I novelli “vastasi “, ovvero del caporalato scolastico
Un contributo di Raffaele Salomone Megna, dell’ARS Campania [gm]
Agli inizi degli anni Cinquanta, nell’immediato dopoguerra, nel centro di Benevento (e precisamente in piazza Orsini nei pressi del palazzo arcivescovile) si svolgeva un sordido mercato delle braccia, quello dei vastasi.
I vastasi erano i giovani delle classi più umili, che venivano ceduti dai propri genitori in affitto ai proprietari terrieri per intere stagioni. Erano scelti dai padroni di turno in base alla possanza fisica, dovendo essere impiegati nei lavori più degradanti e faticosi. Erano sovente coperti di soli stracci e non avevano alcuna tutela. Lavoravano dal sorgere del sole sino al tramonto.
Contro tale mercimonio, che era incompatibile con la neonata repubblica democratica italiana fondata sul lavoro, insorse un caro amico di mio padre, socialista anch’egli, l’avvocato Francesco Romano, “Ciccio” per gli amici. Egli denunciò sulla stampa nazionale ed internazionale tale scandalosa situazione, che era sotto gli occhi di tutti nell’indifferenza generale. Il clamore destato dalla denuncia e la determinazione del compianto “Ciccio” e di mio padre, all’epoca consigliere comunale di Benevento per il Fronte Popolare, condussero nel giro di pochi mesi all’eliminazione dello scempio denunciato.
Il disegno di legge “contro la scuola“ n. 2994 ci riporta d’emblée a quegli anni in cui l’Italia muoveva i primi passi in una incerta democrazia: tra i suoi aspetti più riprovevoli e detestabili, oltre al malcelato ricatto sulle assunzioni dei precari, vi è proprio l’idea di società sottesa. Scompare qualsiasi visione solidaristica, si accetta che il più forte prevalga in una sorta di darwinismo sociale, per cui il ricco diventa più ricco mentre tutti gli altri diventano sempre più poveri. Bellum omnium contra omnes!
La Costituzione italiana è letteralmente stravolta, viene meno il patto sociale che la ispira; il disegno di legge 2994 è strettamente funzionale alla società iperliberista che si va così delineando dopo il Jobs Act e che si fonda su tre capisaldi: controllo dell’inflazione, della stabilità dei prezzi e delle finanze pubbliche. Costi sociali a parte! Il lavoro non ha più una dimensione etica, ma diventa una merce qualsiasi, sulla quale unicamente si scarica il costo della crisi, non essendo possibili manovre anticicliche. La disoccupazione, i salari bassi, le minori tutele sono tutte scelte funzionali a questa impostazione macroeconomica (vedere per credere la “curva di Phillips”).
In questa società i disoccupati sono visti come lavoratori in transito, che passano da una occupazione ad un’altra più remunerativa, e non come cittadini da tutelare con una rete di assistenza. Anche il mercato dei vastasi è ora accettabile: i nipotini di von Hajek, che in Europa in generale ed in Italia in particolare stanno producendo disastri inenarrabili, sono invece convinti che la mano invisibile del mercato alla fine riallocherà le risorse nel miglior modo possibile (“migliore” per chi?) e quindi vanno avanti senza tentennamento alcuno (Renzi non è uomo del dubbio!).
Devono solamente continuare a fare le riforme, che significa smantellare quello che resta dello stato sociale e delle garanzie costituzionali.
Ma questo è solo teoria smentita dalla storia e dai fatti. La dottrina macroeconomica su cui si fonda tutta l’Unione Europea di Maastricht era vecchia già quando nel 1946 fu sostituita nelle nuove Costituzioni degli stati europei che si erano affrancati dal nazifascismo, dal principio di solidarietà e di eguaglianza fattuale.
Ma una scuola funzionale a questa società iperliberista non può non incentrasi sul caporalato scolastico, creato artatamente con l’introduzione dei cosiddetti “albi”. I docenti non avranno più la titolarità in un istituto, anche in presenza di cattedra, perché ogni tre anni saranno rimessi nel calderone degli albi e dovranno essere scelti da un dirigente.
Come novelli vastasi dovranno mostrare la loro possanza e capacità di svolgere tutte le mansioni, anche le più umili, per farsi scegliere dal dirigente-caporale e rimanere così nella propria scuola, altrimenti saranno spostati altrove e non ci sarà più alcuna graduatoria che tenga. Il criterio? Ad libitum! Un vero e proprio sistema coercitivo (ti mando lontano da dove abiti!) verrà praticato su coloro che non vorranno adeguarsi alla didattica imposta dal dirigente-manager. Il meccanismo è nel contempo semplice e brutale: si controlleranno gli ottomila “presidi“, i quali avranno gli strumenti per controllare gli ottocentomila docenti. Nasce la scuola di regime anche grazie all’aggiornamento obbligatorio controllato a livello centrale. Il corpo degli ispettori, dei quali è previsto il potenziamento, sarà il braccio secolare.
Questo è un colpo durissimo alla libertà di insegnamento che solamente un gruppo di nominati, senza alcun mandato elettorale, impregnati di iperliberismo (forse), potevano infliggere, ovviamente con il beneplacito della Confindustria, della BCE e della Commissione Europea. Tutti tradendo il programma elettorale, in base al quale avevano raccolto i suffragi nelle elezioni politiche del 2013! Da docente afflitto e vilipeso mi verrebbe proprio da dire: “Signore, perdona loro, perché non sanno quel che fanno“. Sicuramente la storia non li assolverà.
Raffaele Salomone Megna – ARS Campania
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