L’antiautoritarismo grimaldello per l’equiparazione tra fascismo e comunismo.
di FERDINANDO PASTORE (Pagina FB)
I fascisti della mia età hanno sempre cercato di porre l’attenzione sull’equiparazione tra i regimi neri e i paesi del socialismo reale. Nella loro dialettica si scorgeva la volontà di offrire un terreno comune di discussione e il desiderio di volersi far guardare in termini più benevoli. Ma, in realtà, con questo stratagemma hanno sempre intravisto la possibilità di rilegittimare la loro immagine e, alla lunga, di ottenere possibilità politiche all’interno dell’arco parlamentare e credibilità all’interno dei circoli culturali.
Se ci si fa caso, l’estrema destra non perde occasione per votare le risoluzioni che equiparano i due fenomeni storici. Lo fa per due motivi. Il primo è avere la possibilità di mettere al bando nei Paesi dell’Est Europa i partiti socialisti e comunisti e vietare la loro presenza pubblica. È avvenuto in Ucraina e sta avvenendo in Polonia. Ma in più l’equiparazione, nei Paesi dell’Europa occidentale, permette ai nostalgici di partecipare con piena dignità al contesto politico nazionale, proprio perché tra Parigi, Roma e Madrid non è semplice mettere fuorilegge le tradizioni politiche che contribuirono maggiormente alla liberazione dal nazifascismo. Ma se sono buone le une saranno accettate anche le altre. Così potranno anche governare quando il contesto politico lo permette.
Questo espediente logico è servito ai liberali di destra e di sinistra per certificare la loro centralità costituzionale nel sistema guidato dai mercati. L’obiettivo ovviamente era sin da subito cancellare la tradizione politica marxista per renderla non solo antiquata ma anche inappropriata al volgere della nuova civiltà imperniata sul capitalismo digitale, finanziario e globalizzato. Anzi, nel contesto mutato sarà proprio l’estrema destra a reggere il moccolo ai governi che ossequiano rispettosi il profitto privato.
Il disinnesco del conflitto sociale organizzato ha rappresentato un’ossessione per la civiltà neoliberale. E paradossalmente trovò una sua giustificazione morale nell’enfatizzazione dell’antiautoritarismo, così come era presentato da qualche frangia della nuova sinistra sessantottina, soprattutto quelle più americanizzate. Tutta la tradizione della “fantasia al potere” che arriva alla necessità primaria del “personale è politico” e dell’emancipazione di sé attraverso la liberazione del piacere, con la diffusione di pratiche contestative situazioniste, ha consacrato una sorta di rifiuto permanente allo Stato, chiunque sia a rappresentarlo. E ha diffuso la convinzione che per ottenere il socialismo non servisse un’azione tesa a conquistarlo per poi difendere quella conquista.
Questo è il motivo per cui qualche settore dell’antagonismo non riesce proprio a prendere posizioni nette sulla questione ucraina, lì dove i nazisti si sono fatti esercito regolare finanziato dalle Casapound di mezza Europa o per la rivoluzione bolivariana del Venezuela. Oppure, pur spendendosi attivamente per il popolo palestinese, faticano a cogliere il cuore portante della questione palestinese che è la formazione della nazione e dello Stato palestinesi con dei confini precisi, altro che “no borders”.
Ed è il motivo per cui la logica di Zerocalcare, che è indubbiamente un militante, lo costringe ad accettare la compagnia degli Scurati di turno e di tutti quelli che pontificano di riarmo etico, di guerre preventive, di valori europei da difendere. Paradossalmente è lo stesso Zerocalcare che si trasforma in un tifoso spassionato delle squadracce Azov, delle novelle Pinochet venezuelane, perché Putin, Maduro e chi per loro rappresenterebbero cadenze autoritarie. Motivo per cui gli appelli contro l’editoria nazista, più che giustificati, perdono nerbo e sostanza politica per diventare il solito argomento di conversazione nelle apericene partigiane dei quartieri più sofisticati.
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