene agli orfani. Pertanto Semeria, per così dire, si vendeva per gli orfani facendo una vita affannosamente randagia, affermando che egli ora non era più lo stesso di prima, perché aveva famiglia.›› Scherzosamente amici e confratelli lo chiamavano “Padre Semprevia”.
L’amore per la patria italiana lo spinse più volte, tramite contatti nelle alte gerarchie ecclesiastiche e lettere ai pontefici, a suggerire, proporre e tentare la riconciliazione tra Stato italiano e Chiesa cattolica perché senza questa opera di riconciliazione difficilmente si sarebbe potuto realizzare quanto egli aveva chiesto a Dio nella sua “Preghiera degli italiani per l’Italia” (1926). ‹‹Noi Italiani […] vogliamo nel tuo amore, che è religione vera, ritemprare religiosamente il devoto affetto a questa Italia che Tu hai fatto grande, affidandole missione così alta di civiltà e di fede nel mondo e vuoi umile nella coscienza operosa dei suoi doveri e delle sue responsabilità. Noi vogliamo collocare con il lavoro indefesso, la onestà incorrotta, la fraterna carità, il culto del bello, la ricerca del vero; vogliamo collocare, O Signore, l’Italia nostra all’avanguardia della civiltà cristiana, vogliamo farla benedire nel mondo da tutti, in Cielo da Te.››
Spesso si è detto che fu il crogiolo del primo conflitto mondiale a forgiare gli italiani, qualunque fosse la loro provenienza, accostando siciliani e lombardi, lucani e veneti, pugliesi e liguri, calabresi e piemontesi al fronte e nelle trincee. Uomo del Nord, Padre Semeria, il 15 marzo del 1931, fece ritorno alla Patria celeste dipartendo da una cittadina del Sud, Sparanise di Caserta, nella quale si era fermato per la sua missione in favore degli orfani di guerra, figli di soldati italiani del Sud. La sua opera fu continuata da Don Minozzi con i Centri “Don Minozzi” o la “Pia Associazione dei Discepoli” che nella sua meritoria pedagogia mai trascurò i valori dell’amor patrio e lo studio di coloro che sono considerati gli immortali Padri della Patria italiana ad iniziare dal Sommo Dante.
FONTE: https://www.qelsi.it/2021/padre-semeria-sacerdote-nazionalpopolare/
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