Darsi appuntamento sulle rive del Piave
La “ Leggenda del Piave” o “ il Piave mormorò” è un testo che fa parte del enorme patrimonio musicale legato alla “ retorica patriottica” tipica della prima metà del '900, una canzone diffusa negli anni successivi perchè insegnata nelle scuole per anni, che rischia di sparire e di non venire, come “Leggenda”, più tramandata.
Chiaro, non parliamo di un Epica Omerica, ma di una canzone pensata per celebrare la Vittoria della Grande Guerra, la Vittoria Mutilata e che fu anche Inno Nazionale per un breve periodo nel dopoguerra, in attesa della Repubblica e della Costituzione.
Tra poco meno di un anno vi saranno le celebrazioni per i 100 anni dell'entrata in Guerra nel I Conflitto Mondiale, immagino già la retorica “anti-guerra” ( fatta dalle stesse persone che firmano per comprare gli F-35 o rinnovano i finanziamenti alle “Missioni di Pace” dove si “ Esporta la Democrazia “ ) e quella sull'Unita Nazionale ( per la quale, nel '14, si spingeva per andare in guerra, o meglio, per mandare a morire in guerra migliaia di giovani potenziali socialisti ).
Io personalmente, nelle me ricerche personali sul periodo del '15-'18 ho sempre preferito canzoni come “ O Gorizia, tu sei maledetta” e “ Tapum”, meno logiche e retoriche patriottiche e più racconto della cruda realtà della trincea, come del resto mi sono innamorato di testi come “ Un anno sull'Altopiano” di Emilio Lussu e film come “Uomini contro” , perchè era necessario raccontare “cosa si fece in nome della Patria”, parlando di migliaia di morti, mutilati e di fame e povertà.
Il mio breve articolo di quest'oggi vorrebbe farvi riflettere invece su come abbiamo la necessità di “ incontrarci sul Piave”, o meglio di come oggi la società di cui facciamo parte sia priva di un “sentimento comune”, come quello scatenato dalla vittoria sul Piave i seguito alla tragica sconfitta di Caporetto.
Quando un popolo individualista come il nostro perde la fiducia in sé stesso e nelle istituzioni che lo reggono, l'immoralità diventa una forma di viver civile e la mediocrità invade la cosa pubblica.
Curzio Malaparte – La rivolta dei santi maledetti
Il Piave rappresentò per gli anni a venire un sentimento comune che aveva fatto parte della propaganda Fascista e Sabauda ma restava un'icona morale nel sentimento dei tanti reduci, figli di reduci o cittadini cresciuti lungo le sue sponde.
Oggi, se non fosse per coloro che vi abitano vicino, agli occhi di un ragazzo giovane appare un fiume come tanti, magari sporco e inquinato da qualche azienda gestita da un consiglio di amministrazione che finanzia il partito più incisivo nel territorio e che fa beneficenza per lavarsi la coscienza.
Eppure, quel “ sentimento comune” fu efficace.
Per capire meglio cosa si intende per “sentimento comune” possiamo prendere da esempio altri momenti storici o vicende che non appartengono alla nostra società italiana.
Giusto un anno prima dell' attentato alle Torri Gemelle, il futuro Vicepresidente degli Stati Uniti d'America di quel governo Bush, Dick Cheney, ad un convegno dell'associazione nazionale americana che difendeva la vendita delle armi negli States, dichiarò “ ..agli Usa occorre un altra Pearl Harbor per rilanciare l'economia e sentirci nuovamente Nazione”.
Chiaramente queste dichiarazioni, un anno dopo, diedero spazio alle più svariate tesi complottiste ma celano un fondo di verità, cioè l'importanza di sentirsi parte di qualcosa, che nel caso dei futuri piani strategici Americani era la “ Guerra Permanente”, attuale strategia di ingabbiamento del Mediterraneo.
Cheney però non disse quelle cose per “ retorica patriottica” ma bensi perchè riconosceva un profondo attaccamento al senso di Nazione degli Americani, per la quale bisognava dare una scossa che producesse due azioni ben precise, il Patriot Act ( che ridusse tantissimo la libertà individuale degli americani in cambio di una maggiore sicurezza contro il mostro del Terrorismo ) e appunto la Guerra Permanente ( un modo per sdoganare la guerra d'invasione sotto forma di intervento di pace ).
Se Pearl Harbor spinse gli USA ad intervenire in Europa e le Torri Gemelle, con il loro crollo programmato quasi animali da sacrificare sull'altare di una divinità della Guerra, concessero l'invasione del medio oriente, per noi il Piave fu più che una canzone o un'offensiva, ebbe la capacità di riscuoterci e radunarci attorno ad un falso mito, quello della Vittoria del 4 Novembre, che dovette diventare Leggenda anche per nascondere, nei suoi coni d'ombra, quello che di male fu fatto.
Di esempi ve ne sono tantissimi, chi esercita il potere sa bene che deve produrre e scatenare sentimenti contrapposti nel popolo, al fine di guidarlo, ghermirlo e domarlo, a seconda dei casi.
Quindi, per non essere frainteso, non è intenzione né mia né di ARS di inventarsi “ un Piave a caso “ , come alcuni nostri politici hanno provato a fare negli scorsi decenni.
Per esempio ?
Berlusconi ha parlato per oltre 20 anni di Comunismo, indicando i partiti del Centro-Sinistra o i Magistrati come Comunisti, manipolando quindi la popolazione con il sentimento Anticomunista, in un paese dove il Comunismo aveva già perso da oltre un decennio prima della salita in parlamento di Berlusconi.
Del resto il Centro-Sinistra per 20 anni ha parlato di Legalità, indicando Berlusconi come male assoluto, autore e capo di tutte le malefatte commesse in questo paese e sviluppando l'impegno politico sull'Antiberlusconismo.
La Lega ha prima puntato il dito contro i Terroni e Roma Ladrona, per poi andare a cercare i voti tra i Terroni residenti al Nord puntando il dito contro l'immigrazione clandestina.
Ora il “nemico” è l'Euro ma va bene anche se gli lasciate un posto al parlamento europeeo, che a fare i forti con i deboli son buoni tutti, mentre il coraggio di combattere veramente l'Eurocrazia non sembra albergare in molti.
Sempre sul “simbolo” Piave e il messaggio che genera la sua storia, questo sentirsi parte di qualcosa, ci viene anche indicato in uno dei programmi televisivi più importanti di quella RAI del dopoguerra, vero e proprio strumento capace di rappresentarci e formarci culturalmente.
Sto parlando del duo Don Camillo e Peppone, che nelle macchiette avvincenti di Guareschi, raccontano l'Italia del dopo guerra, del PCI e della DC, contrapposte tra di loro e rappresentate dal Prete e dal Sindaco, entrambi reduci della Grande Guerra.
In un noto film, durante un comizio comunista di Peppone, Don Camillo trasmette dalle trombe del campanile la Canzone del Piave, che trasforma radicalmente l'intervento dal palco del Sindaco comunista, che non si trattiene “ dall'adunata morale” scaturita da quelle note e si trasforma in un politico patriota che anima il pubblico con un intervento carico di sentimento e grinta, ricordando ai presenti che “ noi siamo quelli di allora” , mentre chiude il comizio con un W la Repubblica W L'Esercito e parte in corteo, non in cordone come da tradizione comunista, ma marciando come un fante.
Ecco che in quelle poche scene del film si concentra tutto il “sentimento” di questo mio articolo, il Piave rappresentò per decenni un punto d'incontro tra mistica patriottica,memoria storica e riconoscimento nei confronti del sacrificio, enorme, di quei ragazzi nati negli ultimi anni del '800 e morti tra l'Ortigara e il Piave.
In Italia manca questo, un sentimento più nobile di quello di una guerra, ma che non sia neanche becero come l'entusiasmo che ci coinvolge quando vinciamo i Mondiali, un qualcosa che ci faccia riconoscere e determinare cosa intendiamo per il “noi” e ci consegni gli elementi più trasparenti per identificare il “nemico” e combatterlo insieme. Solo attraverso l'identificazione di un nuovo Piave, cioè di un nuovo territorio politico dove militare, possiamo auspicare che la battaglia sovranista prenda il largo e riscopra la sua vera potenzialità.
Domani si compie il rito delle Europee, una Caporetto per i sostenitori di un cambio radicale dell'Europa, ecco perchè noi di ARS andremo avanti con il nostro lavoro al fin di trovarci tutti sul Piave, per poter un giorno, con vera e amorevole convinzione dire:
“Sul patrio suolo vinti i torvi Imperi,
la Sovranità non trovò né oppressi, né stranieri!”
Aaron Paradiso
ARS Lombardia
"Resistere resistere resistere" non l'ha detto Borrelli, come credono i moderni. L'ha detto un italiano nato in sicilia, Vittorio Emanuele Orlando, il Presidente del Consiglio che sostitui' il generale Cadorna con il generale Diaz, a lungo, e in certo senso per sempre, il diritto pubblico italiano personificato. Finita la guerra affermo': "l'Italia è oggi un grande Stato, non già per virtù di una indulgente concessione diplomatica, ma perché essa ha rivelato una capacità di azione e di volere che la pareggia effettivamente ai più grandi Stati storici e contemporanei. È questo, secondo me, il primo e principale ingrandimento…non vi sono solo questioni economiche e territoriali che senza dubbio hanno per l'Italia un'importanza incomparabile ma vi è altresì tutto l'assetto etico e politico del mondo…". LA CAPACITA' DI AZIONE E DI VOLERE FA GRANDE UN POPOLO; essa non si manifesta necessariamente un una cultura e un atteggiamento aggressivi, imperialistici e colonialistici; puo' e deve benissimo manifestarsi in una cultura, un sentimento, un carattere di RESISTENZA. Allora resistemmo a un impero, costruito sul concetto di dinastia, concorrendo a sfaldarlo, combattendo per anni metro per metro e dimostrando di non essere da meno del nostro avversario. E resistemmo, al di là della retorica, grazie a oltre 600.000 cittadini che sacrificarono la vita.Se si fossero sentiti della napolitania o veneti o siciliani non saremmo mai riusciti. Può dispiacere ma là si forgio' il popolo, che era stato, ovviamente, poco presente nel risorgimento.
Beh speriamo che non si debba aspettare un'altra Grande Guerra Patriottica per sentirci parte di un popolo…anche perché guerre come quelle è difficile che si ripropongano, oggi siamo nell'era degli interventi mirati, delle bombe intelligenti, dei droni, in cui non è dato guardare negli occhi il proprio nemico o sentire l'odore del terrore del tuo compagno di trincea.
Il potere a differenza di noi impara, ha imparato a gestire le masse ed evita pericolosi assembramenti, sa che le rivoluzioni nascono là dove il popolo può sentirsi forte, numeroso, come le grandi fabbriche di Pietroburgo del 1905 e tende a parcellizarlo, a renderlo un insieme atomizzato di individui.
E il potere sa che qualsiasi idea di comunità è pericolosa , anche e sopratutto quella nazionale, ecco perché oggi non può darsi un Don Camillo che cerchi di riscaldare i cuori con il patriottismo italico come contrasto all'internazionalismo proletario dei comunisti di Don Peppone.
Oggi la situazione è ribaltata : l'unico internazionalismo presente nello scenario mondiale è quello dei capitali ed è a quello che si vuole che le masse guardino.
E' l'internazionalismo della CocaCola e dei MCDonald , un assetto che mi permette in qualsiasi parte del globo mi trovi di gustarmi il mio Big Mac, ecco perché oggi il Potere ha come migliore alleato un certo sentimento internazionalista che paradossalmente si trova con più facilità tra gli eredi di Don Peppone che tra quelli di Don Camillo, oggi è la sinistra per bene , quella del PD, delle Gruber e degli Tsipras, che svolge il ruolo di architrave del sistema .
Ed ecco il pericolo per i sovranisti : abbracciare Don Camillo ed il suo becero nazionalismo per dover contrastare il becero internazionalismo dei bilderberghini nostrani.
A meno che…
A meno che non rinasca un altro internazionalismo quello dei dominati contro i dominatori , e un altro nazionalismo, quello degli italiani che si guardano in faccia e si rendono conto di essere un bel popolo, pieno di gente simpatica che parla una bellissima lingua e che forse meriterebbe, come disse prima di morire Monicelli, una bella rivoluzione…ma questa è un'altra storia.
Adriano grazie per il commento, trovo molto significativo che tu concluda con queste parole:
A meno che non rinasca un altro internazionalismo quello dei dominati contro i dominatori , e un altro nazionalismo, quello degli italiani che si guardano in faccia e si rendono conto di essere un bel popolo, pieno di gente simpatica che parla una bellissima lingua e che forse meriterebbe, come disse prima di morire Monicelli, una bella rivoluzione…ma questa è un'altra storia.
Non scambiatemi per un Irredentista, non voglio evocare nessuno scenario di guerra ne partecipare ad alcuna, riconosco che la guerra è uno degli strumenti maggiormente usati per risolvere le controversie tra Potere e Popolo e la Comunità, come detto da te, è un pericolo per il nostro nemico più di qualsiasi fucile o cannone.
Ma cosè la Comunità? Come la si costruisce? quali Azioni quotidiane devono essere messe in campo per farla maturare e non appassire?
Penso, dalla mia esperienza, che la Comunità è prima di tutto riempirsi gli occhi di bellezza, osservando i nostri territori, la felicità e il benessere dei nostri concittadini e le pratiche delle nostre azioni. Dissi, al II congresso nazionale di ARS del 2012, che noi abbiamo un compito importante che è quello di ribellarci prima a ciò che non ci piace di noi, alla trasformazione morale ed etica che abbiamo subito in 30 anni di bombardamento ideologico e liberista. Fatto questo, che richiede uno degli sforzi maggiori, possiamo solo che unirci a coorte, cioè quella formazione disciplinata che gli Antichi Romani usavano per le loro Legioni , chiaramente in forma metaforica ma con il sentimento di allora, che è anche quello delle trincee del 15-18, dove individui apparentemente diversi scoprivano la bellezza di sentirsi parte di qualcosa, anche del tragico destino di una morte comune.
Questo lavoro, cioè questa Ribellione Culturale, può solo condurci alla Rivoluzione di Bellezza che è quella alla quale noi di ARS decidiamo di dedicare il nostro tempo e lavoro, che all'apparenza può sembrare Tecnico e incentrato sullo Statalismo e l'Economia, ma in realtà rimette insieme dei pezzetti per costruire delle Comunità
Siam stati per troppo tempo divisi e canaglie tra di noi, concentrati a assorbire tutto ciò che ci veniva servito in mezzo al "BigMac" ingurgitato ogni giorno, ma io viaggio per l'Italia , vado a vedere i luoghi dell'infanzia dei miei genitori o dei mie nonni, incontro gente di ogni tipo per il lavoro che faccio e so, per certo, che anche molti di coloro che sono giunti nel nostro paese con l'immigrazione degli anni '90, insieme ai tanti che non si sono ancora arresi, loro, coesi in un destino comune, saranno l'arma più vincente contro il nostro nemico.