Capitalismo storico, frontiere e libertà.
È proprio dell'entità statuale avere dei confini giuridicamente e giurisdizionalmente determinati. Anzi, si potrebbe dire che l'esistenza di una porzione di territorio unitario su cui fondare l'ambito del proprio dominio, costituisce la base essenziale dello Stato moderno, C.Schmitt scrive che il diritto è terraneo e riferito solo alla terra. Lo Stato, dunque, possiede la prerogativa di regolare i movimenti di merci e forza-lavoro attraverso le frontiere del suo territorio. In questo senso ogni entità sovrana, storicamente, è stata in grado di incidere come variabile determinante, nella divisione del lavoro su scala internazionale.
La moderna libertà di movimenti di capitali, di beni, servizi e forza-lavoro, ovvero il grado zero dell'intervento statale, è stata resa possibile in virtù dell'accresciuto ruolo di lobbies e gruppi di potere intorno allo stato. Naturalmente, siamo d'accordo con P.Chaunu (L'espansione europea dal XIII al XV secolo, 1979) che scrive a proposito del primo grande capitalismo di stato, quello portoghese a cavallo del XV secolo, senza il credito degli uomini della finanza, lo stato sarebbe rimasto prigioniero della rendita, della terra e dei vincoli feudali. Storicamente, infatti, pur in una perdurante dialettica che Schmitt rappresenta nello scontro tra nomos della terra e nomos del mare, è stata possibile un'alleanza tra stato e capitale che ha comportato una grande proliferazione della ricchezza, accompagnata, però, da una esponenziale polarizzazione di essa, ci verrebbe da aggiungere. Tuttavia, mai come ora, lo Stato come istituzione territoriale capace di interpretare e rappresentare il diritto di ogni popolo all’occupazione e divisione della terra è messo in pericolo dalla società e dalla sfera economica. Ci pare evidente che l'affermazione neoliberista consista nel liquidare una volta per tutte le capacità autonome di organizzazione dello stato, e riducendolo a mero coordinamento di forze che si pongono fuori dal campo del politico. La sovranità statale è rimasta vittima della dinamica rivendicativa del patrimonio di politica sociale che esso stesso ha contribuito a creare (W.Reinhard, Storia dello stato moderno, 2010).
La libertà dei trasferimenti delle merci e della forza-lavoro è stata il guanto di sfida che il capitale ha lanciato nei confronti degli stati-nazione. Essa, tuttavia, è desiderabile solo fintanto che un produttore è competitivo nei confronti di altri. In questo senso le limitazioni imposte agli stati sono quanto di più subdolo la cultura neoliberista sia mai riuscita ad inventare perché libertà di commercio, di esportare e importare capitali e forza/lavoro nasconde un'intima volontà di cristallizzare una situazione di squilibrio. Occorre forse ricordare con I.Wallerstein (Capitalismo storico e civiltà capitalistica, 2000) che la forma economica del capitalismo storico rifiuta e rifugge gli equilibri, finanche quelli dinamici, in cui un rapporto tra debitore e creditore tende a riprodursi semplicemente. Esso predilige la riproduzione allargata, costitutivamente, cioè, deve condurre nel passaggio da una condizione all'altra, ad una maggiore polarizzazione della ricchezza.
Quando Ugo Grozio scriveva "la libertà dei mari", non faceva altro che scambiare la talassocrazia olandese per libertà, tanto che, gli inglesi alla superiorità navale olandese furono costretti a rispondere con i vari atti di navigazione, a partire dal 1651, cioè, imposero limiti e divieti all'attracco dei navigli esteri presso tutti i porti britannici, compresi quelli delle colonie. Tutte le nazioni che hanno voluto e propugnato il valore della libertà economica, in origine hanno sempre dovuto "proteggersi", cioè si sono ampiamente avvalse delle facoltà che uno stato sovrano concedeva loro. Persino i grandi difensori dell'ideale liberale hanno dovuto nella loro genesi "proteggersi" e formare un proprio mercato interno. Come interpretare diversamente la guerra di secessione americana? Non c'erano forse da una parte gli stati del sud coloniali connessi con l'economia-mondo che producevano competitivamente materie prime e semi-lavorati sfruttando manodopera a basso costo e dall'altra stati del nord che auspicavano la formazione di un apparato industriale nel paese?
Il fatto è che le cose vanno chiamate con il loro nome e una nazione che non può avvalersi delle qualità giurisdizionali di uno stato è una colonia e una nazione che afferma la libertà fra le nazioni quasi sempre dissimula un impero.
Commenti recenti