“Non c’è stato nessun genocidio”: il miracolo di Trump che ha commosso il mondo
di OTTOLINATV (Giuliano Marrucci)
“Il miracolo di Trump”; “Trump libera tutti”; “La sinistra rosica”: le pagine dei giornali filogovernativi stamattina trasudavano quell’entusiasmo incontenibile che provano i ragazzini sfigati quando il cugino palestrato si presenta davanti ai cancelli di scuola e mette in riga i bulletti che li perseguitavano. Come Mario Sechi che, ogni giorno, combatte la sua guerra quotidiana contro i traumi di un’infanzia difficile e che oggi, finalmente, può festeggiare la fine di “questi due anni in guerra contro il male”. Per due anni, racconta Sechi, è stato tormentato da una sola, grande, devastante domanda: “Arrivava quando la fatica del giorno si scioglieva, nelle ore liquide in cui lampeggiano bagliori di inquietudine”; “vinceremo?” e, nonostante l’ansia, nonostante “la propaganda”, nonostante tutto “l’odio”, la risposta, “nel cuore della notte”, alla fine era “Sì, vinceremo. Stiamo vincendo”. A ridargli fiducia anche nei momenti di massimo sconforto, ricorda Sechi, era la consapevolezza di alcuni fatti oggettivi: il primo era che stavano combattendo “contro il peggior nemico dell’umanità”, quegli insopportabili e capricciosissimi bambini palestinesi che, proprio mentre gli consegnavi un pacco di farina, invece di dirti grazie, si mettevano a piangere a favore di telecamere per alimentare l’odio antisemita; ma soprattutto, nonostante tutte le maldicenze e le accuse infondate, la consapevolezza “che Benjamin Netanyahu era un eccezionale leader di guerra” e che “Donald Trump avrebbe tenuto la barra dell’America dalla parte giusta della storia”. D’altronde, sottolinea Sechi, il legame tra Washington e Gerusalemme non è un mero matrimonio di interessi, ma ha una natura profondissima, divina: è nientepopodimeno che “il canone occidentale”, sottolinea Sechi. La base di tutto, che affonda le radici in quelle “Sacre Scritture che ieri abbiamo sentito echeggiare nell’aula della Knesset”: “I figli di Abramo”, ha affermato Bibi a Forrest Trump, “lavoreranno insieme per costruire un futuro migliore. Un futuro che unirà la civiltà contro la barbarie, la speranza contro la disperazione, la luce contro l’oscurità”.
D’altronde, come sottolinea Nosferatu Sallusti sul Giornanale, “Dopo le parole di stima che il presidente americano ha profuso verso il premier israeliano, sarà difficile per la comunità internazionale continuare a trattare Netanyahu alla stregua di un criminale di guerra”: finalmente, esulta, “i tasselli di questa brutta storia stanno tornano uno alla volta al loro posto”. “Great job Bibi” rilancia, poche pagine dopo, Fiammata Nirenstein: il merito di Netanyahu, sottolinea Fiammata, è stato quello di avere il coraggio di perseguire i suoi obiettivi senza inseguire i facili consensi di quelli che si inteneriscono per 20 mila bambini trucidati, manco fossero figli loro; “Bibi tirava dritto”, esulta Fiammata, e ora, sottolinea, “è difficile che il presidente Herzog possa evitare una risposta alla richiesta di grazia per Netanyahu”. Come ha detto Trump: “Champagne e sigari! Chi se ne importa”; questo sì che è saper vivere! Questo si che è far trionfare l’amore; e, invece… “Mamma mia che musi lunghi”, sottolinea, sempre su Libero, quel raffinato intellettuale e uomo di saldi principi che è Daniele Capezzone… “Mamma mia che facce tristi”.
Sembra di essere tornati al settembre del ‘38: Hitler, dopo aver riorganizzato le sue forze armate, aveva minacciato un’imminente invasione della Cecoslovacchia con la scusa di dover correre in soccorso alla minoranza germanica dei Sudeti; alla vigilia dell’operazione militare, in extremis, Francia, Gran Bretagna e l’Italia di Mussolini organizzarono una conferenza a Monaco dove, senza coinvolgere la Cecoslovacchia, decisero di regalare al Reich i territori abitati dai Sudeti senza bisogno di combattere, in cambio dell’impegno a non invadere il Paese. Alla fine della conferenza, il Corriere della Serva titolava così: Il Duce ha salvato la pace. Pieno accordo raggiunto a Monaco tra Mussolini, Hitler, Chamberlain e Daladier; “La gratitudine del mondo intero al Capo incomparabile che col suo genio ed il suo prestigio ha aperto la via alla riconciliazione dei popoli”. Tre mesi dopo, un simpatico parlamentare svedese fece il nome di Hitler come potenziale candidato al Nobel per la Pace, e ancora 2 mesi dopo Hitler invadeva la Cecoslovacchia senza che gli altri firmatari dell’accordo di Monaco muovessero un dito. Rispetto ad allora, per l’Italia le cose si sono messe un po’ peggio: allora il mascellone era stato il promotore dell’incontro. La Meloni a Sharm faceva tenerezza: unico rappresentante del gentil sesso in quella che sembrava una grande voliera, l’hanno messa in un angolino a servire i gelati – che effettivamente, come nel ‘38, rimangono un’eccellenza tutta italiana.
Quello che, invece, rassomiglia a Monaco da vicino, è che si tratta di una vera e propria capitolazione, anche se ancora più spudorata: allora, infatti, il genocidio era ancora di là da venire e Hitler non aveva ancora invaso nessuno; si era solo limitato ad annettere, con la totale complicità della classe dirigente locale (anche quella socialdemocratica) l’Austria. Qui, invece, siamo di fronte a due anni di genocidio in diretta streaming e, soprattutto, di aggressione indiscriminata di sostanzialmente tutti i Paesi che circondano Israele; insomma: l’Adolf del ‘38, al confronto, poteva essere scambiato per una suora orsolina. E, giusto per non farsi mancare niente, proprio mentre Bibi veniva riabilitato senza motivo in mondovisione, arrivavano le prime testimonianze da parte dell’equipaggio della Freedom Flotilla recentemente sequestrato in acque internazionali e illegalmente posto in arresto, come le sue: si chiama Noa Avishag Schnall ed è una fotoreporter ebrea che viaggiava a bordo della nave Conscience e che, stando alle sue dichiarazioni, sarebbe “stata appesa per i polsi e per le caviglie, ammanettata con catene di metallo, colpita sullo stomaco, sulla schiena, sul viso, sull’orecchio e sulla testa da un gruppo di guardie”. La capitolazione è su diversi piani: la prima è quella dei Paesi arabi e musulmani, che hanno così dimostrato non esserci nessuna linea rossa in termini di sofferenza inflitta ai fratelli palestinesi; al limite, ma proprio al limite, una fetta un po’ più grande nel business della ricostruzione, ed ecco che passa il rancore. Ma, soprattutto, una capitolazione invereconda da parte del mondo progressista, che nelle ultime settimane, dopo due anni di distrazioni, aveva fatto finta di avvicinarsi alla causa palestinese.
Trump è riuscito a rimetterli tutti in riga; d’altronde, come si dice, sarà pure un bastardo, ma è il nostro bastardo, come ricorda Rampini proprio su quello stesso giornale che celebrava la pace di Monaco 90 anni fa. Rampini ammette che “è comprensibile che il personaggio dia le vertigini, e che disorienti il mondo intero per la velocità con cui cambia posizioni”, però bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: grazie al sostegno a Israele e alle bombe contro l’Iran, Trump avrebbe il merito di aver “cancellato l’impatto che ebbe la disastrosa ritirata di Biden dall’Afghanistan nel 2021” e, complice la passività “spettacolare” di Mosca e Pechino, aver dimostrato che “oltre alla schiacciante superiorità militare di Israele”, nell’area “rimane una sola potenza in grado di fare da arbitro”; alle “interminabili guerra arabe” dei neoconservatori, plaude Rampini, Trump “ha sostituito la logica del breve blitz che ribadisce i rapporti di forza” e – udite, udite – ha portato nelle relazioni internazionali quel brio delle “dirompenti start-up della Silicon Valley”, “una sorta d’instabilità creativa” che utilizza per svelare come i contendenti siano tutti, per dirla con Mao, “tigri di carta”. Rincara la dose Monica Maggioni su La Stampa, che definisce il nostro amato Forrest un “parvenu diventato Re”: certo, contessa, ammette, parliamo di “un uomo dai gesti scomposti” e con “un lessico pieno di limiti”, un uomo volgare per il quale contano “la forza, i soldi e il potere che ne deriva” e che però, contessa, “ha costretto tutti alla tregua”; anche i bifolchi hanno un posto nei piani del Signore!
Il punto è che, come la giri la giri, la priorità dei nostri benpensanti – sia che appartengano al culto meloniano o a quello draghiano – è sempre stata e continua ad essere difendere il giardino ordinato dai barbari; con la spregiudicatezza che è propria dei sociopatici, Netanyahu ha rischiato di isolare l’avamposto coloniale in Medio Oriente del mondo libero e democratico e di fare un favore enorme al nemico: di fronte a questo rischio esistenziale, un pezzo consistente di classe dirigente occidentale ha cominciato a credere che l’unico modo per salvare Israele – e, con lui, l’egemonia dell’Occidente in Medio Oriente – fosse fare fuori Bibi, scaricare su di lui tutte le responsabilità e cercare di tornare a parlare della leggenda metropolitana di Israele unica democrazia del Medio Oriente, perculando l’universo mondo con la novella dello stento dei Due Popoli, Due Stati. Forrest Trump, che è arrivato alla Casa Bianca per reintrodurre un po’ di macho spirito guerriero nell’assopito Occidente collettivo, ha giocato d’anticipo e ha imposto una capitolazione a spese della lotta di liberazione palestinese, che (per ora) sembra poter garantire la sopravvivenza del progetto coloniale Israeliano senza dover rinnegare questi due gloriosi anni di “guerra contro il male”, per dirla con il compagno Sechi. Se gli altri attori abbiano deciso di assecondarlo perché condividono la sua visione di una grande Israele egemone nell’area, o solo per prendere un po’ di tempo e riorganizzare le fila, vedremo; di sicuro, rimane il segno di un Occidente peggiore di quello del ‘38, che dà il lasciapassare al novello Hitler nonostante, a differenza di allora, il genocidio sia già in corso e davanti agli occhi di tutti.
D’altronde, che non esista nessuna Israele diversa da quella rappresentata da Netanyahu, ieri l’ha voluto sottolineare con enfasi anche lo stesso capo dell’opposizione alla Knesset, Yair Lapid, che si è rivolto a chi ha dimostrato solidarietà nei confronti della lotta di liberazione palestinese in questi due anni: “Vi hanno ingannati”, ha tuonato; “Esperti di propaganda, finanziati con denaro del terrorismo, vi hanno manipolati. Non c’è stato alcun genocidio. Non c’è stata alcuna fame deliberata”. “La verità è che uno Stato democratico è stato attaccato da un’organizzazione terroristica fanatica”: “Nel mondo”, ha affermato, “esistono il bene e il male. Quando state con Hamas, con Hezbollah o col regime iraniano, state con il male. Quando state con Israele, state dalla parte della giustizia”; ed è proprio “in questi due anni” che Israele “ha riscoperto tutta la sua grandezza”.
Dopo la seconda guerra mondiale, il negazionismo rimase il patrimonio di una minuscola minoranza di disadattati, emarginati dalla società; ora il negazionismo è la storia ufficiale, la storia raccontata dai vincitori, compresi quelli “progressisti” come Yair Lapid. Quando, negli anni scorsi, in vari contesti è stata rivolta la domanda “Come ti giustificherai di fronte ai tuoi figli?”, ora sappiamo la risposta: non ci sarà niente da giustificare; semplicemente, diremo che non è mai accaduto. Non sono sicurissimo di riuscire così serenamente a fare finta di niente, come un Lapid qualsiasi; mi sa che mi manca proprio il physique du role. E voi? Per chi non ha intenzione di arrendersi al negazionismo, l’unica opzione è continuare a raccontare la storia per com’è andata e per come è, e non per come la riscrivono i (speriamo solo temporanei) vincitori; per farlo, abbiamo bisogno come il pane di un vero e proprio media indipendente, ma di parte: quella dei popoli che lottano per la loro autodeterminazione. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Matteo Renzi





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