Perché riconquistare la sovranità
di Stefano D'Andrea Riconquistare la Sovranità
1. Oggi, 2 giugno 2012, nasce il sito dell’Associazione Riconquistare la Sovranità (ARS). La data è stata scelta per l’alto valore simbolico: crediamo fermamente nella Costituzione Repubblicana, soprattutto nel titolo che disciplina i “rapporti economici”, disapplicato da oltre venti anni. La disciplina costituzionale dei rapporti economici è un’ancora di salvezza per tentare di uscire dalle tre crisi che attanagliano l’Italia: la crisi della produzione; la crisi della distribuzione; la crisi culturale e addirittura antropologica.
L’ARS muove dalla convinzione che l’euro sia stato un errore tecnico, oltre che politico: ha impoverito non soltanto i lavoratori dipendenti, bensì anche molte imprese italiane. Si tratta di un’opinione ancora largamente minoritaria, la quale, tuttavia, va diffondendosi, perché la barriera della menzogna, eretta dai media mainstream, è stata forata in più parti dalle avanguardie del popolo italiano e perché la spietatezza dei crudi fatti e le crisi della produzione e della distribuzione della ricchezza hanno oggettivamente suscitato in molti cittadini almeno il dubbio sulla sostenibilità della moneta comune.
Tuttavia, l’ARS sostiene una posizione più avanzata rispetto a quella di coloro che si limitano a constatare il fallimento dell’euro e, quindi, gli squilibri e l’impoverimento che la moneta comune ha generato. L’errore tecnico dell’euro si colloca in un quadro di politiche giuridico-economiche le quali, negli ultimi venticinque anni, hanno spostato ricchezza: i) dal lavoro subordinato al capitale; ii) dalla piccola impresa , dal piccolo commercio e dai professionisti alla grande impresa produttiva, alla grande distribuzione e ai grandi studi professionali, i quali sono imprese; iii) dal capitale produttivo al capitale finanziario; iv) dal capitale finanziario che eroga prestiti alla produzione al capitale finanziario che eroga prestiti al consumo; e v) finanche dal capitale finanziario che eroga prestiti al capitale finanziario che gioca sui valori di titoli e che compie vere e proprie scommesse su solvibilità di stati e sul livello dei tassi di interesse o degli indici di borsa ( i cosiddetti derivati).
Insomma dai salari e dai redditi da lavoro ai profitti; dai profitti alle rendite; dalle rendite alle vincite. E’ il capitalismo caos e casinò
2. L’abbinamento del vincolo della “moneta comune”, che non è moneta italiana, e dei vincoli globalisti – libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone; imposizione fanatica della concorrenza e tendenziale divieto dei monopoli pubblici – ha generato, come era naturale, indebitamento privato (in buona parte verso l’estero), difficoltà specifiche in alcuni settori del commercio e dell’impresa, bolle (finanziaria, immobiliare, del credito al consumo), delocalizzazioni, disoccupazione, e deflazione salariale – all’interno del sistema dell’Unione europea e del WTO, la deflazione salariale è oggettivamente l’unico strumento per “competere”.
Perciò, a differenza della maggior parte dei contestatori dell’euro, l’ARS riconosce che i fenomeni della deflazione salariale, della crescita dell’indebitamento privato (di famiglie e imprese), della trasformazione dei debiti privati delle banche in debiti pubblici, delle delocalizzazioni, della disoccupazione e della sotto-occupazione crescenti si sono verificati anche in ordinamenti giuridico-economici che non hanno adottato la moneta comune (per esempio in Gran Bretagna) e negli Stati Uniti. Pressoché tutti i paesi della triade – USA, Unione europea, Giappone -, con la parziale esclusione dei paesi che hanno potuto avvantaggiarsi di condizioni particolari (la Germania ha approfittato dell’introduzione dell’euro a scapito dei paesi del sud Europa) soffrono da tempo di bassa crescita, di disuguaglianze sociali crescenti tra i percettori di redditi da lavoro e di redditi da capitale (rendite e profitti), e di disoccupazione, celata nelle statistiche dalla sotto-occupazione, ormai fenomeno strutturale in molte delle economie della triade.
3. Non si tratta di “crisi del capitalismo” o di “crisi globale”. Nell’ultimo quinquennio, un numero molto elevato di ordinamenti giuridico-economici estranei alla triade ha visto aumentare il PIL con medie che variano dal 4% al 9% (dal Brasile, all’India; dall’Argentina alla Cina, dal Vietnam al Libano, dall’Angola alla Russia; dall’Indonesia alla Bielorussia; e via continuando). La crisi è crisi dei sistemi giuridico-economici capitalistici dei paesi con economie “avanzate” (verrebbe da dire: marce). Essi sono ordinamenti capitalistici di mercato o comunque sono ordinamenti che nell’ultimo ventennio , in alcuni casi nell’ultimo trentennio, hanno subito trasformazioni da forme di capitalismi di stato, quali erano, a forme di capitalismi di mercato, quali stanno diventando o sono diventati.
L’Associazione Riconquistare la Sovranità propone di invertire la rotta.
4. Tutti i provvedimenti proposti dai movimenti di contestazione in questi ultimi anni implicano che l’Italia arresti, per quanto la riguarda, il processo di globalizzazione e scelga la strategia della de-globalizzazione. De-globalizzare significa che l’Italia deve sottrarsi ai vincoli posti dall’Unione europea e dal WTO. Si tratta del punto nevralgico, non spiegabile in poche battute. Ad esso dedicheremo numerosi articoli e riflessioni. Per ora ci limitiamo ad esprimere l’assunto. Senza sottrarci ai vincoli dell’Unione europea e del WTO, non è possibile promuovere la piena occupazione; alzare i salari; proteggere il piccolo commercio e la piccola impresa; ridurre le importazioni di beni alimentari; sviluppare la produzione interna di beni che importiamo e che sapremmo produrre; evitare la distruzione della nostra agricoltura; aumentare gli addetti a quest’ultimo nobile settore economico; rendere interno il debito pubblico; pagare tassi di interesse sul debito pubblico bassi, perché protetti da una banca centrale nazionale non autonoma; nazionalizzare le grandi banche commerciali e separare queste ultime dalle banche d’affari; sottrarci al potere del capitale marchio; limitare il potere della pubblicità e i costi e gli ingiusti profitti che essa genera; eliminare le forme di lavoro servile che si sono andate diffondendo; vincolare il risparmio italiano a investimenti in Italia; limitare le delocalizzazioni; ridurre e limitare l’indebitamento delle persone e delle famiglie; promuovere filiere corte e mercati locali; in generale, costruire un’economia sociale e popolare a dimensione umana.
Nel Documento di Analisi e Proposte politiche e nel Progetto dell’Associazione Riconquistare la Sovranità – entrambi i documenti sono pubblicati sul sito dell’ARS – sono tracciate le linee guida e la strategia paziente da seguire.
5. L’insistenza sulla crisi della produzione e sulla crisi della distribuzione della ricchezza non sta a significare che l’ARS si disinteressi della crisi culturale e antropologica del popolo italiano. Siamo anzi consapevoli che questa è la crisi di gran lunga più importante.
Intanto, la crisi della distribuzione della ricchezza, essendo crisi della giustizia, è già crisi di civiltà. Qui materia e idea si legano inscindibilmente. La civiltà di una società non è scindibile dalla giustizia dei rapporti economici. Siamo diventati una società che accetta troppo facilmente disuguaglianze, ingiustizie e lavoro servile.
Anche la precarietà del lavoro subordinato e la promozione della libera circolazione delle persone sono nel medesimo tempo elementi di un rapporto giuridico-economico e segno di degrado civile. Altro è la precarietà e la disponibilità ad allontanarsi dalla propria terra per scelta volontaria: per tentare una carriera o per formare un bagaglio di esperienze che sarà utile in un’arte o in un mestiere autonomo: elementi sovente positivi e fortificanti. Altro è la precarietà generale, cantata in nome della “flessibilità” e imposta a tutti i lavoratori subordinati, in abbinamento con la promozione della libera circolazione delle persone. Quest’abbinamento è scelta di sradicamento, promozione di instabilità psicologica, è attacco alla famiglia (crea difficoltà a chi desideri costruirne una stabile) e quindi è imposizione dell’individualismo. Ed è, ovviamente, sfruttamento.
Più in generale, viviamo soggetti a un perenne diluvio di pubblicità, immersi in informazioni e spettacoli regalatici dal grande capitale (chi sa perché il capitale marchio paga per intrattenerci ed informarci?); con i bambini cacciati dalle strade e dai vecchi campi – piene di autovetture le prime e di cemento i secondi. I bambini sono divenuti il primo bersaglio del capitale marchio.
Le scuole non insegnano più materie e non sono più serie, ossia giustamente severe: sono divenute luoghi in cui si “progetta” e si collegano nozioni tratte da materie diverse (la tanto amata e in realtà pietosa “interdisciplinarietà”). Le università attirano studenti mediante forme svariate di pubblicità e divengono facili laureifici, perché prendono fondi anche in base al numero basso degli studenti fuori corso. I docenti universitari sono stati collocati “sul mercato”, a elemosinare pochi fondi presso enti e associazioni: cercare fondi è divenuta la principale attività del docente; o meglio è l’attività promossa dal legislatore.
Alcuni dei mali segnalati sono strettamente connessi alla disciplina dei rapporti giuridico-economici; altri soltanto indirettamente, perché sono il frutto di processi culturali molto complessi. Ma alla resa dei conti, soltanto riprendendo il controllo della produzione e della distribuzione, è possibile pensare di porre rimedio alle degenerazioni culturali, tutte direttamente o indirettamente riconducibili alla promozione del turbocapitalismo globale e finanziario. Senza riprendere nelle nostre mani il destino, ossia senza riconquistare il potere di dirigere e programmare produzione e distribuzione della ricchezza, è possibile soltanto un lieve miglioramento dei profili ideali, culturali e ambientali.
Dunque, riconquistare la sovranità anche e soprattutto per tentare di edificare una diversa, migliore e magari grande civiltà.
02.06.2012
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