Il carattere inedito dell’astensione alle ultime elezioni politiche
Pensando a quale fosse il modo migliore per inaugurare questa rubrica che ospiterà i miei interventi su Appello al Popolo e al contributo teorico che questi intendono apportare alla causa comune dell’ARS, mi è sembrato saggio cominciare dall’analisi dei rapporti di forza attuali. Per farlo, dobbiamo fare un piccolo passo indietro e tornare all’indomani degli scrutinii delle ultime elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013.
I dati definitivi del Ministero dell’Interno (http://elezionistorico.interno.it/index.php) rilevano che alla Camera hanno votato 35.271.541 cittadini sui 46.905.154 aventi diritto, ossia il 75,2% del totale, mentre al Senato – per il quale, com’è noto, hanno diritto di voto solo coloro che abbiano compiuto i 25 anni d’età – hanno votato 31.751.350 su 42.270.824, ovvero il 75,1%. L’astensione ha raggiunto pertanto il 24,8% alla Camera e il 24,9% al Senato, vale a dire il massimo storico dalla nascita dell’Italia repubblicana. Al netto dell’astensione, se consideriamo i partiti che hanno superato una soglia minima, poniamo, del 3%, il quadro che ci viene restituito è questo: alla Camera, il Movimento 5 Stelle si afferma come primo partito con il 25,6% dei voti, seguito dal Partito Democratico (25,4%), dal Popolo della Libertà (21,6%), da Scelta Civica (8,3%), dalla Lega Nord (4,1%) e da Sinistra Ecologia e Libertà (3,2%); al Senato, invece, il PD si attesta come primo partito col 27,2% dei voti, seguito nell’ordine da M5S (23,8%), PdL (22,3%), SC (9,1%), Lega (4,3%) e SEL (3%).
I risultati ufficiali sottolineano perciò cinque fatti essenziali: (a) l’affermazione senza precedenti del M5S che, coi suoi 7.286.550 voti alla Camera (non a caso nel ramo più “giovane” del Parlamento) e i suoi 7.286.550 voti al Senato, costituisce una sorpresa assoluta, benché di fatto neutralizzata, tuttora informe e poco delineata; (b) l’emorragia elettorale tanto del PD (che passa dai 12.095.306 di voti del 2008 alla Camera agli 8.646.034 del 2013 e dagli 11.042.452 del 2008 al Senato agli 8.400.851 del 2013: con una perdita di 3.449.272 di voti alla Camera e 2.641.601 al Senato) quanto, soprattutto, del PdL (che precipita dai 13.629.464 di voti del 2008 alla Camera ai 7.332.134 del 2013 e dai 12.511.258 del 2008 al Senato ai 6.828.994 del 2013: per una perdita di ben 6.297.330 di voti alla Camera e 5.682.264 al Senato); (c) il conseguente equilibrio di forze tra M5S, PD e PdL, prova incontrovertibile del fallimento del bipolarismo, sia nella versione muscolare dello scontro mediatico di facciata tra PD e PdL che nell’effettiva qualità di riforma dell’attività legislativa, e dunque del fallimento della cosiddetta Seconda Repubblica (che, a ben vedere, non è che la lenta e straziante agonia della Prima); (d) l’insussistenza socio-culturale e, proprio perché tale, politica dell’esperimento montiano di Scelta Civica; (e) la crescente marginalizzazione di forze politiche artificiosamente radicali come la Lega Nord e SEL. Quel che ne è derivato, per via dell’effetto-truffa della legge elettorale come pure dell’inconsistenza dell’attuale classe politica italiana, è noto a tutti.
Fin qui nulla di nuovo dunque. Tuttavia, se osserviamo gli stessi dati dal punto di vista dell’astensione, emerge un quadro molto più interessante e per molti aspetti inedito. Il dato dell’astensione, infatti, tende a essere rapidamente oscurato dal dibattito politico vuoi per esorcizzarlo vuoi per sminuirlo. Il che comporta spesso un errore di valutazione commesso sia dai partiti di regime che dalle forze realmente antagoniste che si richiamano al sovranismo come condizione sine qua non della prassi politica democratica. Studiando però il fenomeno dell’astensione da una prospettiva diacronica, cioè contestualizzandola nella cornice della storia repubblicana, ci si presenta lo scenario rappresentato nel grafico che segue.
Come possiamo notare, alle elezioni del 1948, le prime della fase più dura della Guerra Fredda, quelle della scelta di campo epocale tra l’Occidente liberale e filo-americano rappresentato dalla Democrazia Cristiana e l’alleanza filo-sovietica del Fronte Popolare stretta tra il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano, l’astensione era al 7,8% tanto alla Camera quanto al Senato. Un risultato decisamente basso, quindi salutare poiché indice di un’altissima partecipazione dovuta all’entusiasmo per la riconquista della sovranità popolare dopo il ventennio fascista. Sulla spinta della radicalizzazione della Guerra Fredda, il “non voto” scese al 6,2% (sia alla Camera che al Senato) nelle elezioni del 1953, quelle della celeberrima “legge truffa” (a onor del vero, assai meno truffaldina di quella attuale), e al 6,2% della Camera e al 6% del Senato in quelle del 1958, quando toccò il suo minimo storico.
Negli anni Sessanta, assistiamo a una risalita tutto sommato contenuta che vede l’astensione attestarsi al 7,1% e al 6,9% (rispettivamente alla Camera al Senato) nel 1963, vale a dire nel pieno del boom economico, e al 7,2% e 7% nel 1968, cioè nell’anno fatale dell’ultima grande contestazione mondiale, la quale ha segnato, da un lato, una vera e propria rottura antropologica, e, dall’altro, l’inizio di un’intensa stagione di attivismo e militanza politica delle classi dominate, che costituiva al contempo il bersaglio dell’eversione nera intrecciata allo stragismo di stato e il confuso magma culturale nel quale il terrorismo rosso si abbeverava. Prova ne è una nuova discesa, per quanto lieve, dell’astensione, che cala al 6,8% (Camera) e 6,7% (Senato) nel 1972 e al 6,6% nel 1976 (Camera e Senato), nell’anno cioè del “grande balzo in avanti” del PCI (dal 27,2% del ’72 al 34,4%) a fronte di una DC praticamente ferma al 38,7%: proprio da questo sostanziale equilibrio fra i due blocchi prese nuovo impulso la tessitura di quel “compromesso storico” la cui necessità fu sostenuta prima già da Enrico Berlinguer per poi essere accolta e pazientemente elaborata da Aldo Moro.
Ma è con le elezioni del 1979 che si verifica un brusco cambio di tendenza rispetto all’andamento precedente dell’astensione, i cui valori avevano oscillato senza mai andare sotto la soglia del 6% né superare quella dell’8%. Il “non voto” raggiunge infatti il 9,4% alla Camera e il 9,3% al Senato e può essere interpretato come il primo segno di una duplice reazione di sdegno e di sfiducia verso le istituzioni democratiche all’indomani della tragedia dell’affaire Moro nella primavera del ’78. Il trienno ’76-’79, infatti, fu un periodo delicatissimo sia sul piano economico-finanziario che su quello più strettamente politico, tanto a livello nazionale quanto a livello geostrategico internazionale. Su tutti, basta ricordare un fatto che intreccia entrambe le dimensioni: l’ingresso dell’Italia nello SME nel ’79 in seguito all’ampio dibattito parlamentare dell’autunno del ’78. È proprio a partire da questo momento che registriamo una rapida impennata del tasso di astensione che progredisce costantemente, fatta eccezione per i risultati della Camera nel 1987, fino al 2001: alla Camera, infatti, passiamo dal 9,4% del ’79 al 12% dell’83, all’11,2% dell’87, al 12,6% del ’92, al 13,7% del ’94, al 17,1% del ’96, al 18,6% del 2001; mentre al Senato la progressione è praticamente ininterrotta passando dal 9,3% del ’79 al 11,2% dell’83, all’11,6% dell’87, al 13,2% del ’92, al 14,2% del ’94, al 17,8% del ’96, al 18,7% del 2001. In questi 22 anni, molte cose sono cambiate, molte delle quali, fedeli alla massima del Principe Salina, per restare immutate: il PSI, dopo aver fatto la parte del leone negli sciagurati anni Ottanta – quelli che si aprono nell’80 con la “Marcia dei Quaranta mila” a Torino che sancisce la sconfitta del movimento operaio, che si dipanano all’insegna del riflusso, del minimalismo e del crescente disimpegno politico e che sono percorsi dalla conquista dell’egemonia culturale da parte del paradigma neoliberista agli albori della sua fase globalista, finanziaria e marginalista – rimane travolto, insieme alla DC, dal golpe giudiziario di Tangentopoli del biennio ’92-’94. Quest’ultimo segna il passaggio alla fatale Seconda Repubblica, inaugurata dall’adesione suicida al Trattato di Maastricht, dalla svendita di buona parte delle industrie strategiche statali e del patrimonio pubblico e dallo stragismo mafioso a direzione statale. Interamente fondata sulla comunanza d’interessi strategici tra centro-sinistra e centro-destra, mediaticamente contrapposti sulla figura di Silvio Berlusconi, unico ago della bilancia del “nuovo” sistema politico italiano, la Seconda Repubblica trascina definitivamente l’Italia nell’Unione Europea e nel progetto di unione monetaria dell’Euro, entrato a tutti gli effetti in vigore il 1° gennaio 2002.
Le elezioni politiche del 2006, fomentate dalla riedizione della sfida personalistica tra Romano Prodi e Berlusconi, invertono la tendenza dell’aumento progressivo dell’astensione facendola scendere, seppur di poco, al 16,4% e al 16,5% rispettivamente alla Camera e al Senato. Ma si tratta, per l’appunto, di un fuoco di paglia. Nel 2008, nonostante l’esperimento della fondazione del PD e del PdL, che conteneva già nella sempre maggiore identità dei due schieramenti le premesse del suo fallimento, l’astensione torna a salire toccando quota 19,5% alla Camera e 19,6% al Senato.
Ed eccoci all’oggi e all’analisi sincronica del presente. Che il dato dell’astensione alle ultime elezioni sia preoccupante, lo abbiamo già visto sottolineando come i valori del 24,8% e del 24,9% registrati alla Camera e al Senato costituiscano il massimo storico mai raggiunto prima: un italiano su quattro, me compreso, abdica al proprio diritto-dovere di voto. Spiegare il fenomeno dell’astensione, però, è quanto di più complesso giacché in questa confluisce una congerie di elementi eterogenei quali passioni, umori, calcoli d’interesse e posizioni ideologiche ulteriormente diversificati al loro interno. Con una ragionevole approssimazione, possiamo sostenere che nel dato dell’astensione si mescolano quanto meno tre atteggiamenti fondamentali che, pur diversi tra loro, finiscono per essere indistinti e quindi difficili da soppesare e, nel caso, da “sfruttare” politicamente: (a) l’indifferenza verso la vita pubblica della nazione, (b) la sfiducia negli strumenti democratici con cui si esercita la sovranità popolare, (c) il dissenso radicale verso questo regime politico (che rappresenta, per esempio, lo spirito della mia personale astensione).
Ma l’elemento che rende inedito lo scenario aperto dalle elezioni 2013 è un altro. Se valutiamo, infatti, i risultati elettorali senza disinnescare il dato dell’astensione, vale a dire sulla base del numero totale degli elettori anziché in base al totale dei votanti effettivi, considerando cioè l’astensione, piaccia o non piaccia, come un scelta politica vera e propria alla pari di qualsiasi altra preferenza per non importa quale partito, allora il quadro che si apre davanti ai nostri occhi costituisce effettivamente una novità assoluta. Alla Camera, infatti, proprio l’astensione, in forza del suo 24,8%, si afferma come primo “partito”, seguito da M5S (19,3%), PD (19,1%), PdL (16,2%), SC (6,2%), Lega (3,1%) e SEL (2,4%); al Senato, in virtù del suo 24,9%, l’astensione si riconferma come prima forza, seguita da PD (20,6%), M5S (17,9%), PdL (16,7%), SC (6,8%), Lega (3,2%) e SEL (2,3%). Mai nella storia repubblicana l’astensione aveva rappresentato la prima scelta del popolo italiano, nemmeno nelle elezioni precedenti alle ultime, quelle del 2008, quando, sul numero totale degli elettori aventi diritto di voto, il 19,5% di astensione alla Camera e il 19,6% al Senato si collocavano rispettivamente dietro al PdL (30,1%) e al PD (26,7%) alla Camera e dietro al PdL (30,7%) e al PD (27,1%) al Senato, vale a dire al terzo posto in entrambi i rami del Parlamento. Il tutto senza contare un dato di critica radicale verso il regime politico per certi versi ancora più esplicito, cioè quello delle schede bianche, le quali costituiscono lo 0,8% dei voti alla Camera e lo 0,9% al Senato. Siamo dunque di fronte a un autentico punto di rottura fino a questo momento eluso dal regime e trascurato dal fronte sovranista.
Un punto di rottura tanto più decisivo se, in previsione delle elezioni del 2015 (ammesso che la scadenza che il Governo di grande coalizione si è autoimposto venga rispettata), ipotizziamo che l’astensione mantenga la stessa tendenza mostrata tra il 2008 e il 2013, aumentando pertanto di quasi 5 punti, ipotesi niente affatto remota: l’astensione sfiorerebbe così il 30% sia alla Camera che al Senato. Un dato per superare il quale i partiti di regime dovrebbero aspirare a ottenere almeno il 43% dei voti effettivi: prospettiva, allo stato delle cose, assolutamente irragiungibile. Per quanto mediaticamente avvincente possa essere l’effetto Renzi, non dobbiamo trascurare un’ulteriore perdita di voti dovuta, fra le altre cose, proprio all’ascesa di Matteo Renzi, tanto indigesto a una buona parte di militanti ed elettori del PD; per quanto incontaminato, anche per il M5S è lecito supporre un rientro dei consensi verso un più fedele 15-20%, a causa di una inoffensività politica che di fatto potrebbe ridimensionare la sua carica esplosiva; per quanto il PdL possa spaccarsi sulla scia delle lotte interne, ci pare difficile che il bacino di voti messo assieme da tutte le sue componenti possa scendere sotto il 15%.
Insomma, in un quadro ipoteticamente ancora più frantumanto ed equilibrato che le prossime elezioni, stando così le cose, rischiano di consegnarci, la vera maggioranza si consoliderebbe nell’insieme di coloro che scelgono di non esercitare il proprio diritto-dovere di voto, sfiduciando ancora più apertamente l’intero sistema politico italiano. È proprio in questo magma, certo non il solo, che l’ARS deve saper mettere radici.
Caro Domenico,
quando l'ARS avrà completato il proprio percorso di formazione di un'offerta politica e avrà, quindi organizzato sufficienti uomini e idee in una rete diffusa in gran parte del territorio nazionale, allora l'ARS si rivolgerà al pubblico, per cercare la domanda di quell'offerta. In parte la creerà anche ma in parte avranno concorso a crearla moltissimi che avranno svolto attività di divulgazione e riflessione.
Fino ad allora all'ARS interessano i militanti, ossia coloro che accetteranno di associarsi e quindi di CONTRARRE UN VINCOLO ASSOCIATIVO, accettando di disciplinarsi in una organizzazione e sotto un programma e un progetto comuni. Probabilmente, i militanti dell'ARS saranno stati spesso astensionisti (io, alle elezioni politiche ed europee, ero astensionista dal 2001, anche se ho rivotato nel 2013). Tuttavia per ora non credo che debbano interessarci gli astensionisti come tali (tra i quali ci sono centinaia di migliaia di cittadini che hanno capito che i politici che seguivano non sono più in grado di garantire i posti di lavoro che promettevano), né gli astensionisti sovranisti, bensì gli astensionisti con simpatie sovraniste che vogliano impegnarsi in un percorso di militanza. A giudicare dalle impressioni che ho, gli attuali militanti dell'ARS alle ultime elezioni o hanno votato M5S (ma quasi nessuno ridarà quel voto) o non hanno votato; ma alcuni hanno votato rivoluzione civile, altri, pochissimi, la destra; e qualcuno ha votato PCL. L'unica cosa certa è che non abbiamo militanti che abbiano votato PD, PDL, SEL e Scelta civica.
Penso che il trand dell'astensione diventi sempre più importante(in Basilicata l'astensione é stata del 53%). Nell'astensione pero' c'é di tutto: chi si disinteressa della politica, e quelli rimarranno tali, quelli "puristi" di destra e di sinistra che hanno una disaffezione verso i loro partiti,colpevoli di aver tradito le loro ideologie, e secondo me non abbracceranno nessun altra fede al di fuori della loro(anche perché spesso in età avanzata). Ci sono poi quelli che invece si sono sempre interessati alla politica, ma non hanno mai votato perché disgustati dalla nostra classe dirigente e molti, fra cui io, han ceduto alla tentazione di votare il M5S. Fra questi molti vorrebbero un soggetto patriottico, pero' Grillo ha reso il cammino molto più difficile per l'ARS e chiunque voglia provarci. Molti avevano creduto nella novità pentastellare, ma é stato un fallimento, quindi difficilmente si faranno prendere nuovamente da facili entusiasmi. Penso infaatti che alle prossime elezioni oltre a un aumento fisiologico del 4-5% degli astensionisti classici, vadano anche considerati una buona metà di quelli che han votato il M5S, quindi facilmente l'astensione sarà superiore al 30% per toccare forse anche il 35%. Se in Italia infatti, potevamo contare su una base elettorale "patriottica" forse anche maggiore che negli altri paesi europei, dove in media siamo al 24%, grazie alle recenti delusioni del M5S, ma anche dei finti antisistema SEL e Lega, i portatori di un'idea alternativa alle politiche mondialiste di Bruxelles, avranno la strada in salita. Fossimo arrivati 2 anni fa, causa il rigetto degli altri soggetti politici, gli italiani avrebbero votato per un nuovo soggetto senza storia, ora il ruolo della valvola di sfogo é stato giocato da Grillo, e se l'anno scorso c'era rabbia, voglia di riscattarsi, ora c'é molta rassegnaziaone e fatalismo. Va quindi formato un vero soggetto politico, solido, ma soprattutto con una visione politica chiara, con una weltanshauung strutturata, che dia agli italiani la possibilità di scegliere un nuovo modello, e non solo "il tutti a casa" o "fuori dall'euro", ma un'altra idea della "civitas" alternativa a quella attuale. Bisognerà fare un grande lavoro capillare di penetrazione, di piccole riunioni con conoscenti, di momenti di approfondimento e di convivialità, tutto l'opposto delle adunate grilline. Dobbiamo costruire qualcosa che resista nel tempo.
Sono d'accordo con Domenico di Vincenzo. Mi permetto di aggiungere: questo nuovo soggetto politico però non dovrebbe cadere nella trappola del "partito leggero" della rinnegazione della forma partito e e di altre venature simili. Esso deve innanzitutto essere portatori di ideali, saper narrare una visione della società. Il problema è che in Italia (ma forse non solo) negli ultimi venti anni si è pensato che la politica fosse "fare qualcosa contro". La politica infatti è stata intesa come: "andare contro Berlusconi, andare contro i comunisti, andare contro la partitocrazia, andare contro e basta". Io invece penso che la politica non sia questo, bensì l'esatto contrario. La politica non deve essere contro, deve essere "essenza". Cioè deve dare proporre una visione. E il progetto dell'ARS va sulla strada giusta.
Caro Viandante,
io concordo con Marcello e con te. E mi compiaccio che tu veda nell'ARS, sia pure nella forma dello stato nascente e in quella della prospettiva, i caratteri che segnali.
Se il tuo (eccellente) nomigonolo non cela il nome di un (già) socio, sappi che ti attendiamo a braccia aperte, almeno per fare una chiacchierata.
Caro D'Andrea la ringrazio per la stima. No, non sono un vostro socio, ma accetto il suo invito. Dica lei cosa devo fare
Caro Viandente,
l'ideale sarebbe che ti iscrivessi tramite questo link http://www.riconquistarelasovranita.it/iscrizione-allassociazione
A quel punto saprei il numero di telefono e ti chiamarei.
Se invece vuoi farti prima una chiacchierata, comunicami il tuo numero scrivendo a italiasovrana@gmail.com. Ti cercherò presto.