Il socialismo: oltre la destra, oltre la sinistra, oltre la modernità

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23 risposte

  1. Dario Romeo ha detto:

    Mi sembra il solito "oltrismo" tanto in voga a destra, un argomento a cui noi di Indipendenza abbiamo dedicato vari scritti nei numeri cartacei (per chi fosse interessato alcuni si possono trovare sul nostro sito http://www.rivistaindipendenza.org nelle sezioni “Contributi per una teoria nazionalitaria” e “Le novità del sito”) e diverse discussioni anche sul nostro forum (http://indipendenza.lightbb.com).
    Veniamo allo scritto di De Benoist. Si parte da un'analisi condivisibile sulle trasformazioni degli spazi politici di "destra" e "sinistra" e dell'egemonia che il liberalismo esercita ormai su di essi. La conseguenza è che oggi, nelle cosiddette democrazie bipolari o bipartitiche, la dicotomia destra/sinistra non costituisce in nessun modo una linea di frattura politica, nonostante sia assolutamente centrale sul piano elettorale. Sin qui –come detto– l’analisi è condivisibile.
    Dopodiché però si arriva alla solita conclusione secondo cui, a fronte di una sostanziale convergenza tra destra liberale e sinistra liberale, si renderebbe necessario un analogo avvicinamento tra destra antiliberale e sinistra antiliberale. La tesi, a una lettura superficiale, può certo risultare sensata e convincente. Tuttavia, se si prova a entrare nel merito, rivela tutta la sua inconsistenza e la sua fallacia. Procedo per punti:
    – In primo luogo è significativo che l’idea di una sostanziale identità politica tra la destra e la sinistra “mainstream” (liberali e liberiste) è supportata con una certa dovizia di argomentazioni nel merito. Al contrario la comunanza tra destra e sinistra antiborghesi è soltanto evocata come reazione ed è giustificata unicamente dal fatto di avere un nemico comune.
    – Uscendo dalle categorie di sinistra e destra (categorie plurali, al cui interno possono essere incluse una pluralità di famiglie politiche) e andando alla sostanza è del tutto evidente che la destra e la sinistra liberal costituiscono lo spazio occupato dai sostenitori del liberalismo capitalista, l’ideologia uscita vincitrice dagli eventi del XX Secolo. Chi sarebbero poi gli antiborghesi di destra? Fascisti, neo-fascisti, post-fascisti, ecc. E gli antiborghesi di sinistra? Comunisti, anarchici, post-comunisti, ecc. Quali sono le novità rispetto allo scenario novecentesco? Due, essenzialmente: la prima è che i rapporti di forza sono assolutamente sbilanciati in favore del pensiero unico liberal-capitalista; la seconda è che tra gli oppositori non figurano solamente i nostalgici del comunismo e del fascismo, bensì anche coloro che si propongono il superamento dell’esperienza novecentesca, prendendo atto delle rispettive sconfitte. Tali superamenti, al netto degli elementi di novità sul piano teorico e dell’analisi, mantengono però ovviamente intatti i nuclei concettuali di fondo, nonché i sistemi di valori di riferimento. Ergo mantengono intatte le differenze tra i rispettivi orizzonti politici e progetti di società. Ragion per cui, l’idea di un connubio tra destra antiliberale e sinistra antiliberale ha sul piano dei contenuti la stessa pertinenza che avrebbe avuto teorizzare l’alleanza tra nazi-fascismo e comunismo contro i regimi liberali negli anni tra le due Guerre Mondiali.
    – La realtà odierna sta dimostrando che il sovranismo “di destra” (neo, post, cripto o para-fascista) e il sovranismo “di sinistra” (comunista o socialista) si dimostrino assolutamente alternativi e inconciliabili sul piano politico. Qualche esempio: in Grecia abbiamo il KKE (Partito Comunista Greco), il quale chiede a gran voce l’uscita dall’UE, ma di certo non si allea con i neo-nazisti di Alba Dorata che rivendicano Costantinopoli. E sempre in Grecia abbiamo Syriza che pur non rivendicando apertamente l’uscita dall’euro e dall’UE si è presentata con un programma di fatto sovranista e “di sinistra”. In Ungheria il sovranismo viene rivendicato solo “a destra” assumendo perciò determinati contenuti. Situazione simile in Francia, dove le rivendicazioni sovraniste sono il cavallo di battaglia del Front National, sebbene qualcosa si muova (sia pur timidamente) anche nel Front de Gauche. In Portogallo al contrario l’unica forza politica che rivendica la sovranità nazionale è il Partito Comunista. Nella Repubblica d’Irlanda, in occasione del referendum sul Trattato di Lisbona, a fare campagna per il no fu esclusivamente lo Sinn Fein. Si potrebbe andare avanti con gli esempi, ad ogni modo in nessun caso si produce una convergenza politica tra sovranisti di sponde opposte, in nessun caso ha preso corpo un movimento sovranista caratterizzato dalla retorica dell’oltrismo.
    – Come già detto in apertura, le teorie dell’oltrismo arrivano sempre “da destra”, o per essere più precisi da ambienti neo o post fascisti. Non è inoltre un fenomeno recente, basti pensare a figure chiave della destra radicale del dopoguerra come Thiriart o Freda, e ai vari nazional-bolscevichi, nazi-maoisti ecc. A ben vedere poi, il superamento delle categorie di destra e sinistra è un’idea-forza già dei fascismi storici. Quindi veramente nessuna novità.
    In questi ambienti si tende poi spesso ad autoattribuirsi le etichette di socialisti, e in alcuni casi anche di comunisti (vedi il comunismo aristocratico di Freda). Sarebbe poi interessante andare a capire quali sono i contenuti di questo “socialismo”. Le etichette sono solo parole, è la sostanza che conta.
    – Anticipando una possibile obiezione credo sia giusto sottolineare come non può essere un argomento il richiamarsi a esperienze come quella del CLN, che non fu né un’associazione, né un movimento, né un partito, né una lista elettorale, bensì un’alleanza puramente tattica (come dimostrato dai posizionamenti prima dell’ascesa del fascismo e durante la Guerra Fredda) tra movimenti politici già esistenti e differenziati ideologicamente e operativamente. Un’alleanza che si produsse in circostanze eccezionali ed estremamente contingenti. Mai è esistita una forza politica che presentasse al suo interno una simile pluralità ideologica e culturale.

  2. stefano.dandrea ha detto:

    Di Michéa lessi, nel 2005, un libro che mi colpì: Il vicolo cieco dell'economia. Sull'impossibilità di superare a sinistra il capitalismo, Eleuthera 2004.

    Devo andare a rileggerlo. Forse tante idee, economiche, politiche e morali, che credevo di aver maturato grazie a letture e riflessioni, nonché a dialoghi con alcune persone, in realtà le ho tratte da là. Comunque di questo lungo articolo cambierei tre o quattro frasette.

    Trovo espressi perfettamente i problemi, le soluzioni, le defninizioni,la distinzione tra socialismo e sinistra, i quali possono essere storicamente alleati o avversari, perché sono due "ideali diversi". Voglio però precisare che sono parecchio giustificazionista sulla alleanza tra sinistra e socialismo, non soltanto sui primi 70 anni ma anche sul periodo successivo al 1968. Questa è una differenza, ma di poco conto, visto che attiene alla "comprensione" o "giustificazione" di un fenomeno passato, adottando un punto di vista realista – insomma, non poteva che andare così; le voci contrarie sono state poche e flebili.

    L'articolo mi conferma che sono necessarie prese di posizione che all'inizio lasciano gli ascoltatori o i lettori perplessi e storditi.  Bisogna spostare l'asse della politica. Ruotarlo di novanta gradi e girarlo di altrettanti. Bisogna che si scontrino parti che non si sono mai scontrate e che si incontrino soggetti che sono stati su parti avverse (uno di sinistra con uno di centro; uno di centro con uno di destra; uno di destra con uno di sinistra).

    La riconquista della sovranità, che è l'ipotesi politica concreta dalla quale occorre partire è in grado di mescolare le carte. Un antiabortista che vuole riconquistare la sovranità diventa mio alleato. E nella assoluta debolezza della prima ora, nella inesistenza di partiti sovranisti significativi tra i quali scegliere, nel lungo periodo di fondazione della parte sovranista, io e l'antiabortista potremo militare nell'unico Fronte che si andrà formando.

    Al contrario i militanti della Federazione della sinistra, di sinistra ecologia e libertà o del partito democratico, i quali sceglieranno di restare in partiti che, per le politiche che perseguono o per quelle che opportunisticamenteaccettano, devono essere considerati a tutti gli effetti antisovranisti, sono avversari politici. Si possono e devono avere buoni rapporti con minoranze interne, naturalmente. Ma questi amici devono sapere che uno dei compiti del fronte sovranista sarà di togliere alla sinistra, compresa quella radicale, il consenso di cui gode. I partiti di questi amici vanno attaccati. Vannno moralmente distrutti agli occhi degli elettori.

    E' soltanto uno dei primi "paradossi" ai quali assisteremo. Si intravede sullo sfondo un periodo storico affasciante e che lascia qualche speranza. Rischioso ma anche affascinante e fonte di speranza. Le carte stanno cominciando a mescolarsi. L'asse dello scontro politico ha iniziato a muoversi. Non abbiamo più le vecchie certezze. Quelle certezze erano la forza del sistema; le parole d'ordine sulle quali era fondato il consenso.

  3. tania ha detto:

    Quanta confusione .
    E’ vero che per gran parte del XIX secolo furono i liberali ad occupare la parte sinistra dei vari parlamenti , ma questo semplicemente per il fatto che il movimento operaio era considerato illegale . Un po’ come oggi d’altronde : anche oggi la parte sinistra dei parlamenti occidentali è occupata da liberali e anche oggi semplicemente per il fatto che il movimento operaio è considerato illegale ( come sappiamo la maggioranza degli attuali lavoratori non hanno nemmeno il diritto di cittadinanza e dubito che i neofascisti desiderino concedergliela )
     
    Poi … L’idea di socialismo va oltre se mai il rispetto delle tradizioni popolari , perché vorrebbe dire rispettarne anche gli aguzzini e gli sfruttatori ( che fanno parte della amggioranza delle tradizioni popolari ) .
     
    Ultima considerazione … L’idea di progresso del movimento operaio non ha nulla a che vedere con l’idea borghese di progresso . L’obiettivo supremo del progresso per Marx non è la crescita infinita di beni (“l’avere”), ma la riduzione della giornata lavorativa e la crescita del tempo libero (“l’essere”). Nessuno quanto Marx ha denunciato la logica capitalista della produzione per la produzione, l’accumulazione del capitale, delle ricchezze e delle merci come scopo fine a sé stesso. L’idea stessa di socialismo –al contrario delle sue miserabili contraffazioni burocratiche– è la produzione di valori d’uso, di beni necessari alla soddisfazione delle necessità umane .

  4. Fabio ha detto:

    Ottimi gli interventi di Dario Romeo e Tania .
    @Stefano D'Andrea , posso rispettare ( anche se non lo condivido ) il tuo obbiettivo di togliere consenso a Rifondazione Comunista . Quello che non rispetto è il tuo strizzare l'occhio ai simpatizzanti neofascisti  per raggiungere quest'obbiettivo .
    E non credo nemmeno sia onesto , come argomento del superamento della dicotomia destra/sinistra , continuare a definire il PD di "sinistra" . Poichè il PD ha sposato in pieno il neoliberismo , va da sè che il PD è un partito di destra . 

  5. Dario Romeo ha detto:

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    Aggiungo qualche ulteriore considerazione a quanto già espresso nel mio primo intervento.
    La critica della modernità, la critica dell’ideologia del progresso (in quanto strettamente connesse con l’ideologia del capitalismo) sono largamente condivisibili. A patto ovviamente di non buttare via il bambino con l'acqua sporca e di non incorrere nell'errore speculare, quello dell'esaltazione a-critica di scenari da Ancien Régime o suppostamente "tradizionali". E difatti le posizioni  Pasolini, di Sorel, della Scuola di Francoforte sono incompatibili con quella di Evola.
    In relazione al nome più “recente” tra quelli da me citati, Pasolini ebbe intuizioni fortemente anticipatrici, fu un pensatore per certi versi anche “eretico”, ma mai si sarebbe sognato di teorizzare connubi con neo e post-fascisti nel nome della comune avversione al capitalismo e alla modernità, né di porsi “oltre la destra e la sinistra”. Se ne deduce che a sinistra trovano cittadinanza sia l’ideologia del progresso e l’apologia della modernità, sia la critica (anche radicale) delle stesse.
    Destra e sinistra sono infatti categorie plurali, potremmo dire due “contenitori”. L’incompatibilità tra sinistra liberale e socialismo c’è sempre stata, ma il socialismo si è sempre comunque situato a sinistra, una sinistra “altra” rispetto a quella liberale.
    Il liberalismo tra l’altro è l’unica grande tradizione politica e culturale che ha trovato cittadinanza sia a destra che a sinistra. La vera novità odierna sta nell’egemonia che attualmente l’ideologia liberale e liberista esercita all'interno di entrambi i campi (il che peraltro è una peculiaritàdei paesi occidentali). Ciò è stato reso possibile dalla “conversione” di molti ex socialisti, comunisti, fascisti, ecc. in liberali. Da un lato è quindi giusto sostenere (oggi come ieri, in verità) la non centralità della dicotomia destra/sinistra. Allo stesso tempo parlare invece di superamento e svuotamento è una interessata forzatura. Se determinate tradizioni politiche (comunismo, socialismo, ecc.) si sono situate a sinistra e altre (conservatorismo, tradizionalismo, fascismo, ecc.) si sono situate a destra, vorrà dire che, sia pure su un piano molto generico (e che poi va di volta in volta riempito di contenuti e contestualizzato storicamente e culturalmente), esiste qualche elemento che può essere considerato come una sorta di minimo comune denominatore utile a definire che cos’è la destra e che cos’è la sinistra. Si tratterà ovviamente di qualcosa non sufficientemente caratterizzante da essere centrale (e infatti la sinistra liberale deve essere considerata –assolutamente al pari della destra liberale– il nemico della sinistra anticapitalista), ma nemmeno così insignificante da giustificare la convergenza politica con antiliberali di matrice fascista o reazionaria.

  6. tania ha detto:

    Anch’io vorrei chiarire un punto . Il dirigismo o il liberismo dello Stato borghese non ha nulla a che vedere con la lotta di classe , ma ha a che vedere con le esigenze del capitale : è il capitale che richiede libertà o l’intervento a seconda delle sue fasi . Il Fascismo è stato , in politica economica , liberista e poi dirigista , ma sempre in funzione della classe dominante .   
    Come sappiamo la prima fase del Fascismo fu caratterizzata da una linea di politica economica ( gestita dal liberista De Stefani , ministro delle finanze ) ultraliberista . Fase ultraliberista per altro in totale controtendenza  rispetto al modello di “stato interventista” rafforzatosi durante la Grande Guerra e sopravvissuto durante i primi anni di pace . Fin dal 1923 vennero radicalmente rimossi i vincoli alla libertà d’impresa istituiti durante la guerra ( le famose “bardature belliche” ) e rafforzati poi nel tentativo di frenare , con un tentativo di equa redistribuzione del reddito , l’ondata rivoluzionaria . Questi gli interventi del comico di Predappio per ripagare i suoi finanziatori : esonero delle tasse sui capitali esteri per favorire gli investimenti ; riprivatizzazione dei telefoni e delle assicurazioni sulla vita nazionalizzate da Giolitti ; abolizione delle imposte sui sovraprofitti di guerra , sui capitali delle banche e delle industrie , sulle successioni ; abolizione della nominatività dei titoli , del blocco dei fitti e delle tasse sulle fusioni delle società : queste le principali misure a cui si devono aggiungere i massicci interventi statali diretti ad incoraggiare gli investimenti privati e le operazioni di salvataggio in campo bancario e industriale ( Banco di Roma e Ansaldo ) . Politica filo padronale agevolata dalla costante riduzione dei salari in conseguenza della messa fuori causa dei sindacati e del movimento operaio .
    Ma il passaggio , attorno al ’27-’28 , dalla fase liberista a quella dirigista fu semplicemente una conseguenza  della crisi delle esportazioni iniziata dal ’25-’26 : le economie europee , che assorbivano le esportazioni italiane , incominciarono a mostrare i segni di una tendenza al ristagno , con una netta contrazione del commercio , una crescita della disoccupazione , dell’inflazione eccetera .. Da qui la decisione di fissare il cambio della lira con la sterlina a “quota 90” , poi l’inevitabile economia “di guerra” eccetera eccetera .
    Infatti , cari sovranisti (??) , cosa potrà mai fare uno Stato borghese quando diventa dirigista ? Ma la guerra..  cosa , se non la guerra !?! Ripetete con me  : l’unica cosa che uno Stato dirigista borghese può fare è la guerra , la G-U-E-R-R-A .
    Ma questo non lo sostiene una comunista libertaria che considera ambigui ( oltre che liberali di destra , ora spiego ) chi preme per il superamento della dicotomia destra/sinistra . Questo lo sostiene Adam Smith nel 1776 , con “La Ricchezza delle Nazioni” , quando teorizza le due vie che può percorrere lo Stato rispetto all’economia :  la via “naturale” , dove lo Stato non esagera , non forza gli scambi nemmeno con l’estero , stà in equilibrio rispetto all’economia  ; e poi c’è la via che definisce “innaturale” ma possibile , che è quella  violenta , in cui lo Stato apre gli spazi all’economia distruggendo quello che incontra : guerra interna e poi esterna . Traduzione marxiana : caduta tendenziale del saggio di profitto . Quindi nessun liberale classico ha mai negato la presenza dello Stato : questa è l’idea neoliberista  , ma i fascisti erano dei liberali classici , prima liberisti , poi interventisti  . Ed erano “liberali classici” più a destra di molti “liberali” come B.Croce ad esempio che , come sappiamo , in una famosa lettera ad Einaudi argomenta la sua simpatia per comunisti  e socialisti .
    Non credo abbia senso definirsi “sovranisti” , se non si chiarisce da chi ( da quale classe sociale ) , e in che modo , per quali scopi ( ad esempio : cooperazione con le classi lavoratrici degli altri paesi  , oppure priorità agli interessi della “Nazione” ? ) venga gestita questa “sovranità”  .

  7. stefano.dandrea ha detto:

    Fabio, il KKE non ha fatto altro che parlare contro syriza. Mentre quest'ultima, che prendeva voti anche verso il centro, accusava anche il KKE. Craxi criticava soprattutto il PCI come Mitterand il PCF. La critica politica volta ad attrarre consenso è sempre destinata ai simili o ai meno dissimili o ai confinanti. Perciò, se Rifondazione e il PDCI dovessero accettare per l'ennesima volta alleanze antisovraniste e, se non liberiste, non contrARIE A RIMUOVERE I PRESUUPOSTI CHE RENDONO IL LIBERISMO OBBLIGATORIO, QUEI DUE PARTITINI DOVRANNO ESSERE DISTRUTTI, DIREI DALLE STESSE PERSONE CHE ANCORA VI MILITANO E LI VOTANO.

    Non so dove hai visto che io strizzo l'occhio ai neofascisti. Io non ne conosco nemmeno uno, forse uno che ha quasi cinquanta anni. A me interessano le persone che incontro all'università, al bar, alla villa, in birreria, i clienti. Non so mai o quasi mai a quale partito appartengono. Spesso credo che non abbiano militato in alcun partito negli ultimi venti anni. Parlando, alcuni rivelano di aver capiuto che siamo in una trappola; che abbiamo commesso errori e dobbiamo tornare indietro; che l'euro non funziona. Questi mi interessano. Da come parlano credo che davvero nessuno sia neofascista. Magari hanno votato forza italia; o non hanno votato per dieci anni; o avevano lo zio del CCD e in famiglia hanno votato sempre per questo partito; o magari il padre ancora si dice democristiano. O sono figli di craxiani anticomunisi; o hanno votato sempre il partito della pagnotta e adesso, siccome sono intelligenti, vedono che in gfiro non ce ne è nemmeno uno; o sono piddini (ma questi sono davvero i più duri da persuadere anche soltanto un poco). Queste persone, quando si mostrano disposte a discutere di riconquista della sovranità, di costituzione, di protezionismo, del male derivato dall'accoglimento del principio della concorrenza, mi interessano politicamente. Così come mi interessano i (invero pochi) compagni che per ora sanno mettere in discussione quelli che per loro sono stati lunghi dogmi.

    Fabio, non facciamo l'errore di chiamare tutto con il termine neofascismo. Ho scritto più volte e lo ripeto che mi interessa potenzialmente il 95% degli italiani. Non mi interessano nné i neo fascisti né gli stanchi sostenitori della dittatura del proletariato. Mi interessano tutti coloro che vogliono abbracciare una prospettiva democratica, costituzionale, repubblicana e in senso lato socialista; tra questi considero potenziali alleati tutti coloro che hanno compreso che l'Unione europea è il primo grande ostacolo e va rimossa (almeno per tornare al mercato comune). Io avevo un compagno di scuola antiabortista, che allora era figlio di un democrtistiano. Ora credo non sia più antiabortista e vota certamente pd. Mica ogni antiabortista è un neofascista.

    Il mio insistere su questo punto vuol significare che un cittadino che è per un economia sociale e popolare, non improntata al principio della concorrenza ma del sano lavoro e della protezione dei soggetti economici tutti, se è favorevole ad abbandonare o distruggere il mercato unico europeo e a riconquistare la sovranità economica e se è favorevole ad abbandonare la NATO e la politica nazista che da tempo la nato va applicando,  se è democratico e non è razzista è un mio potenziale alleato, qualunque disciplina (ovviamente non nazista) voglia introdurre relativamente agli extracomunitari, agli omosessuali e alla procreazione assistita. Chi invece muove da posizioni a me contrarie e vuole più europa, è un avversario politico (ovviamente spero sempre che cambi posizione).

    Lo ripeto per l'ultima volta. Mi interessa il 95% degli italiani. Come non tutti coloro che si dichiarano di sinistra sono comunisti sono fascisti, allo stesso modo non tutti quelli che si dichiarano di destra sono fascisti (io conosco molti che si considerano di destra ma nessun fascista). Soprattutto mi interessa il quaranta per cento degli italiani che si dichiara di centro o disinteressato alla politica o disposto a seguire chiunque lo convince. Mi interessano poco i militanti incalliti, questo si, di sinistra, di centro e di destra. Quelli ho visto che non li smuovi. Sono naturalmente e logicamente settari. E cercare di persuaderli e rivolgere il lavoro politico nei loro confronti è tempo perso. Purtroppo non mi interessa politicamente, sia chiaro, nemmeno Tania, con la quale abbiamo dialogato diverse volte. La sua visione del comunismo è quella che io avevo venti e più anni fa. Mi sembra fuori del tempo, inefficace, contraddittoria, con un internazionalismo che è davvero cosmopolitismo (Tania stima Negri). Ecco Toni Negri è certamente un mio nemico politico. Già in altra occasione dissi a Tania che a mio avviso è un liberale che non vole esserlo soltanto sul piano economico (concetto che ho ritrovato nell'articolo che stiamo commentando); e che rispetto a questi liberali dimediati preferisco quelli integrali che mi sembrano più coerenti.

    Fabio, pensa al 95% degli italiani, esclusi i pochi militanti incalliti che saranno gli ultimi ad abbandonare la nave sulla quale stanno affondando (e quando l'abbandoneranno stanne certo non riconosceranno ad altri alcun primato; saranno sempre sulla cresta dell'onda, fedeli alla nuova linea).  Se negli anni a venire si riesce a parlare a quella massa, i migliori si uniranno. Invece qualsiasi discorso limitato ai comunisti o ai socialisti o a coloro che vogliono far entrare tutti gli stranieri o che vorrebbero far adottare bambini a coppie di omosessuali o single o che sono per il congelamento degli embrioni, ecc. ecc. mi sembra un discorso di nicchia e da setta fanatica. Perciò non mi interessa.

  8. Luciano Del Vecchio ha detto:

    L’articolo mi sembra interessante e convincente nella parte in cui chiarisce come si sia arrivati storicamente alla distinzione di destra e sinistra, ma soprattutto quando: le due categorie, che non esistevano nel periodo della rivoluzione francese, cominciarono a essere usate nel tardo Ottocento. Dunque i socialisti delle origini e i pensatori del socialismo non si definivano di sinistra; semplicemente non erano nè di sinistra nè di destra, ma erano coscienti che la borghesia liberale, che sfruttava gli operai, era la stessa che esaltava I valori di “progresso”. I primi socialisti accettavano passato, il principio «comunitario» (la Gemeinwesen di Marx) e i valori tradizionali, morali e culturali che lo sottendevano. «Lungi dall’essere indipendente da ogni società e da ogni tradizione, l’uomo trae la sua vita dalla tradizione e dalla società»(Pierre Leroux, teorico socialista) . Molte rivolte popolari cominciavano con la volontà di difendere le consuetudini e le tradizioni popolari contro la Chiesa, la borghesia o i principi.  
    L’articolo dimostra inoltre come i primi socialisti sono arrivati all’internazionalismo. Non si può evitare di citare per esteso: «sempre a partire da una tradizione culturale particolare che appare possibile accedere a valori veramente universali»  «… solo chi è effettivamente legato alla sua comunità d’origine – alla sua geografia, alla sua storia, alla sua cultura, ai suoi modi di vivere – è realmente in grado di comprendere coloro che provano un sentimento paragonabile nei confronti della propria comunità». «….il vero sentimento nazionale (di cui l’amore della lingua è una componente essenziale) non soltanto non contraddice ma, al contrario, tende generalmente a favorire quello sviluppo dello spirito internazionalista che è sempre stato uno dei motori principali del progetto socialista». Il patriottismo non deve essere confuso con il nazionalismo (di destra»), così l’internazionalismo non deve essere confuso con il cosmopolitismo (di «sinistra»).
    Alla luce di queste premesse storiche  e ideali credo che oggi non sia utile chiedersi se gli antiliberisti e gli antiglobalisti arrivino da destra o da sinistra. Se oggi i rapporti di forza sono sbilanciati a favore del capitalismo globale e immorale, mi chiedo se i sovranisti possono permettersi il lusso di allontanare i nostalgici del fascismo e del comunismo. Se un nostalgico di qualsiasi sponda si avvicina alle idee sovraniste ispirate ai valori nazionali e ai principi di economia sociale e solidale della Costituzione della Repubblica, significa che ha già rivisto profondamente i suoi punti di riferimento e il suo sistema di valori; e lo dovrà dimostrare nei nei fatti, nell’impegno e nella concreta azione politica. Non cambiamo solo le società, ma anche gli individui. Perché discriminarli? Fascismo e stalinismo sono storicamente finiti. Per motivi anagrafici, pochi dovrebbero essere i nostalgici. Oggi, più che di nostalgici bisognerebbe parlare di odierni infatuati. 
    Non so se il superamento delle categorie di destra e sinistra sia un’esigenza o un trascurabile problema dei nostri giorni, però non dimentichiamoci che in altri momenti della nostra storia l’idea non fu estranea e nemmeno ignorata da qualche importante personaggio. Ricordiamo dunque l’appello del Partito Comunista ai fratelli in camicia nera (1936): “facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori; camicie nere ed ex combattenti e volontari d'Africa, vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma (…). Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi, fascisti della vecchia guardia e giovani fascisti, per la realizzazione del programma fascista del 1919, e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale dei lavoratori e del popolo italiano. Diamoci una mano, fascisti e comunisti,cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni.Palmiro Togliatti.”
    Con buona pace di chi vuole mantenerle e di chi vuole superarle, destra e sinistra, come tutte le categorie e gli schieramenti politici, saranno abbandonate dalla storia. Oggi non ci si divide tra guelfi e ghibellini; tra bianchi e neri; tra plebei e patrizi; e forse neanche più tra borghesi  e proletari. Ancora qualche annetto e la globalizzazione ci dividerà tra nativi e immigrati; tra migranti e stanziali. Sorgeranno nuove classi sociali e dunque nuove contrapposizioni politiche. Quasi non esistono più i capitalismi nazionali, se non nei paesi emergenti. E dunque a quali appartenenze guarderà l’individuo? non certo a quella della classe sociale o del ceto professionale. Nessuna appartenenza a un gruppo definito per reddito o mestiere è duratura, se non altro per il fatto che ogni individuo tende a passare, se gli riesce, dalla sua classe sociale a un altra che lo contraddistingue per il maggior censo. La classe sociale vissuta come una gabbia da cui fuggire. Chi davvero vorrebbe radicarsi in una classe? E dunque, per il proprio equilibrio psico-fisico (e oserei dire per la propria felicità), sembra valere più l’appartenenza a un popolo e a una nazione, a una lingua e cultura, a una tradizione e a legami “terragni” sincronici e diacronici, che non a classe  o a un ceto, questi sì sabbie mobili, evanescenti e scivolose, labili.

  9. tania ha detto:

    Fabio ,
    è vero che ho stima per Negri ( che come saprai è comunista , non certo liberale ) , ma ovviamente non sono d’accordo con tutte le sue posizioni e ovviamente ho stima per tantissimi altri autori , più di Negri . Molto volte mi è capitato perfino di aver stima ed essere stata d’accordo con Stefano D’Andrea , anche se è vero  che siamo fondamentalmente su idee inconciliabili .
     
    Luciano Del Vecchio ,
    Per molti secoli la Spagna meridionale era più legata al Marocco che all’Europa ; in Inghilterra la dinastia regnante parlava il franco-normanno e stava per consolidare l’unione fra i domini normanni e inglesi e quelli posseduti sul lato atlantico della Francia ; i legami fra la Catalogna e la Linguadoca erano ben più forti di quelli che l’una e l’altra avevano con la Spagna e con la Francia ; l’unione Castiglia-Portogallo poteva realizzarsi al posto di quella Castiglia-Aragona e lo stesso vale per quella tra Borgogna e Paesi Bassi al posto di quella tra Francia e Borgogna eccetera eccetera . Ti assicuro che potrei continuare così per tutte ( tutte ) le nazione inventata del mondo ( come conseguenza di rapporti di dominio commerciali è anche la lingua “nazionale” italiana che stai utilizzando , come tutte le altre lingue “nazionali” )    
    E non so se l’idea di destra e sinistra “saranno abbandonate dalla storia” ( dipende sempre se esisteranno ancora forme parlamentari di rappresentanza , e se queste forme parlamentari dovranno rappresentare ancora una qualsiasi forma di società divisa in servi e padroni ) … So però che una cosa che la storia abbandonerà certamente saranno le balle sulle “identità nazionali”. L’unica “appartenenza” che un essere umano , che voglia definirsi tale , dovrebbe sentire è quella che lo lega al bambino del Sud-Est Asiatico che gli fabbrica , a 2 € al giorno , i tasti del computer che gli permettono di blaterare su internet di “appartenenza a un popolo e a una nazione, a una lingua e cultura, a una tradizione e a legami terragni sincronici e diacronici, che non a classe o a un ceto, questi sì sabbie mobili, evanescenti e scivolose, labili”
     
    PS : Ultima nota . Come saprai i Socialisti entrano in parlamento a fine ‘Ottocento :  è per questo che prima di allora la distinzione destra/sinistra non aveva senso per il movimento operaio  . E con buona pace per te l’idea di progresso in Marx è antitetica a quella borghese .

  10. stefano.dandrea ha detto:

    Tania e Luciano, vi ringrazio, per esporre posizioni estreme.

    Però, non le condivido, forze per carattere più che per scelta ideale.

    Pur cercando di essere un uomo, non mi sento di "appartenere" a una comunità di cui fa parte il bambino che guadagna due euro al giorno. Spero che quel bambino abbia coraggio; mi auguro che abbia capacità di sacrificio; che, sentendosi parte di un gruppo politico stanziato su un territorio, avverta l'esigenza di organizzare diversamente quel gruppo politico, per far sparire il lavoro minorile e per altro. E francamente non mi sento "più cattivo" o meno buono (il buonismo è pericoloso e sospetto in tutte le sue forme, non soltanto nella forma piddina) di chi invece, quasi miracolosamente, direi per grazia divina, si sente di appartenere a quell'inesistente gruppo.

    D'ltra parte, muovo da una definizione giuridica di popolo e di stato. Guardo al futuro dei figli, piuttosto che al passato dei nonni. E mi volto indietro per vedere se in un periodo della nostra storia rintraccio una norma giusta ed efficace, non al fine di ammirare la tradizione. Voglio indagare e scoprire il passato, perché mi può essere utile nel futuro, non voglio inneggiare al passato per partito preso.

    Quanto ai neofascisti, credo che davvero esista un'ossessione molto diffusa. Ogni giorno ne traggo conferma.

    Luciano scrive: "Alla luce di queste premesse storiche  e ideali credo che oggi non sia utile chiedersi se gli antiliberisti e gli antiglobalisti arrivino da destra o da sinistra"

    Su questo punto non vi è alcun dubbio. Non soltanto è irrilevante la provenienza da destra e da sinistra; bensì qualsiasi provenienza. Accolte le idee del Documento dell'ARS, il soggetto che proviene dalla sinistra estrema o dalla destra estrema, non è più sé stesso. Certo che l'accolgo. Accolgo la nuova persona, che è diversa o sta tentando di essere diversa.

    Invece sono in completo disaccordo con la seguente frase: "mi chiedo se i sovranisti possono permettersi il lusso di allontanare i nostalgici del fascismo e del comunismo". Certo che possono: devono. I nostalgici non servono. Hanno problemi psicologici; scelte linguistiche e caratteriali che non riescono ad abbandonare. E vogliamo caricare su di noi il peso di questi soggetti deboli? Costringerci a parlare con loro?

    No, non abbiamo tempo da perdere. C'è il 95% del popolo italiano da sondare, da sobillare, da persuadere, da contattare. Francamente dei nostalgici, di coloro che hanno le orecchie foderate e gli occhi bendati, e che parlano una lingua vecchia, non ricca e incapace di inquadrare i problemi, non me ne fotte nulla.

     

     

  11. Luciano Del Vecchio ha detto:

    Stefano,
    riconosco d'essermi spiegato male, o non a sufficienza. Intendevo dire: nostalgici non più tali. Non più tali per il motivo che, avvicinandosi alle idee e alle proposte dell'associazione sovranista, hanno accettato di riconoscersi nei principi della Costituzione e dunque nell'idea di sovranità così come è definita nella Costituzione, e non come la può intendere una dittatura fascista o comunista. Riconosco che un individuo nel corso della sua esistenza possa mutare opinione, specialmente chi è considerato impropriamente un nostalgico, essendo nato nei decenni successivi alla fine delle dittature della prima metà del '900 o, vissuto in un paese libero, non può dunque coltivare nostalgia, se non di maniera, di regimi che non ha mai conosciuto.
    Tania,
    gli esempi che porti mi sembra si riferiscano tutti a "lavori in corso", in corso di formazione storica di stati e nazioni. In questa fase tutti gli stati, i popoli e le nazioni sembrano inventate, ma poi alla fine, prima o poi, si "sistemano", si aggregano, si sedimentano. Fai riferimento , giustamente, alla lingua, che è certamente uno dei fattori, non il solo,  che concorre a formare un popolo.  Tieni anche conto che quegli stati che oggi appaiono trasversali a questi storicamente formati, allora erano proprietà privata di famiglie regnanti, che si spartivano popoli e nazioni a loro arbitrio. E comunque, se tutti i popoli e le nazioni sono inventati, non c'è motivo di appassionarsi alla sorte degli irlandesi, o dei palestinesi, dei baschi o dei ceceni, dei siriani o dei venezuelani. Ogni popolo, al suo interno, è fatto di classi e ceti, e per mantenere un certo grado di civiltà, deve imporsi la giustizia sociale. Ma, opporsi al capitalismo finanziario transcontinentale e globalista, volere il protezionismo e la tutela del lavoro, ha senso se esistono gli stati e i popoli. Se questi non esistono, se sono stati inventati, se tutti non siamo altro che individui isolati e sradicati, abitanti per caso su un territorio, parlanti per costrizione una lingua, consumatori compulsivi di merci  e noi stessi merci in offerta, non altro che tubi digerenti, perché mai dovrebbe dispiacerci il dominio illimitato del capitale? Se non abbiamo valori da perdere… dovrebbe bastarci la carta di credito su circuito internazionale.

  12. Emilio ha detto:

    Innanzi tutto l’articolo è una recensione dell’opera saggistica di Jan-Claude Michéa da parte di Alain de Benoist, per cui non sono le opinioni di de Benoist anche se sostanzialmente possono coincidere.
    Quindi – PER DARIO – non capisco il riferimento al”solito "oltrismo" tanto in voga a destra”. Basterebbe infatti leggere la biografia di Michéa per rendersi conto di quanto sia per nulla accostabile alla destra ( per me non lo è nemmeno de Benoist ma è chiaro che a molti fa comodo sostenerlo = divide et impera ).
    D’altra parte le citazioni a sostegno delle tesi di Michéa non sono né di Evola né, tanto meno, di De Maistre ma di veri socialisti e veri comunisti.
    Nel merito del contenuto, avevo preparato una disamina dettagliata dei passaggi più importanti e ne avevo individuati ben dieci ( il solito fatidico numero ) ma mi sono subito reso conto di correre il rischio di scrivere un commento lunghissimo, impraticabile.
     
    Poi ho letto quello , non breve, di Luciano e ho deciso di dichiarami sostanzialmente d’accordo con lui.
    Aggiungo soltanto di aver trovato assolutamente formidabile il recupero di common decency di Orwel nel senso di quelle virtù elementari del popolo ( senso dell’onore, fedeltà, lealtà, solidarietà, generosità, etc ) la cui dimenticanza, rifiuto o disprezzo sono sempre stati il segno distintivo delle ideologie e degli uomini di potere.
    E credo che sia stato il dissolvimento di questa common decency– la quale potrebbe dar coscienza ad un vasto fronte di opposizione –  sotto i colpi dell’individualismo e del libertarismo  a lasciare oggi campo aperto alla dittatura del capitale.
     
    PS : ho ordinato L’impero del male minore di Michéa e domani me lo consegneranno; non vedo l’ora di iniziare la lettura.

  13. stefano.dandrea ha detto:

    Ho riletto il primo commento di Dario, dopo che egli ha scritto su facebook di non aver avuto risposte. Non ho replicato perché sono d'accordo con l'assunto fondamentale che consiste nella diversità radicale, nelle esperienze storiche recenti, nei vari paesi d'europa, di quello che Dario chiama il sovranismo di destra e il sovranismo di sinistra. Si tratta di due strade per ora perdenti. E sinceramente mi verrebbe voglia di pensare a un sovranismo di centro:)

    Il mio dissenso riguardava la lettura di Dario, secondo la quale Michéa proporrebbe un'alleanza o addirittura una riunione del sovranismo di destra e di sinistra. Invito Dario a rileggere l'articolo. Michéa non ha proposto nessuna alleanza o riunione. Qui non c'è dissenso. Credo proprio che Dario abbia dato l'interpretazione sbagliata. Non credo che Michéa abbia proposto un'alleanza tra il Fronte de Gauche (il più sovranista nello schieramento di sinistra) e Marine Le Pen.

    Il dissenso riguarda, ovviamente, anche l'idea che si tratti del "solito oltrismo" di destra, sia perché Michéa ha una storia tutta di sinistra, sia perché non propone di andare oltre. Il titolo della recensione, che probabilmente è di De Benoist è a mio avviso impreciso. Non riflette il contenuto dell'articolo e men che mai, credo, del saggio di Michéa, almeno come esso è descritto nella recensione.

    Mi sembra che il saggio dica qualche cosa che anche io ultimamente ho ripetuto in modo grezzo: mi dichiaro socialista ma non di sinistra (di destra o di centro). Insomma socialismo signifca alcune cose. Essere di sinistra ne significa altre. I due profili non si sovrappongono e dunque non consentono un giudizio di compatibilità-incompatibilità, perché riguardano piani diversi. Storicamente c'è stata un'alleanza tra i due profili che è via via divenuta un mescolamento nelle posizioni di ogni militante, che era sia socialista che di sinistra, fino al tempo presente quando il militante è semplicemente di sinistra (ossia progressista) ma non più socialista (a parte sparute minoranze). Non mi sembra che questo profondo, chiaro e credo addirittura incontestabile ragionamento possa essere considerato il solito oltrismo.

    Ho il sospetto che ciò che propone Michéa sia tutta un'altra cosa. Anche io voglio leggere il libro. Ma dalla recensione non emerge nulla di ciò che Dario attribuisce a Michéa. Per utilizzare uno slogan, Michéa propone non il sovranismo di sinistra né quello di destra, né una commistione: propone un sovranismo socialista, che non ha nulla a che fare con Alba d'oro o Syriza e che avrebbe alcune cose a che fare con il KKE.

    L'unica frase di Michéa che forse Dario potrebbe citare è quella finale: "Poco importa, in verità, sapere da quale tradizione storica ciascuno ha tratto le particolari ragioni che lo inducono a rispettare i principi della decenza comune e a indignarsi per la loro permanente violazione ad opera del sistema capitalistico". E' chiaro che qua il concetto fondamentale è la "decenza comune", un concetto che va indagato e sviscerato. Ma non si parla di alleanza o di complementarità del sovranismo di destra e di sinistra; né di superamento. Si parla di ritrovarsi su alcune idee, che sarebbero le antiche idee del socialismo – non opposte a quelle del progresso ma diverse e che nulla hanno a che vedere con queste ultime – senza che rilevino le particolari ragioni che all'esito di un percorso politico abbiano condotto  ad accogliere quelle idee.

  14. Tonguessy ha detto:

    Scrive Stefano:

    "Insomma socialismo signifca alcune cose. Essere di sinistra ne significa altre. I due profili non si sovrappongono e dunque non consentono un giudizio di compatibilità-incompatibilità, perché riguardano piani diversi. Storicamente c'è stata un'alleanza tra i due profili che è via via divenuta un mescolamento nelle posizioni di ogni militante, che era sia socialista che di sinistra, fino al tempo presente quando il militante è semplicemente di sinistra (ossia progressista) ma non più socialista (a parte sparute minoranze). Non mi sembra che questo profondo, chiaro e credo addirittura incontestabile ragionamento possa essere considerato il solito oltrismo."

    Mi permetto di dissentire. Il fatto che NON CI SIA più la sinistra, come ho tentato di spiegare più volte, rimette in discussione questi ragionamenti. Ci sono, è vero, un sacco di persone che si professano di sinistra. Ma alla verifica dei fatti (quando ad esempio sostengono le missioni di peace-keeping, splendido carpiato semantico) non lo sono. Ci sono radici storiche che identificano il percorso politico della sinistra. Le strade che vedo attualmente percorse dai partiti "di sinistra" vanno in tutt'altra direzione. Quindi o accettiamo (tesi neocon) che la sinistra è questa, uguale alla destra, oppure esiste ancora una memoria storica di ciò che è la sinistra e non coincide minimamente con i fatti politici recenti. Più semplicemente così come la sinistra è stata fatta sparire da destra (la citata Notte dei lunghi coltelli) è stata fatta sparire da sinistra, con il PSI di Nenni che si trasforma nel PSI di Craxi (che spiana la strada a Berlusconi) ed il PCI di Berlinguer che diventa il PD di Bersani.

    Non so quindi come si possa essere di sinistra senza potersi individuare in un partito, dato che tutti i partiti sono attualmente di centro. E' un fatto abbastanza univoco nella storia della nostra Repubblica.

    @ Emilio: assolutamente d'accordo che bisogna recuperare quel senso comune che una volta valeva più di ogni legge scritta. 

    Ricordiamoci però che "Meine Ehre heißt Treue"«Il mio onore significa lealtà» era il motto in rilievo sulla fibbia della cintura delle SS.

    In una sola frase abbiamo due dei citati valori da recuperare. Tutti con la fibbia delle SS quindi?

  15. tania ha detto:

    Luciano Del Vecchio ,
    Le “tradizioni popolari” ( che non c’entrano nulla con il concetto inventato di “nazione” ) non sono affatto anticapitaliste . Quasi tutte contengono strutture sociali di dominio volte al profitto .
    Forse volevi riferirti alle “colture tradizionali” , quelle non soggette a coltura intensiva , biologiche , a km 0 , che favoriscono la biodiversità , che seguono le stagioni eccetera eccetera . Ecco queste vanno certamente in una direzione anticapitalista perché , oltre ad essere salutari e incoraggiare la cooperazione e la convivialità , danno una bella sberla in faccia al processo della mercificazione capitalista .
    Ma questo non c’entra nulla con le “tradizioni popolari” nel loro complesso . Il “popolo” , le “tradizioni popolari” contengono anche gli aguzzini , la classe dominante , contengono strutture sociali perfettamente capitaliste : soprattutto da noi e nel cosiddetto ex "Occidente" ( nel senso che ormai quasi tutto il mondo si è occidentalizzato ), che ha una "tradizione" particolarmente adatta al capitalismo ecc.. : nelle facoltà di storia in USA , per riassumere questo concetto si usa dire ”From Plato to Nato” (da Platone alla Nato ),
    Comunque , rimanendo in tema di “colture anticapitaliste” , l’associazione “Campi Aperti” , http://www.campiaperti.org/ , alla quale le poche volte che posso dç una mano , è composta tutta da compagni . E tutti amici che odiano il PD , che sanno che non esiste una vera sinistra degna di questo nome , ma che sperano rinasca ( alla faccia di Stefano D’Andrea .. scherzo )

  16. Emilio ha detto:

    @ Tonguessy
     
    Francamente la tua osservazione mi sembra una provocazione dialettica.
    Potrei chiederti quale potere non si sia servito di parole d’ordine positive per perseguire il proprio scopo di dominio.
    Chi si presenterebbe dichiarando sterminerò i kulaki o gli ebrei?
    Per rimanere in tema, in 1984 la guerra è pace.
    Ma è appunto perché il popolo perde ( forse sarebbe meglio dire che gli viene tolta ) la common decency che questi inganni riescono.
    Almeno così io credo…e spero.
     
    @ Stefano
     
    La mia opinione è che, in realtà, nessuno autenticamente al servizio della politica ( amministrazione per il bene di tutti ) possa aprioristicamente definirsi di destra o di sinistra in modo assoluto e definitivo.
    E’ di destra o di sinistra secondo i tempi, i luoghi, le circostanze e le diverse realtà con cui ha a che fare.
    In ultima analisi, le nozioni di destra e di sinistra  hanno un’importanza molto relativa e ciò che è capitale  è realizzare una sintesi vitale dei diversi elementi ( libertà e autorità, eguaglianza e gerarchia, iniziativa economica libera e utilità sociale, proprietà privata e sua funzione sociale  ) che le due opposte ideologie ricoprono.

  17. Dario Romeo ha detto:

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    @ Stefano
    Cosa c'è scritto nell'articolo? Ciò significa che tra borghesia di destra e borghesia di sinistra, entrambe eredi della filosofia liberale dei Lumi, ci saranno sempre più affinità oggettive che tra ciascuna di queste borghesie e gli antiborghesi del loro campo. E viceversa, che esiste una complementarità altrettanto naturale tra coloro che difendono il popolo contro la borghesia sfruttatrice, si situino essi ancora a sinistra o provengano da destra.

    Cosa ho scritto io nel mio commento? Si parte da un'analisi condivisibile sulle trasformazioni degli spazi politici di "destra" e "sinistra" e dell'egemonia che il liberalismo esercita ormai su di essi. La conseguenza è che oggi, nelle cosiddette democrazie bipolari o bipartitiche, la dicotomia destra/sinistra non costituisce in nessun modo una linea di frattura politica, nonostante sia assolutamente centrale sul piano elettorale. Sin qui –come detto– l’analisi è condivisibile.
    Dopodiché però si arriva alla solita conclusione secondo cui, a fronte di una sostanziale convergenza tra destra liberale e sinistra liberale, si renderebbe necessario un analogo avvicinamento tra destra antiliberale e sinistra antiliberale. La tesi, a una lettura superficiale, può certo risultare sensata e convincente. Tuttavia, se si prova a entrare nel merito, rivela tutta la sua inconsistenza e la sua fallacia.

    Dopidiché ho motivato per punti la mia posizione. In uno di questi ho affrontato il discorso sul sovranismo, dal momento che è un ambito pratico su cui si misura la plausibilità delle tesi che l'articolo affronta da una prospettiva più generale. E soprattutto dal momento che nell'ambito dell'ARS la tua idea è quella di unire tutti i sovranisti, indipendentemente dal modo in cui declinano il loro sovranismo. Ora, i fatti dicono che le tesi di De Benoist, di Michéa, tue e di tanti altri non trovano una corrispondenza nella realtà.

    @ Emilio
    L'idea del superamento delle divisioni destra/sinistra (ciò che ho definito con questa brutta parola, "oltrismo") è storicamente un elemento centrale del bagaglio politico di tanta destra radicale (fascismo, neo-fascismo, ecc.). Questo è un fatto, non una mia opinione. Ho citato vari esempi, ma se ne potrebbero fare altri. Al contrario queste tesi non hanno mai avuto grande fortuna "a sinistra", e anche questo è un fatto. L'adesione di alcune singole figure (non c'è solo Michéa, se è per questo) non muta la sostanza del discorso.
    L'articolo è scritto da De Benoist, il quale parla del libro di Michéa perché evidentemente ravvisa una corrispondenza con le tesi da lui sempre sostenute. Dopodiché ci sarebbero varie osservazioni da fare nel merito: che ai primi socialisti non importasse nulla dell'etichetta di sinistra mi sembra fuori discussione, e lo stesso si può dire per i comunisti. E difatti la contraddizione destra/sinistra non è centrale e spesso non lo è stata nemmeno in passato. Chi crede nella sua centralità accetta la logica del bipolarismo. Non è né il mio caso, né quello di indipendenza, né quello di nessuno che graviti intornoad ARS. Tuttavia, il fatto che i primi socialisti e non si definissero di "di sinistra" non fece mai in modo che pensassero di trovare convergenze con chi si proponeva di combattere il capitalismo borghese da una prospettiva tradizionalista o reazionaria. Il fatto che ai comunisti non importasse nulla della categoria "di sinistra" nom non fece mai in modo che si alleassero coi nazi-fascisti contro i regimi liberali. Non a caso quella che poi è divenuta la sinistra di matrice socialista e comunista è assai differente da quella liberale (che sarà anche quella egemone oggi nei paesi occidentali, ma non è LA sinistra). Anche in questo caso dunque l'affermazione secondo cui esiste una complementarità altrettanto naturale tra coloro che difendono il popolo contro la borghesia sfruttatrice, si situino essi ancora a sinistra o provengano da destra non sta in piedi.
    So bene poi che De Benoist rifuta l'etichetta di "destra", tuttavia le idee-forza che su cui si fonda il suo pensiero politico sono sempre le stesse: Impero, Europa, comunitarismo (negli ultimi anni si è aggiunta a dire il vero anche la decrescita). È su questi contenuti che si fonda il dissenso mio e di Indipendenza, non sulle etichette o sul suo passato politico.

    A tale proposito faccio una riflessione. Colpisce che proprio coloro i quali teorizzano l'esaurimento e lo svuotamento delle categorie di destra e sinistra finiscano con l'utilizzarle costantemente, attribuendo ad esse significati e valenze in maniera piuttosto arbitraria, senz tenere conto della pluralità di queste due categorie. Non è mai esistita LA destra e LA sinistra, bensì LE destre e LE sinistre. In relazione  a questo ripropongo la risposta che ho dato a Luciano Dl Vecchio su fb, sempre in merito a questa discussione: Dici di apprezzare il passaggio dell'articolo in cui si sostiene che i primi socialisti non erano né di destra né di sinistra, dal momento che non avversavano il passato, le tradizioni, le radici e l'appartenenza ad un popolo. Mi sembra perciò di capire che a tuo giudizio l'idea di radicamento non possa mai stare "a sinistra", cosa che però è smentita dai movimenti di liberazione nazionale e da varie figure intellettuali che da sinistra hanno criticato l'ideologia del progresso (Sorel, Scuola di Francoforte, Pasolini, Latouche, ecc.). Se fosse come dici tu la "vera" sinistra sarebbe quella liberale e liberista (nella quale andrebbe inclusa perciò anche la destra mainstream), e gli anticapitalisti sarebbero da considerare, a seconda dei casi, o né di destra né di sinistra oppure apertamente di destra. Questo perché l'equazione che mi sembra tu faccia (tutto sommato in linea con l'articolo che ha originato la discussione) è sinistra=ideologia del progresso, globalismo e sradicamento, contrapposta a destra=radicamento e critica della modernità. In realtà "progresso" e "conservazione" sono stati di volta in volta rivendicati e/o criticati sia da destra che da sinistra. Il punto è che al di là delle etichette sovrastrutturali valgono i contenuti strutturali che si danno alle categorie.


  18. stefano.dandrea ha detto:

    Dario, "si renderebbe necessario un analogo avvicinamento"?
     Non mi sembra che nella recensione sia scritto questo. Sibbene:
    «Poco importa, in verità, sapere da quale tradizione storica ciascuno ha tratto le particolari ragioni che lo inducono a rispettare i principi della decenza comune e a indignarsi per la loro permanente violazione ad opera del sistema capitalistico»; oppure: " esiste una complementarità altrettanto naturale tra coloro che difendono il popolo contro la borghesia sfruttatrice. si situino essi ancora a sinistra o provengano da destra" (nota: "si situino a sinistra" o "provengano da destra"). Ti sembra la stessa cosa? A me no. A me sembra che tu hai voluto far dire a Michéa ciò che tu temi.

    Soprattutto nella recensione c'è molto altro, che a te interessa poco e che tuttavia suppongo sia il cuore del libro di Michéa, che ora coorre leggere.

  19. Emilio ha detto:

    @Dario
    se de Benoist parla di Europa non è per preclusione verso l'universale, anzi è il contrario.
    Perchè è soltanto con le radici ben ancorate nella propria cultura che ci si può confrontare con l'altro in un rapporto interculturale che ravvivi le reciproche identità ( C'è poi anche l'idea che la cultura millenaria dell'Europa, se recuperata, possa ancora arginare l'americanizzazione dilagante ).
    A questo proposito, in un saggio sull'ideologia dell'identico, de Benoist sostiene appunto che le identità non sono acquisite una volta per sempre ma si arricchiscono nell'incontro-rapporto con l'altro, il diverso.
    Ed è una delle sue maggiori critiche al mondialismo di stampo liberale-americano che invece tende ad omogenizzare ogni cultura, appunto l'ideologia dell'identico.
     
    Aggiungo, per ulteriore chiarezza, che il titolo originale dell’articolo, pubblicato su Diorama, è semplicemente “ Jean-Claude Michéa”, nella rubrica “Profili”.
    Saluti, Emilio.

  20. Tonguessy ha detto:

    @Emilio:

    la mia era chiaramente una provocazione. Dato i tempi che viviamo sono ben contento che gli uomini ricomincino a considerarsi tali e quindi facciano buon uso di parole e mezzi.

    La verità storica però mostra ben altri e preoccupanti aspetti.

    Dobbiamo tenerne conto per evitare che cose pratiche come saper vivere in comunità si trasformino in abusi approfittando delle stesse parole, svuotate dei significati originali.

    Non ti sembra che ormai gli scaffali dei significati siano stati tutti svuotati dall'indifferenziato postmoderno?

    Rimettiamo quindi quei significati al loro posto e stiamoci molto attenti, che fanno molto comodo a certo populismo

  21. Dario Romeo ha detto:

    @ Emilio
    Giustamente de Benoist sostiene che le identità non sono acquisite una volta per sempre ma si arricchiscono nell'incontro-rapporto con l'altro, il diverso. Come si concilia però tutto questo con l'idea dell'esistenza di una millenaria cultura europea?
    Peraltro una cultura che accomunerebbe popoli diversi per lingua, storia, religione, alfabeto, costumi, ecc. e allo stesso tempo li separebbe da popoli a volte assai più affini di altri continenti. Per fare un esempio, sul piano storico-culturale l'Italia ha più in comune con l'altra sponda del Mediterraneo e con alcuni paesi latino-americani (Argentina, Uruguay, ecc.) oppure con i paesi scandinavi o gran parte di quelli slavi?
    Tra l'altro, in merito alle idee di Europa, di Impero e di comunitarismo (al netto delle varie declinazioni) sono apparsi diversi scritti su Indipendenza (nella rivista cartacea). Alcuni sono disponibili anche in rete, nel caso ti andasse di leggerli. Ti segnalo
    http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/Eurasia%20prima%20parte.htm
    http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/Eurasia%20seconda%20parte.htm

    Saluti

    @ Stefano
    Ti sei dimenticato la parola "ancora" quando hai riportato tra parentesi il passaggio "si situino ancora a sinistra" o "provengano da destra".
    Ad ogni modo, cos'altro dovrebbe significare se non ciò che ho scritto?


    Tra l'altro, oggetto della discussione non è tanto il libro di Michéa (che tra l'altro mi par di capire nessuno ha letto), quanto la relativa recensione di De Benoist e dei concetti che attraverso di essa lo stesso De Benoist fa passare. Nell'articolo c'è dunque molto del suo pensiero, che -vedi- conosco piuttosto bene perché leggo ciò che scrive, così come del resto leggo tante altre cose distanti dalle mie posizioni e dalla mia sensibilità.
    Sicché il giochino di squalificare il tuo interlocutore facendolo passare per il settario prevenuto con me non funziona molto :-)
    Tra l'altro, proprio perché la mia conoscenza di De Benoist non si ferma a questa recensione, so anche quali sono le idee-forza e i nuclei concettuali intorno a cui ruota la sua prospettiva politica: come ho già detto Impero, Europa, comunitarismo (guarda caso tipici dell'area destroradicale da cui proviene, sebbene lui li declini in maniera originale ed "eterodossa"). Un prospettiva politica quindi incompatibile con quella che porto avanti insieme agli altri compagni di Indipendenza.


    Infine nuovamente sulla recensione.
    Le argomentazioni di De Benoist (e probabilmente anche di Michéa, ma su questo procedo con cautela) sono condivisibilissime quando criticano la sinistra liberale, quando evidenziano l'incompatibilità tra socialismo e sinistra liberal, quando sottolineano l'involuzione culturale in seguito a cui tanti socialisti e comunisti si sono convertiti in liberali di sinistra. A tale proposito, si tratta di  considerazioni e analisi che non hanno fatto solo De Benoist e a Michéa.
    Non sono condivisibili invece quando fanno della sinistra liberale LA sinistra, quando cercano forzatamente di collocare fuori dalla sinistra chi da una prospettiva socialista o comunista ha criticato la sinistra liberale, l’ideologia del progresso, lo sradicamento culturale, senza per questo sostenere tesi "oltriste". Non sono condivisibili, le argomentazioni di De Benoist, quando, anziché sottolineare giustamente la non centralità della contraddizione di destra/sinistra, ne prospettano addirittura la totale assenza di significato, pretendendo di far passare l'idea che alla comunanza tra sinistra liberale e destra liberale debba corrispondere la comunanza tra sinistra antiliberale e destra antiliberale.
    Ora, nei miei vari precedenti interventi spiego argomentando il perché non condivido certe tesi. Da parte mia quindi non ho più nulla da aggiungere alla discussione, che altrimenti rischia di diventare sterile e ripetitiva.
    Chi legge giudicherà quali argomenti sono più solidi.

    A presto

  22. stefano.dandrea ha detto:

    Dario,

    se usciamo dal piano delle idee astratte e andiamo a ciò che pensano le persone, scopriamo ( e adesso proviamo a immaginare) che le persone che condividono parola per parola il documento, si dividono su argomenti che nel documento non abbiamo toccato: Reco un solo esempio.

    Uno dice che bisognerebbe far entrare tutti gli extracomunitari che venissero in italia con permesso di soggiorno e magari concedere la cittadinanza con la massima facilità.

    Un altro invece sostiene che questa è una tesi da liberale o da borghese, perché lo stipendio di un bracciante è di euro 850 e gli extracomunitari non chiedono i contibuti, sicché i contadini fanno lavorare solo loro. Anche perché moltissimi lavorano una giornata e mezza (dodici ore), con risparmio notevole del contadino. Sostiene allora il tizio che lo stopendio di un bracciante dovrebbe essere di 1200 euro al netto dei contributi e che per far ciò sarebbe necessario tutelare in modo enorme la nostra agricoltura (per questo apprezza il programma dell'ARS); e che gli extracomunitari che non prendono contributi andrebbero considerati e trattati dai bracccianti italiani che vogliono lavorare in regola come si faceva una volta con i crumiri che non scioperavano ("mazzate alla schiana", mi è stato detto: "punirne uno per educarne cento"). Sostiene inoltre il Tizio che ormai siamo al punto per cui a 1200 euro al mese (1800 se si lavora 12 ore per cinque giorni a settimane), i giovani italiani ricomincerebbero a fare i braccianti; e che qualora fossero in molti a lavorare, molti extracomunitari che oggi campano senza delinquere sarebbero costretti a delinquere, con la conseguenza che è quantomeno dubbio che si debbano lasciar entrate tutti coloro che vogliono.

    Per me possono stare nell'ARS entrambi. Nessuno dei due, infatti, sostiene tesi incompatibili con il Documento. Sono entrambi di sinistra? Sono entrambi di destra? Uno è di sinistra e uno è di destra? Non lo so e non mi interessa. Il secondo è certamente socialista e perciò mi sta più simpatico. Ma forse anche il primo si considera socialista ed effettivamente lo è.

    Quindi, nell'ARS possono stare coloro che sono socialisti e coloro che, più moderatamente, sono per un'economia sociale e popolare (non i liberisti).

    Probabilmente, mentre tutti direbbero che il primo è di sinistra; alcuni sosterrebbero che il secondo è di destra (non perché sia razzista; nella sua posizione non vi è nulla di razzista; semplicemente perché non è "buono" – però a ben riflettere può darsi che l'altro, senza volerlo, produca effetti più "cattivi"); magari, però, il secondo, si qualifica di sinistra e dice di venire da una storica famiglia comunista. Come la mettiamo?

    E' semplice. Entrambi entrano nell'ars e militano. Chi avrà più forza, più energia, più passione, chi militerà di più e con più capacità creerà la sezione. Un giorno, a Dio piacendo, saremo chiamati a prendere una posizione politica sul problema (tra dieci anni) e allora verificheremo cosa pensa sul problema la maggioranza di coloro che nel frattempo avranno aderito all'ARS.

    PS Io continuo a sostenere che le due frasi non abbiano il medesimo contenuto: "esiste una complementarità altrettanto naturale tra coloro che difendono il popolo contro la borghesia sfruttatrice. si situino essi ancora a sinistra o provengano da destra" e ""si renderebbe necessario un analogo avvicinamento". Inoltre, io non ho modificato di una virgola il mio pensiero politico da quando ho scritto il Manifesto del Fronte popolare italiano, dove l'ho espresso. Eppure allora mi autoqualificavo di sinistra e socialista; mentre oggi mi qualifico semplicemente socialista. Mi sono reso conto, infatti, che io ero di sinistra perché ero socialista e per nessuna altra ragione aggiuntiva. Perché indicare un medesimo contenuto di pensiero con due qualifiche?

  23. Emilio ha detto:

    @ Tonguessy
    “Non ti sembra che ormai gli scaffali dei significati siano stati tutti svuotati dall'indifferenziato postmoderno?”
    Mi trovi completamente d’accordo e mi spiace di aver equivocato la tua osservazione.
     
    @ Dario
    Leggerò senz’altro gli scritti in rete che mi hai segnalati.
    Tuttavia mi “scappa” una replica sull’identità europea.
    Tu dici “Giustamente de Benoist sostiene che le identità non sono acquisite una volta per sempre ma si arricchiscono nell'incontro-rapporto con l'altro, il diverso. Come si concilia però tutto questo con l'idea dell'esistenza di una millenaria cultura europea?
    Peraltro una cultura che accomunerebbe popoli diversi per lingua, storia, religione, alfabeto, costumi, ecc. e allo stesso tempo li separebbe da popoli a volte assai più affini di altri continenti. Per fare un esempio, sul piano storico-culturale l'Italia ha più in comune con l'altra sponda del Mediterraneo e con alcuni paesi latino-americani (Argentina, Uruguay, ecc.) oppure con i paesi scandinavi o gran parte di quelli slavi?”

     
    Io non trovo contraddizione con quanto sostiene de Benoist in quanto è proprio della cultura europea l’essersi formata grazie all’apporto di diversi e plurimi incontri. Ora non più, perché è succube del pensiero unico liberal-liberista.
    Per esempio, citi i paesi scandinavi ed è proprio da là che sono arrivati i longobardi ( anche se la loro lunghissima emigrazione fa sì che li si reputi comunemente germanici ) e se il Papa di allora non avesse chiamato Carlo Magno l’Italia sarebbe diventata Nazione già nel IX secolo grazie a…degli scandinavi!
    Per quanto riguarda l’altra sponda del mediterraneo, beh, ca va sans dire.
    Non ricordo, infine, che de Benoist – per inciso non che io pensi che lui sia la Bibbia – neghi affinità con i paesi latino-americani.

    Insomma, come ho già scritto de Benoist non nega l’universale ma semplicemente pensa che questi sia plurimo ; che l’Europa sia (stata) un esempio di questa pluralità ; che l’americanismo, invece, incarni l’ideologia dell’identico.
     
    Saluti a tutti, Emilio.

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