Svalutazioni nominali e rivalutazioni reali
In questo articolo si metteranno a confronto gli andamenti dei tassi di cambio nominali e reali di Stati Uniti, Italia e Germania, tra il 1960 ed il 2013, mettendo alla luce alcuni effetti verificatisi con l’adesione allo SME e alla moneta unica europea.
A nessuno, credo, sarà mai sfuggita la ricorrente analogia tra la “liretta” e le famigerate svalutazioni, sempre e comunque definite “competitive”. Pochi, però, sono al corrente che la competitività di prezzo dei beni di un paese è influenzata non solo dal tasso di cambio nominale, che è quello che va a variare durante una svalutazione, ma anche e soprattutto da quello reale.
Cos’è il tasso di cambio reale? E’ un sistema per determinare i prezzi dei beni di un paese in termini di beni di un altro, tenendo conto del tasso di cambio e dell’andamento dei prezzi nei singoli paesi.
In altre parole, un apprezzamento del cambio reale è dovuto ad una rivalutazione nominale di una valuta contro un’altra e/o ad un differenziale positivo di inflazione rispetto ad un paese di riferimento.
I grafici che seguono hanno lo scopo di confrontare gli andamenti dei due cambi in questione, mostrando come, il più delle volte, nonostante si siano verificate svalutazioni nominali, si continuerà a verificare un apprezzamento in termini reali.
Periodo 1960 – 1979, dal cambio fisso a quello fluttuante
Con il grafico 1 possiamo visualizzare gli andamenti dei cambi nominali di marchi tedeschi e lire italiane per dollari statunitensi.
[I dati sono riportati ad indice, ovvero mostrano le variazioni rispetto ad un valore fissato convenzionalmente a 100 come comune riferimento. Una divergenza verso il basso sta a significare un apprezzamento della valuta in esame rispetto al dollaro, una verso l’alto una svalutazione.]
Come già evidenziato nello scorso articolo, possiamo riscontrare una lira che, dall’abbandono del cambio fisso, ha inanellato una sequenza di svalutazioni contro il dollaro fino al 1977, per poi tornare rivalutare moderatamente nei due anni successivi.
Il marco tedesco, da parte sua, mostra una sequenza costante di rivalutazioni.
Nel grafico 2 possiamo vedere cosa è accaduto al tasso di cambio reale dei beni dei singoli paesi.
[Anche per questo grafico valgono le considerazioni del precedente, ovvero deviazioni verso il basso indicano un apprezzamento e verso l’alto un deprezzamento.
Le linee tratteggiate, aventi come riferimento la scala sulla destra, vanno ad indicare le svalutazioni (verso l’alto) o gli apprezzamenti (verso il basso) delle singole valute.]
Gli andamenti dei cambi, in questo caso, sono influenzati dai differenziali di inflazione, oltre che dalle variazioni nominali. Si può facilmente vedere come, durante il periodo di cambi nominali fissi, i cambi reali comunque mostravano degli apprezzamenti dovuti, appunto, alla crescita dei prezzi, avvenuta in modo diverso nei singoli casi. Dai dati risulta che, nonostante la presenza di un differenziale di inflazione cumulato positivo, la Germania ha visto apprezzare la sua valuta, mentre la Lira svalutava ma non riusciva comunque a neutralizzare completamente lo svantaggio dato dalla crescita relativa dei prezzi dei propri beni rispetto a quelli americani.
Periodo 1979 – 1996, adesione allo SME e successivo sganciamento
Nel grafico 3, come per il grafico 1, si valuta l’andamento dei tassi di cambio nominali dal 1979, preso come riferimento, ed il 1996.
Le due date non sono casuali, ovvero la prima coincide con l’esordio dello SME, e la seconda con la fissazione del cambio a seguito del rientro della lira nel predetto sistema, in preparazione per il passaggio alla moneta unica.
Qui è riscontrabile una divergenza tra l’andamento dei due tassi di cambio che si fa marcata tra il 1980 ed il 1985, sostanzialmente stabile per i successivi 7 anni, per poi tornare a divergere nel 1992, anno durante il quale ci fu una svalutazione della lira che, per i successivi 3 anni, mantenne un andamento allineato con quello del dollaro, per poi accennare una piccola rivalutazione nel 1996.
Da un andamento come questo si potrebbe supporre che, l’andamento del cambio della lira, possa aver dato al nostro paese un indebito vantaggio nei confronti del marco tedesco.
Con il grafico 4, relativo ai cambi reali, possiamo verificare la veridicità di questo assunto.
A quanto pare questo grafico mostra una condizione totalmente ribaltata. In termini reali, i prodotti tedeschi, rispetto a quelli italiani, hanno guadagnato competitività di prezzo, facendo leva sul fatto di poter vantare, in Germania, un tasso di inflazione più basso rispetto a quello italiano.
Nel 1992, a seguito di una svalutazione della lira, la divergenza cumulata va a ridursi notevolmente, riportando i beni italiani, per i successivi tre anni, allo stesso cambio reale con quelli statunitensi del 1979.
Periodo 1996-2013, rientro nello SME e adozione moneta unica
Il grafico 5 merita pochi commenti, se non per il fatto di testimoniare la sostanziale fissità del cambio tra lira e marco già dal 1996, ed un tutt’altro che stabile cambio dell’ecu/euro verso il dollaro.
Con il grafico 6 torniamo ad occuparci di cambi reali, per il periodo 1996 – 2013.
Curiosamente, in barba all’adozione di un cambio fisso prima ed una moneta unica poi, possiamo ancora riscontrare una crescente divergenza del tasso di cambio reale.
Anche qui i beni tedeschi, rispetto a quelli italiani, sembrano guadagnare un vantaggio di prezzo che va a consolidarsi con il passare del tempo. Nel 2013, dopo 17 anni, i prodotti made in Germany mostrano un deprezzamento reale tendente al 20% rispetto a quelli statunitensi e a quelli nostrani.
Ricapitolando:
- Nel periodo dei cambi liberamente fluttuanti, tra la fine degli accordi di Bretton Woods e l’inizio dell’esperienza dello SME, il marco tendeva a rivalutare contro il dollaro e contro la lira, sia in termini nominali e sia in termini reali.
- Durante il periodo dello SME, le rivalutazioni del marco non furono sufficienti a compensare i differenziali negativi di inflazione, lasciando che i beni tedeschi guadagnassero competitività rispetto a quelli italiani e quelli statunitensi. I beni italiani, di conseguenza, si trovavano ad avere uno svantaggio crescente sui mercati internazionali, dato che, dovendo rispettare una parità centrale, non era possibile svalutare oltre una certa misura, mentre l’indice dei prezzi al consumo continuava a salire.
- Un giusto riallineamento di prezzo ci fu nel 1992, tramite la famosa fuoriuscita della lira dallo SME e contestuale svalutazione, fatto che contribuì in maniera decisa a ridare respiro alle esportazioni italiane.
- La fissazione del cambio nel 1996 e la conseguente adozione della moneta unica, hanno riproposto la dinamica già sperimentata durante il periodo precedente, ovvero con la Germania che continuava a svalutare internamente e l’Italia a rivalutare, data la permanenza dei differenziali di inflazione.
A questo punto si potrebbe riflettere sull’appartenenza o meno allo stesso mercato di riferimento dei beni prodotti nei vari paesi in questione, ciò, tuttavia, non andrebbe comunque a mettere in discussione il fatto che gli agganci monetari, per la Germania, hanno costituito una zavorra alla verosimile rivalutazione che avrebbe subito la sua valuta nazionale. Di contro, per lo stesso motivo, per paesi connotati da un tasso di inflazione tendenzialmente più alto, come l’Italia, la fissazione del cambio ha significato una rivalutazione reale, non efficacemente sanabile tramite deflazione, dato che, questa pratica, oltre agli effetti deleteri sull’economia interna, spinge l’euro a rivalutarsi nei confronti del dollaro americano, vanificando ogni sacrificio.
Antonello Nusca – ARS Abruzzo
Buongiorno, articolo molto interessante. Dove è possibile reperire i grafici indicati? Non vengono più visualizzati Grazie
Potrebbe essere stato un problema momentaneo. I grafici risultano visibili. Il limite dello studio fatto è che si è preso come riferimento il tasso di cambio reale bilaterale con la valuta di riserva (il dollaro statunitense) invece del tasso di cambio reale multilaterale.