I repubblicani non hanno patria
Quello che anni fa avremmo chiamato il nostro amato giovane premier precocemente calvo ma che oggi, al 4%, è ex amato, ex giovane, ex premier e pure ex calvo, ha lanciato una delle sue boutade, che boutade non è: “Bisogna fare un unico grande partito alternativo al partito democratico, possiamo chiamarlo… che ne so, ‘repubblicano'”. E, guarda caso, ci ritroveremo con un bipolarismo perfettamente americano di nome e di fatto. Di Pietro direbbe: “Che c’azzecca con la Francia?” C’azzecca, c’azzecca. Anche qui non manchiamo di uomini bassi dalle manie di grandezza spropositate. Infatti Sarkozy, senza preavvisare nessuno dei suoi, annuncia che il suo partito, l’UMP, cambierà nome e si chiamerà Républicains. La prima reazione dei colleghi, ufficialmente ancora gaullisti, anche se De Gaulle probabilmente tornerebbe a Londra per combatterli a cannonate, a questa americanata è stata subito un “no”. Peccato poi che i politici “moderati” alla Juppé son così: di nobili valori nei primi propositi, ma poi Francia o Spagna purché se magna, e con i soliti scambi elettorali hanno votato tutti, compresi Juppé e Fillon, “sì” al nuovo nome americano. Ora sono Les républicains. E quando si frequenta un po’ la sede nazionale del partito e si sente che aria tira, si capisce dove si vuole andare. Per gli eletti UMP il trattato transatlantico è cosa fatta. Anche la parola “Unione europea” non è più di moda: si parla ormai di “Europa delle grandi regioni” e di “Unione transatlantica”. Che dire? Ormai siamo due passi indietro noi sovranisti. Ecco quindi che bisogna anche uniformare le formazioni politiche a quelle americane, in modo che ben presto ci siano solo partiti sovranazionali. Naturalmente i partiti sovranisti non potranno partecipare alle elezioni, a meno che non raccolgano firme in tutti i paesi. Che coincidenza! In realtà, non dovete pronunciare la parola “Stato”, altrimenti Attali vi prende per imbecilli. Non vogliono imporre le stesse leggi a tutti i cittadini: no, sono per la libertà degli individui! A loro non interessa un fico secco di legiferare sui diritti civili, quello che interessa è imporre i propri standard produttivi e finanziari a tutto il pianeta; per il resto degli aspetti quotidiani si rimanda al (udite udite che chicca!) “comunitarismo democratico”, che scompone completamente l’unità del corpo del diritto in funzione della comunità a cui si appartiene. Quindi, per quanto riguarda gli aspetti civili della propria vita (divorzio, eredità, ecc.), ci si potrà rifare al diritto “gallico” o “islamico” a seconda della propria religione o sensibilità. Il diritto pubblico lascia il passo all’arbitrato e le condizioni di lavoro non vengono più normate ma, anzi, negoziate caso per caso o, al limite, posizione per posizione. Nessun tipo più di inquadramento per settore o, peggio, di contratto nazionale. Un post fordismo transatlantico! Per fare questo, naturalmente, occorre una società il più possibile divisa, eterogenea, non compatta, instabile, nella quale ogni sistema di controllo è possibile in nome della sicurezza. Lo so. sembra un articolo da blog complottista, eppure è quanto hanno dichiarato diversi deputati socialisti e dell’UMP.
Io, becero, pensavo che il diritto fosse nato con le Dodici Tavole, per sottomettere tutti i cittadini alle stesse leggi scritte per gli stessi reati; oggi scopro, invece, che ognuno per uno stesso reato può essere giudicato in maniera diversa in funzione della sua appartenenza religiosa, sociale o economica.
Vivendo in Francia, soprattutto in quest’ultimo mese nulla più sembra ormai eclatante. Uno degli eventi più importanti è stato il voto in parlamento della legge sulle intercettazioni, quella che da noi fu stralciata in extremis, che dà di fatto la possibilità a qualsiasi forza dell’ordine di accedere su qualsiasi dispositivo elettronico di qualunque cittadino e scaricare tutti i dati registrati: qualsiasi cittadino sospettato di “creare instabilità o pericolo a riguardo dell’interesse sociale, economico e di sicurezza del paese”. Quindi anche uno sciopero, un’associazione consumatori, una frase su facebook, potrà autorizzare questo pirataggio. Inoltre, non sarà la magistratura a autorizzare o a presiedere a tali controlli, ma gli uffici del primo ministro. Il tutto venduto come fondamentale alla lotta al jihadismo. Premesso che tutti gli attentatori reali e potenziali individuati dalla polizia francese e americana erano tutti già noti alle forze dell’ordine e quasi tutti già condannati (eppure tutti ingiustamente a piede libero), cosa avrebbe aggiunto il fatto di scaricare le foto del loro cellulare? L’attentatore di Charlie aveva reclutato 900 jihadisti francesi dieci anni fa, ed era pure stato condannato per tale atto, eppure Taubira lo fece liberare. Di cosa stiamo parlando? Ma soprattutto: cosa ne sa il primo ministro di chi sono i possibili jihasiti? Nulla! Sa, però. chi sono i suoi avversari politici, chi sono i sindacati e le associazioni scomode. Uno sciopero non é un possibile disordine? Non nuoce agli interessi economici della comunità? E allora ti scarico tutti i dati dal tuo pc, caro sindacalista o oppositore politico, cosi al minimo scopro chi sono i tuoi coorganizzatori, chi partecipa, chi ti finanzia, chi ti sostiene, e in più, magari, scopro anche se hai un amante, vai a trans, ti droghi. Tutti han gridato allo scandalo ma alla fine, tranne il Front National e il Front de Gauche, hanno votato a favore. Grottesco Sarkozy che la mattina del voto indice una conferenza stampa per dire che si è scocciato di essere intercettato, che si tratta di una vera e propria perscecuzione politica (chi vi ricorda?) e al pomeriggio chiede ai suoi di votare la legge. Ma meno male che c’è il ministro alla giustizia Taubira, con un figlio in prigione per omicidio e furto e un altro accusato di violenza sessuale (la mamma però ha cercato di far annullare la sua condanna), presenta un emendamento per chiedere che tale legge non si applichi ai… carcerati! Cioé: per combattere il terrorismo, tutti i liberi e innocenti cittadini possono essere piratati, ma i terroristi in prigione no. Per fortuna, almeno questa volta anche i deputati socialisti han votato contro. Ma questo vi dà la misura di dove stia andando il paese e della moralità delle persone che lo governano.
E mentre si autorizza a sapere qualsiasi cosa di qualsiasi cittadino, scoppia la polemica sul sindaco di Bezieres, Robert Menard, fondatore di Reporters sans frontieres, colpevole di aver citato alla radio una statistica sui propri scolari in base alla loro religione: risultato il 64,6% degli studenti delle sue scuole è musulmano. Che c’è di strano? Ebbene, in Francia i sondaggi che riguardano la religione o la provenienza dei cittadini sono vietati, tranne alcune eccezioni normate. Sono lecite tali statistiche per gli organi religiosi: l’imam può sapere quanti musulmani ci sono a Bezieres, ma non il sindaco. Per i dipartimenti sono ammesse per assegnare gli alloggi popolari, per effettuare una discriminazione positiva, ovvero privilegiare popolazioni straniere rispetto a quelle autoctone. Però non devono essere pubblicate. In realtà, tali statistiche vengono proibite per evitare che si sappia quanti stranieri ci sono in Francia, e in che maniera incidano sulla vita del paese; per evitare che si sappia quanti sono responsabili di crimine, quanti ce ne siano nelle scuole, nelle carceri, quanti beneficiano di aiuti pubblici. E in meno di dodici ore dalle dichiarazioni del sindaco, polizia e magistratura gli sono piombati addosso. Se una qualsiasi prova di tali statistiche fosse stata ritrovata nei suoi uffici, avrebbe rischiato centomila euro di multa, tre anni di prigione e la sospensione immediata dall’incarico. Questa è la libertà di espressione in Francia. Je suis Charlie!
E infatti questo è stato forse il mese in cui, senza più remore, viene alla luce il piano del grand remplacement del popolo francese, destinato a essere rimpiazzato da popolazioni più docili e malleabili. Ormai non c’è settimana in cui la chiesa principale di un paese non venga completamente bruciata nel silenzio dei media. Immaginate la vostra città, il vostro paese in Italia, dove da secoli al centro si erge sempre la stessa chiesa che delinea il profilo stesso della cittadina e la cui vista, come le campane di Pascoli, vi fanno sentire subito a casa, a prescindere dalla vostra fede. Immaginate ora che fra cinque o dieci anni questa chiesa venga completamente bruciata dai nuovi arrivati insieme a una ventina di macchine e al municipio. Poi quella del paese vicino, e poi ancora. Per non parlare delle tombe cristiane, profanate a centinaia ormai ogni settimana: chi ha fatto la Francia, chi è morto per costruirla e difenderla ingiuriato in questo modo! Sempre in questo mese, mentre i socialisti invocano un adattamento della legge sulla laicità rispetto all’islam, quindi di fatto ammettono che l’islam non è compatibile con la laicità della republique, un tribunale della Bretagna ha ordinato di abbattere una statua di Giovanni Paolo Secondo nel piazzale di una chiesa, perché spazio laico!
E in questo clima mercoledì scorso è passata la riforma della scuola promossa dalla ministra berbera dell’istruzione francese, tutt’oggi al centro delle polemiche. Tolti definitivamente il latino e il greco dai licei, tolti dai programmi obbligatori di storia, dopo Luigi XIV e Napoleone, anche gli illuministi e la storia cristiana medievale, compreso Carlo Magno e Luigi IX. Ma diventa obbligatorio l’Islam, almeno dieci ore all’anno. E si badi bene: non la storia della civiltà islamica o delle conquiste islamiche ma l’islam religione tout court. Per la prima volta da due secoli, l’école laique publique impone l’insegnamento di una religione. Come definireste voi questo fatto se non il più spudorato tentativo di riscrivere il dna di un popolo? E per chi avesse dubbi sulle buone intenzioni del ministro, arriva il finale con il botto: il 20% delle ore di lezione (in parte tolte a francese e matematica) dev’essere scelto dai docenti “in funzione dei quartieri e delle popolazioni che vi abitano”. Lo Stato riconosce ufficialmente che non esiste più un solo popolo con una sola lingua ma tante popolazioni, addirittura divise per quartieri, ognuna con la sua storia e la sua lingua. Anzi no, perché nello stesso testo di legge vengono soppressi i licei bilingue tedeschi, di fatto presenti in gran parte in Alsazia e in Lorena. Dunque tali riforme non sono varate per promuovere le diverse comunità, ma per sopprimerne alcune al vantaggio di altre. E quando si sentono le interviste del ministro, rilasciate in arabo ai media maghrebini, non si hanno dubbi sui suoi fini. Del resto, se il tedesco va in soffitta, l’arabo si potrà ancora scegliere nelle scuole, almeno per ora. Di fatto, è insegnato in quasi tutti gli istituti del paese, subito dopo l’inglese e a differenza delle altre lingue come l’italiano, lo spagnolo, il tedesco, diventando spesso l’unica opzione possibile. Ora in un paese come quello di Bezieres il 65% di alunni musulmani quali corsi sceglieranno nel 20% del loro tempo? Quale seconda lingua sceglieranno? Come si fa integrare il 65% di studenti arabi con il 5% di francesi? E con chi deve integrarsi l’altro 30% di origine straniera? Magari qualcuno ha la risposta.
Quando nell’articolo pubblicato due mesi fa dicevo che Roubaix era abitata al 70% da musulmani, mi si fece osservare che su wikipedia solo il 16% era dato per straniero. Ma visto che si diventa cittadini francesi dopo cinque anni, quel 16% erano solo gli stranieri residenti lì da meno di cinque anni, senza contare gli irregolari. Ebbene, la settimana scorsa alla radio (chissà perché non in televisione!) si è molto parlato del caso limite dell’unica famiglia bianca, col padre in cassa integrazione, rimasta in un quartiere a Roubaix e mandata a vivere in un Hotel dal comune. Le è stato consigliato dalla polizia di trasferirsi altrove, dopo avere subito di tutto: macchine, porte e finestre bruciate e furti tutte le settimane (hanno portato via tutto, anche i giochi dei bambini, gli elettrodomestici, i vestiti, le bici). In realtà, si tratta della solita tecnica che si usa anche nelle banlieux di Parigi quando si vogliono fare sloggiare gli ultimi bianchi o cinesi per farvi restare una sola comunità africana. E tutti che si scandalizzano sui giornali, quando i casi nella regione parigina sono migliaia! A me ricorda molto la sorte degli indios in America e in Australia. Oops, censura!
Ma questo è stato anche il mese dei Le Pen. Se Marine ha detto in pubblico di volere la “morte politica” del padre, dopo avergli sospeso al carta del partito e indetto un congresso per ritirargli il titolo di presidente d’onore, è la figlia che rischia adesso di essere uccisa dal padre, che sta pensando di creare un suo partito. Mitterand fece prosperare il Front National per togliere voti al partito di centro destra, l’RPR di Chirac; del resto, la stessa cosa da noi fece il PCI, che votò per mantenere il MSI perché toglieva voti alla DC.
Marine è tranquilla, Philippot le ripete che al massimo l’FN perderà il 2% ma guadagnerebbe fra il 4 e l’8% dalla fuoriuscita dell’ingombrante Jean Marie e delle sue frasi imbarazzanti.
Io non sarei così sicuro non tanto dei voti guadagnati, quanto di quelli persi. Oggi tutti cantano il successo del Front National di Philippot e Marine, ma non bisogna dimenticare che con Jean Marie il partito era al 17%, non al 2%, e che con gli avvenimenti di questi ultimi anni anche Jean Marie avrebbe guadagnato qualche punto, magari non fino al 30%. Ma almeno 2/3 dei votanti del Front hanno più le idee del padre che della figlia. Quando, per rassicurarla, le dicono che il padre ha 86 anni e soprattutto non ha quadri e dirigenti su cui contare, si dimenticano che, di fatto, tutti i dirigenti del Front National sono stati cacciati negli ultimi quattro anni e hanno tutti il dente avvelenato con Marine. Di certo, se avessero la possibilità di fargliela pagare non esiterebbero. Altra cosa è poi la base: ci son cose che si sanno e cose che non si sanno del Front. Fin dove Jean Marie è disposto a sputtanare non si sa; per adesso dice che fonderà un’associazione ma non un partito: il fine è restare all’interno del Front, diventato per lui ormai un partito “socialista eterofobo”, per ricambiarne la rotta. Chi vivrà vedrà! Intanto, se da un lato nei sondaggi l’FN arriva al secondo turno delle presidenziali in ogni caso e Marine è data vincente al ballottaggio con Hollande, questa storia ha fatto scendere di quattro punti l’indice di gradimento.
Dulcis in fundo, i perdenti della civiltà globale e nazionale sono comunque sempre gli stessi: i Francesi che lavorano e che hanno il gran privilegio di avere un’auto per andare a lavoro, soprattutto perché fuori Parigi i mezzi pubblici, a suon di tagli, ormai non esistono più: ebbene, per far cassa ancora guerra agli automobilisti, gli unici criminali contro cui lo stato francese osa far guerra. Dall’altro ieri sono state triplicate le telecamere sui semafori e sulle corsie degli autobus, solo a Parigi 300 km in più di strade controllate in un solo giorno, limiti di velocità sulle interurbane abbassati da 90 a 80 km/h, per adesso in prova su tre assi e poi su tutto il paese. Installati nuovi tipi di autovelox capaci di dire in tempo reale tutte le multe accumulate su quella targa: se il conducente non regola immediatamente la sua posizione, ritiro immediato del veicolo. Sulla tangenziale di Parigi il limite è stato portato addirittura a 70 km/h con autovelox ogni chilometro. La scusa era ridurre l’inquinamento: le prime analisi mostrano il contrario, ma il sindaco ecologista di Parigi non torna indietro, preferisce inquinare di più e fare più multe. Ah i valori della sinistra morale! Ultima chicca: l’uso degli elicotteri militari non è più autorizzato per inseguire gli autori di crimini come l’omicidio, il furto o la violenza, ma solo in caso di attentati o sequestri. E’ tuttavia concesso per inseguire auto che hanno commesso infrazioni al codice stradale e che non si sono fermate al posto di blocco. Se avete ucciso un bambino e scappate non si può richiedere l’elicottero, ma se siete stati multati dall’autovelox a 140 km/h in autostrada e all’uscita non vi fermate al controllo, l’elicottero può intervenire.
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