La coppa dell'assenteista
Sarà anche un caso estremo quello descritto nel breve articolo di cronaca locale apparso sulla “Stampa” che qui riportiamo, ma la distruzione dei diritti sociali rappresenta certamente una delle tragedie del nostro tempo.
«Quando verso le 10 ho visto che stavano montando una sorta di podio coi pallet e sentito che avrebbero dato dei premi “ironici” ai dipendenti con più assenze mi sono messa a piangere: ero stata operata, ho pensato che poteva capitare a me. Le mie colleghe mi hanno rassicurato e mi hanno detto che non era vero niente, che ci sarebbe stato il classico discorso di auguri prima di Natale, e mi sono un po’ tranquillizzata. E invece ho sentito il mio nome».
A parlare è una delle lavoratrici «premiate» alla rubinetteria Nobili di Suno con la «coppa dell’assenteista». Non ha voluto ritirarla e ha reagito subito: «Ho detto al titolare che era inammissibile che ci trattasse in questo modo, che nessuno si poteva permettere di umiliarci in questa maniera: mi sono alzata dalla sedia, ho fatto un passo e mi sono messa a gridare. Il pianto di prima mi aveva liberato, adesso potevo dire tutto quello che mi sentivo in dovere di rispondere davanti a un gesto così provocatorio. Non so quante volte ho detto che era una vergogna, perché le mie assenze non sono per vacanze ma causate da una patologia certificata».
La donna ricorda che tra 2014 e 2015 ha fatto diversi mesi di mutua: «Le vertebre L3 e L4 – spiega – hanno subito uno schiacciamento. Sono stata operata in neurochirurgia a Novara l’8 maggio scorso. Prima dell’operazione mi ero sottoposta ad una serie di terapie, e così anche dopo l’intervento. Quando sono tornata a lavorare ho dovuto aiutarmi con una sedia, perché il dolore è ancora intenso. Le mie assenze non sono dovute a furbizia o qualcosa di scorretto, ma sono tutte certificate, credo sia un diritto dei lavoratori quello di farsi operare, a meno che ci abbiano tolto anche questo. E quindi non mi aspettavo una cosa del genere, soprattutto un gesto che ha offeso la mia dignità: siamo stati presi in giro davanti a tutti, questo non lo posso accettare e l’ho detto subito, lì in assemblea».
Un altro dei «candidati al podio» risponde mostrando i certificati medici: «Ho un’invalidità riconosciuta al 50 per cento e mi sono state accertate ben sei ernie. I dolori alla schiena sono diventati fortissimi, e li ho curati anche con analgesici e cortisonici. A tutto questo si devono aggiungere problemi familiari sempre per motivi di salute. Non basta tutto questo a giustificare assenze per malattia?»
Al sindacato il lavoratore dice che nel momento in cui è stato chiamato in pubblico era talmente arrabbiato da non riuscire quasi a parlare, poi è esploso, ha gridato «Vergogna!» e se ne è andato verso gli uffici, a chiedere spiegazioni.
C’è anche chi non faceva parte della graduatoria e interviene con una considerazione: «Al termine di questo episodio – dice un terzo lavoratore – ho detto al nostro titolare che ero allibito di fronte a quello che era successo, e che non lo condividevo assolutamente. C’è un’altra cosa però che mi ha amareggiato, ed è stato il fatto che più di duecento persone, che hanno assistito a questa scena, non abbiano aperto bocca».
Solidarietà all’operaia. Attenzione però, al messaggio che La Stampa, il giornale della FIAT, propaga con questo caso. All’arroganza del proprietario l’operaia contrappone certificati medici e interventi chirurgici alla colonna vertebrale, per “ben sei ernie”. Le ernie del disco non sono la causa dei dolori alla schiena, e a parte rari casi non sono una valida indicazione, ma solo un pretesto per interventi ortopedici o neurochirurgici; che studi hanno mostrato peggiorare i dolori e la funzionalità. In uno studio, solo il 26% degli operati era tornato al lavoro, contro il 67% dei non operati. Un chirurgo ortopedico ha giustamente osservato che questa chirurgia andrebbe eseguita solo su chi non ha il mal di schiena (ma ha sintomi, agli arti, di compromissione neurologica).
Al lavoratore con questa storia mediatica viene detto che se ha necessità reale, che non gli viene riconosciuta, di restare a casa, perché è stanco, ha dolori, non si sente bene; o anche se volesse imboscarsi; in entrambi i casi, se non vuole subire sanzioni morali, o se vuole essere in grado di contrastarle con argomenti validi, deve salire e stendersi, come manufatto, su quell’altra catena di montaggio, quella dell’industria medica.
Dove poi può trovarsi intrappolato in situazioni che lo sviliscono come persona, e che lo pongono a rischio di perdere la salute; e con essa a volte alla fine anche il lavoro.
Hadler NM. Stabbed in the back. Confronting back pain in an overtreated society. University of North Carolina Press, 2009.
Welch HG. Less medicine, more health. 7 assumptions that drive too much health care. Beacon Press, 2015.