Tartassiamoci: “ce lo chiede l’Europa!” Parte I – il contrasto tra principi costituzionali e direttive europee
La Costituzione Repubblicana contiene un granitico e potente indirizzo di politica fiscale sintetizzato in due righe:
“Art. 53
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
I padri costituenti, nella cristallizzazione dei principi costituzionali, hanno voluto inserire il principio di “equità” come cardine del sistema tributario italiano.
E’ a tal proposito interessante leggere l’intervento dell’Onorevole Scoca, tenuto il 23 maggio 1947 davanti all’Assemblea Costituente, per poter capire, in modo pieno, la portata del principio contenuto nell’art. 53:
“Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria. Non è questo il momento più opportuno per attuarla, ma credo necessario che si inserisca nella nostra Costituzione, in luogo del principio enunciato dall'articolo 25 del vecchio Statuto, un principio informato a un criterio più democratico, più aderente alla coscienza della solidarietà sociale e più conforme alla evoluzione delle legislazioni più progredite.
[omissis]
Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c'è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella della progressività. Ma, lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principî di democrazia e di solidarietà sociale, debba dare la preferenza al principio della progressività. Le dispute dei dotti su questo tema mi hanno lasciato sempre perplesso; non così le osservazioni d'ordine pratico. Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con l'aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l'imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. È ovvio che per pagare l'imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l'aggravio del primo e rendere un po' meno leggero quello del secondo. Si può discutere sulla misura e sui limiti della progressione; non sul principio. Il mio articolo aggiuntivo originario accennava espressamente alla necessità che a tutti i cittadini venga assicurata la disponibilità del reddito minimo necessario alla esistenza; ed anche su questo credo che ci sia la concorde adesione di tutte le parti di questa Assemblea. Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere. Da ciò discende la necessità della esclusione dei redditi minimi dalla imposizione; minimi che lo Stato ha interesse a tenere sufficientemente elevati, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, che contribuisce al miglioramento morale e fisico delle stesse ed in definitiva anche all'aumento della loro capacità produttiva.”
Ovviamente, come norma di principio e di indirizzo, di per sé stessa, rappresentava la via da percorrere per il legislatore italiano nella “riforma del diritto tributario” incentrata a criteri di progressività. Via che si è intrapresa con grandi difficoltà e che, con grandi sforzi dovuti allo scioglimento delle resistenze dei gruppi di interesse dei più abbienti, il legislatore italiano ha perseguito nel corso del tempo, con la successione di ritocchi normativi che sono culminati con la riforma tributaria degli anni ‘70.
Se quindi il sistema tributario italiano doveva essere informato in base al principio della progressività delle aliquote, di per sé doveva essere un sistema che privilegiasse l’imposizione diretta sui redditi a discapito di quella indiretta sui consumi.
Purtroppo, però, nel percorso di riforma del diritto tributario italiano si è inserito l’adeguamento della legislazione italiana a quello delle direttive comunitarie europee che hanno sensibilmente inciso nella determinazione di un modello tributario diverso da quello contenuto nella Costituzione Repubblicana del 1948.
Le prime direttive di adeguamento risalgono al 1967 e sono la Prima direttiva 67/227/CEE del Consiglio, dell'11 aprile 1967 e la Seconda direttiva 67/228/CEE del Consiglio, dell'11 aprile 1967 che hanno di fatto spinto all’introduzione dell’Imposta sul Valore Aggiunto (I.V.A.): la più importante imposta indiretta sui consumi attualmente in vigore in Italia .
Le ragioni di tale indirizzo europeo vengono evidenziate in premessa dalla direttiva 67/227/CEE:
· Visto il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea , ed in particolare gli articoli 99 e 100
· Vista la proposta della Commissione ,
· Visto il parere del Parlamento Europeo ,
· Visto il parere del Comitato economico e sociale ,
· Considerando che l'obiettivo essenziale del Trattato è di instaurare , nel quadro di un'unione economica , un mercato comune , che implichi una sana concorrenza e presenti caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno ;
· Considerando che la realizzazione di tale obiettivo presuppone l'applicazione negli Stati membri di legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari che non falsino le condizioni di concorrenza e non ostacolino la libera circolazione delle merci e dei servizi nel mercato comune ;
· Considerando che le legislazioni vigenti non rispondono alle suddette esigenze ; che è pertanto nell'interesse del mercato comune realizzare un'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari , che sia diretta ad eliminare , per quanto possibile , i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza , tanto sul piano nazionale quanto sul piano comunitario , e tale da consentire di raggiungere in seguito l'obiettivo della soppressione dell'imposizione all'importazione e della detassazione all'esportazione negli scambi tra gli Stati membri ;
· Considerando che dagli studi effettuati è risultato che l'armonizzazione deve giungere all'eliminazione dei sistemi di imposta cumulativa a cascata ed all'adozione , da parte di tutti gli Stati membri , di un sistema comune di imposta sul valore aggiunto ;
· Considerando che un sistema di imposta sul valore aggiunto raggiunge la maggior semplicità e neutralità se l'imposta è riscossa nel modo più generale possibile e se il suo campo d'applicazione abbraccia tutte le fasi della produzione e della distribuzione , nonché il settore delle prestazioni di servizi ; che , di conseguenza , è nell'interesse del mercato comune e degli Stati membri adottare un sistema comune la cui applicazione comprenda altresí il commercio al minuto ;
· Considerando tuttavia che l'applicazione dell'imposta al commercio al minuto potrebbe incontrare , in taluni Stati membri , alcune difficoltà di ordine pratico e politico ; che per tale ragione è necessario lasciare agli Stati membri , con riserva di una consultazione preventiva , la facoltà di applicare il sistema comune solo fino allo stadio del commercio all'ingrosso incluso e di applicare , se del caso , allo stadio del commercio al minuto , ovvero allo stadio antecedente a quest'ultimo , un'imposta complementare autonoma ;
· Considerando che è necessario procedere per tappe , poiché l'armonizzazione delle imposte sulla cifra d'affari comporterà negli Stati membri notevoli modifiche alle loro strutture fiscali ed avrà sensibili conseguenze nei settori economico, sociale e del bilancio ;”
Appare quindi in tutta evidenza il contrasto, sia di principi che di obiettivi, tra quanto enunciato nella Costituzione Repubblicana e quanto voluto e – si vedrà in un prossimo post – ottenuto dalle Istituzioni Europee.
Tanto per cambiare “Ce lo chiede l’Europa!!!!!”
Andrea Franceschelli – ARS Abruzzo
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