Nicola il carpentiere
La scorsa settimana ho fatto una lunga chiacchierata con un cliente che in breve mi ha raccontato le sue vicissitudini di emigrante allo sbaraglio.
Nicola ha 32 anni e da 15enne, finita la III media, ha cominciato a lavorare nell’edilizia, dapprima come manovale e poi, raggiunta la maggiore età, come operaio carpentiere.
Quando iniziò, nel 1997, ingaggiato regolarmente non appena la sua età lo permise, guadagnava 40.000 £ire per 9 ore di lavoro, quando cambiò qualifica, nel 2001, la sua paga giornaliera era salita a 90.000 £ire.
A 22 anni, quando si sposò, percepiva 80 €uro per le sue 9 ore di duro lavoro, e i frequentissimi straordinari venivano ben retribuiti, rigorosamente a nero. Spesso la sua busta paga ufficiale risultava essere superiore ai 2000 euro/mese. La moglie lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento, a 700 euro/mese e così decisero di sposarsi.
Comprarono casa nel 2004, con un mutuo trentennale (rigorosamente a tasso variabile) di ca. 700 euro/mese. Taroccando pesantemente le carte riuscirono ad ottenere il 130% del costo della casa stessa e con l’eccedenza di liquidità acquistarono il mobilio e pagarono parte delle spese del matrimonio. Nel 2006 erano in 4 in famiglia: 2 bei bambini avevano allietato la loro unione.
Nel marzo del 2009, con l’incombere della crisi, fu costretto ad andare a lavorare fuori sede: ogni giorno, con i suoi colleghi, percorreva quasi 300 km (tra andata e ritorno) con il furgone. Sveglia alle 4,30 per essere sul posto di lavoro 2 ore dopo e ritorno a casa verso le 19,00. Quell’anno, bene o male, riuscì a lavorare quasi sempre. A Natale dello stesso anno il titolare della piccola impresa dovette licenziare tutti, poiché l’azienda per cui avevano lavorato non pagava da svariati mesi ed era essa stessa sull’orlo del fallimento. Nicola, sino a quel momento aveva onorato puntualmente tutti i suoi debiti e viveva una vita abbastanza tranquilla, fatta si di pesante fatica ma tutto sommato abbastanza soddisfacente: in famiglia non mancava nulla e riuscivano a fare anche 10 giorni al mare.
Nel 2010 cominciarono i problemi: riuscì a lavorare solo 6 mesi su 12 e diede fondo ai pochi risparmi per tirare avanti dignitosamente, continuando a pagare regolarmente i debiti.
Il 2011 fu l’anno della svolta: oramai lavorava al massimo una settimana al mese. Con un colpo di “fortuna” riuscì a svendere la casa: un parente rilevò il mutuo residuo (25 anni) e gli diede 10.000 euro in nero come buonuscita: la sua casa nel frattempo aveva perso quasi il 50% del valore e l’inflazione di abitazioni, abbinata alla stretta creditizia, gli fecero prendere quella -tutto sommato- saggia decisione. Nel frattempo anche la moglie aveva perso il lavoro: il negozio presso cui lavorava aveva chiuso.
I mesi che passarono furono tremendi: momentaneamente andarono a vivere a casa dei suoceri, in quella che una volta era la cameretta della moglie, la quale trovò impiego saltuario a lavare scale per condomini a 4 euro/ora, mentre lui faceva lavoretti saltuari di varia natura: insieme riuscivano a malapena a portare a casa 600/700 euro/mese.
Nicola ha una sorella che vive nei pressi di Lione, in Francia, e incoraggiato da essa, decise a malincuore di emigrare. Partì nei primi mesi del 2013 e nonostante la sua buona volontà trovò anche lì solo lavori saltuari, a nero e malpagati. La lingua era la barriera insormontabile che lo divideva da un lavoro stabile e meglio pagato. Nel novembre 2013 fece ritorno a casa e cominciò a reinventarsi operaio agricolo. Fece la campagna delle olive per intero a 30 euro/giorno, in concorrenza con rumeni e bulgari. Traslocarono in un “basso” di due stanze comunicanti a 180 euro/mese e gli regalai, in quell’occasione, dei mobili che mi avanzavano: aveva anche venduto tutto ciò che avesse un valore minimo.
Oggi Nicola lavora stabilmente presso un’azienda agricola a 40 euro/giorno, per 11/12 ore lavorative. In questo periodo di mietitura del grano per una settimana intera non si è mai ritirato a casa per quanto c’era da fare e senza percepire nessun altro emolumento aggiuntivo. In pratica, egli lavora per 3,33 euro/ora.
Caro Nicola, benvenuto all’inferno.
Le regole fondanti della UE, relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone (che sarebbe meglio definire “libera circolazione degli schiavi”) sono servite solo a far scendere i prezzi della manodopera. Una volta tale evenienza veniva definita “curva di Phillips”: aumentando la disoccupazione marginale tramite leggi che favoriscono l’immigrazione da zone notoriamente più povere se non sottosviluppate, si mettono in concorrenza i lavoratori che saranno portati così ad abbassare le proprie pretese salariali, come, appunto, il caso di cui vi ho appena raccontato. Il tutto ad unico vantaggio dei profittatori. Ancora oggi, qualsiasi prodotto che prevede largo uso di manodopera ha come componente “costo del lavoro” quasi il 70% dell’intero prezzo di produzione. Abbassando quella voce si ritorna competitivi. Ma solo sino a quando la concorrenza non farà altrettanto, in una spirale deflattiva senza fine.
Per l’Europa prevedo un futuro gramo, fatto non da populismi, ma bensì da nazionalismi estremi e da xenofobia di ritorno.
Il nuovo status-quo a cui stanno obbligando gran parte della popolazione del vecchio continente farà tornare di moda una parola a cui non siamo più abituati: conflitto. O se preferite, guerra.
Roberto Nardella, ARS Puglia
Roberto, ti butto qua una riflessione veloce.
Il conflitto lo prevedo anche io e anzi lo voglio.
La xenofobia è frutto soltanto della xenofilia ed è estranea alla tradizione italiana.
Il nazionalismo estremo in Italia non lo immagina proprio.
Il conflitto lo dobbiamo desiderare. Invero, non esiste alcun rischio di xenofobia o di nazionalismo estremo. Comunque sono rischi che, volendo il conflitto, bisogna accettare. Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.