Quando avevamo una classe dirigente sovranista
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Nel 1959 il Financial Times assegnò l’Oscar delle monete alla lira. La ragione? Era la moneta più stabile del mondo e l’unità di conto adottata dall’economia allora più florida del mondo. Il prossimo che vi dice che non potremmo camminare sulle nostre gambe e torneremo ad essere “l’italietta della liretta” invitatelo a studiare un po’ di storia.
Quattordici anni dopo la fine della guerra eravamo i primi al mondo per crescita economica e rivendicavamo con spavalderia il nostro ruolo di regia del Mediterraneo. Enrico Mattei chiudeva accordi con i paesi del Nordafrica e del Medioriente per assicurarci il controllo dei pozzi petroliferi più produttivi e promuovendo contratti vantaggiosi per i paesi target che incentivarono l’emancipazione del terzo mondo emergente e l’affrancamento dal colonialismo residuo.
Cinema, moda, architettura, design, meccanica, tecnologia: il mondo intero restava affascinato osservando il miracolo italiano, che produceva eccellenze in ogni espressione delle abilità umane. Eravamo un modello unico e irripetibile di sviluppo socioeconomico e la nostra classe dirigente lavorava per affermare l’interesse nazionale sopra ogni cosa.
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