Charlie Hebdo e Dieudonné: la satira al centro delle strategie di potere
di Riccardo Paccosi*
L’11 gennaio abbiamo visto i principali capi di Stato europei sfilare a Parigi contro il terrorismo e, al contempo, in nome della libertà di satira. La valenza simbolica di quel corteo è stata molteplice.
Innanzitutto, il fatto di vedere i capi di Stato partecipare non già a una liturgia istituzionale, bensì a un corteo – ovvero a una forma di rappresentazione collettiva che ha caratterizzato per due secoli il conflitto fra società e istituzioni statali – ha evidenziato ancora una volta come le società capitalistiche avanzate abbiano non soltanto recuperato, ma anche reso propri dispositivi strategici le modalità espressive dei movimenti rivoluzionari.
In secondo luogo, la presenza del premier israeliano Netanyahu, in prima fila al fianco dei leader europei, ha avuto mille implicazioni – dal piano geopolitico a quello culturale – su cui varrà la pena soffermarsi in altra sede.
A proposito di sfera cultuale, ci si potrebbe soffermare a lungo sulle vignette della rivista Charlie Hebdo. Vignette che, da oltre una settimana, si stanno diffondendo viralmente per tutto il worl wide web. Cominciamo col dire che si tratta di modalità satiriche che, nel contesto italiano, verrebbero sottoposte a immediata censura.
Per esempio, una delle vignette che ha maggiormente circolato online, è quella raffigurante i tre elementi della Trinità cristiana – Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo – intenti nell’atto di sodomomizzarsi a vicenda. La vignetta risale al 7 novembre del 2012. Giusto un anno prima, in Italia il comico Maurizio Crozza era costretto, sotto le pressioni della stampa cattolica, a interrompere una gag seriale televisiva – assolutamente bonaria e certamente non blasfema – basata sull’imitazione di Papa Benedetto XVI.
Dunque, considerando la questione delimitatamente all’ambito italiano, è evidente che l’appoggio unanime e trasversale a Charlie Hebdo – dal Fatto Quotidiano che lo sta pubblicando in questi giorni, a Daniela Santanché che potrebbe diventarne licenziataria – non corrisponde neppure lontanamente a quello che sarebbe l’approccio a una satira della medesima tipologia ma prodotta in Italia. Dunque, siamo dinanzi a un effetto-contagio basato sull’isteria mediatica, una sorta di “bolla ideologica” che non rispecchia la realtà delle posizioni istituzionali e mediatiche sul tema della libertà di satira.
Si potrebbe obiettare, però, che il contesto francese è differente da quello italiano. In Francia, la rivista Charlie Hebdo produceva vignette blasfeme da decenni e pertanto la difesa della libertà di satira da parte delle istituzioni d’Oltralpe potrebbe essere considerata, a differenza di quanto accade in Italia, meno legata all’isterismo mediatico contingente e decisamente più coerente.
Orbene, si potrebbe affermare quanto sopra se non fosse accaduto, a tre soli giorni di distanza dal “corteo di protesta” dei capi di Stato, l’arresto di Dieudonné M’bala M’bala per “apologia di terrorismo”.
L’accusa ha preso le mosse da una battuta che il comico ha scritto sulla propria pagina facebook – “Je suis Charlie Coulibaly” – tramite la quale egli ha espresso sentimenti di equidistanza rispetto a vittime e terroristi.
La battuta era chiaramente provocatoria e altrettanto chiaramente auto-ironica rispetto all’immagine pubblica di “cattivo” che Dieudonné ha maturato negli anni. Senza dubbio, però, si è trattato d’una battuta discutibile o comunque offerente il fianco ad attacchi.
Da oltre un anno, infatti, le autorità francesi hanno ingaggiato uno scontro frontale con il signor M’bala M’bala a causa dei contenuti dei suoi spettacoli, accusati di propaganda antisemita. A esporsi in prima persona, in più occasioni, è stato il Ministro degli Interni Manuel Vals. All’inizio del 2014, il comico ha eliminato dal proprio repertorio il controverso spettacolo “Le Mur” – pieno di polemiche su sionismo e Olocausto – e ha annunciato uno show su tematiche differenti. Ciò malgrado, il Consiglio di Stato ha annullato d’imperio la tournée giacché la presenza stessa di Dieudonné è stata decretata come fattore di “turbamento dell’ordine pubblico”.
Si potrebbe quindi obiettare che l’arresto del comico – tornato al momento in libertà provvisoria – è stato solo l’esito d’una dinamica avviatasi molto prima dell’attentato del 7 gennaio. Ma la vicinanza dei due accadimenti e il fatto che riguardino entrambi la libertà di satira, rendono la connessione oggettiva a tutti gli effetti.
A questo punto, occorre dire qualcosa sul merito. Ovvero: l’accusa di antisemitismo è fondata?
Ho guardato alcuni dei video di Dieudonné presenti sul web e, certamente, non posso dire di avere fruito d’una panoramica esaustiva. Ciò malgrado, provo a elaborare alcune considerazioni preliminari.
Innanzitutto, va detto che la comicità di Dieudonné appartiene a un filone ampio e che sta crescendo in varie parti del mondo. Si tratta della “stand up comedy” di origine statunitense: un genere metà cabaret e metà comizio politico molto incentrato sul gusto della provocazione, sul cinismo e sul politicamente scorretto. I capostipiti del genere sono gli americani Bill Hicks e George Carlin. Qui in Italia, il primo a strizzare l’occhio a questa formula comica è stato Beppe Grillo e successivamente, con modalità diverse, è stata la volta di Daniele Luttazzi e di Sabina Guzzanti.
Sulla base di quanto osservato, in sintesi, trovo difficile sostenere una battaglia a spada tratta in difesa di Dieudonné. Il motivo consta della monotematicità e dell’ossessività con cui vengono proposte le tematiche di critica al sionismo, nonché quelle di derisione nei confronti della retorica di Stato sull’Olocausto. Si tratta di tematiche ch’io reputo, in quanto tali, legittimi bersagli di satira. Ma la modalità ripetitiva di Dieudonné si attiene alla dell’egemonia culturale (sionista-ebraica) toccando raramente questioni inerenti all’economia o ad altri aspetti sistemici della struttura sociale. La ripetizione e la reiterazione, insomma, m’inducono a concludere che Dieudonné non sia razzista, ma che presti il fianco enormemente a suddetta accusa.
Se poi a tutto questo aggiungiamo le difese ch’egli ha ricevuto da parte di Jean-Marie Le Pen e dalla base del Front National, certe pessime battute ricercanti lo scontro frontale come “io piscio sul Muro del Pianto”, ebbene, ecco che la difesa di Dieudonné risulta molto, molto difficile o, per meglio dire, viene da pensare che potrebbe non valere la pena di sposare una causa siffatta.
I dubbi sul portare avanti una difesa personalizzata o “martirizzante” di Dieudonné, però, non ci impediscono di denunciare l’atteggiamento farisaico del governo francese. Non ci impediscono, in altre parole, di constatare quanto sia allucinante che, dopo l’orgia di retorica sulla libertà d’espressione, un comico sia stato incarcerato per una battuta e che debba subire quello che è – in ragione di un’accusa di apologia di terrorismo che, a differenza di quella inerente all’antisemitismo, appare priva di sostanza – a tutti gli effetti un processo politico.
Infine, nel mentre che ci chiediamo quali poteri e strategie in questi giorni stiano traendo giovamento politico dall’attentato, dobbiamo altresì domandarci come e quanto l’istituzionalizzazione di una dicotomia fra satira “buona” e “cattiva” non rispecchi i rapporti di forza dominanti e non proponga scenari inquietanti proprio su quel tema di cui la retorica dei governanti europei si è tanto riempita la bocca in questi giorni: ovvero la libertà d’espressione.
(*) attore e regista teatrale; membro dell’ARS di Bologna
Ottimo articolo!
Tutta questa esagerata polemica sulla liberta’ di satira (tra l’altro anche quando offende in modo grave il sentimento religioso, cioe’ la liberta’ di tanti altri cittadini) vuole semplicemente nascondere il fatto che la vera liberta’ politica nella UE e nell’Occidente non esiste. Che cosa succede se qualche politico di un Paese UE si mette a parlare troppo frequentemente, invece che delle vignette di Maometto, di uscita dall’Euro o dalla NATO? Rischia di finire molto male.
Su Charlie Ebdo ho scritto nel mio blog (Je suis pas Charlie) alcune riflessioni con cui cercavo di smascherare la montatura isterica dei media e dei governi europei per trarre vantaggi dall’atto criminale perpetrato a Parigi. Su Dieudonné concordo con la valutazione di questo articolo, il personaggio non mi è mai stato simpatico, quando abitavo a Parigi l’avevo visto in azione ma non mi aveva convinto.
Il suo arresto però si spiega facilmente col fatto ch esi doveva pur dare una consolazione a Netanjau venuto appositamente per la farsa della foto di gruppo (non mancavano altri criminaloi di guerra, es. Por(k)oshenko.
Vorrei accennare come linguista ad uno strumento per analizzare le produzioni cosiddette satiriche:
1) la satira per cominciare se la consideriamo storicamente era sempre intesa soprattutto come “autoironia” all’interno di una società, ed aveva scopi educativi (ridendo castigat mores);
2) com einsegna la pragmalinguistica, occorre considerare di ogni espressione verbale (e ciò vale anch eper quelle non verbali com ele vignette) la funzione “perlocutoria”, cioè ciò che si “produce” con le parole (cfr. Austin: “How to do things with words”) : in quest’ottica chi pubblica una vignetta che offende la fede islamica si pone come obiettivo (sempre ch eci sappia ragionare sopra) l’intenzione chiara di provocare le reazioni più violente poiché sa che cosí da occasione ai credenti islamici di reagire a cioò che obiettivamente è una continua crociata militare ed economica contro gli Stati che si identificano con questa religione e, in Europa, contro gli immigrati di questo credo.
Ciò sempre dando per scontato che i vignettisti sappiano ragionare e non agiscano semplicemnete per lucro o per incoscienza.
3) Nella cultura ebraica sono diffusissme le barzellette e anche le vignette autoironiche che criticano anch ein modo spietato aspetti irrazionali o vizi dei rabbini o assurditá dei propri fondamentalisti.
Ma sono appunto satire “interne”.
Fatte dall’esterno sono invece provocazioni gratuite ed insensate, sempre che non siano eseguite da gente prezzolata per provocare reazioni e giustificare repressioni. E questo è appunto il caso di Charlie, rivista insignificante ch eunicamente grazie alle continue provocazioni (certo pagate a caro prezzo) è assurta agli onori della cronaca (con utili economici che tuttavia non credo avranno durata)
In quanto a Dieudonné ha almeno il vanto di poter dire di aver avuto l’onore di una legge ad personam (“la criminalizzazione dell’apologia del terrorismo”). Una legge che se applicata con serietá
ed erga omnes vedrebbe incriminati quasi tutti gli attuali capi di Stato che hanno sostenuto e sostengono, nonché finanziano i gruppi terroristici o il terrorismo di Stato in tutto il mondo.
Ma siccome costoro sono al di sopra della legge (ab legibus solutis), abbiamo la prova di essere tornati ai tempi bui dell#assolutismo: unica variante è il condimento di ipocrisia, poiché gli stessi che
parlano e fingono di marciare per la libertà di stampa e di opinione sono i primi a calpestare e negare questi diritti a chiunque si opponga ai loro luridi disegni o ne sveli le vergognose trame.