Il populismo, la democrazia diretta, la strada dell’ARS
Un contributo di Giampiero Cinelli, dell’ARS Lazio [gm]
In questo mio pezzo intendo rielaborare in chiave sovranista – alla luce di una progressiva riflessione e presa di coscienza – concetti che poco tempo fa avevo analizzato sul web in un mio blog, che ad oggi non è più attivo. Mi capitò di imbattermi in una interessante definizione di populismo, data dall’intellettuale americano Noam Chomsky in occasione di un’intervista rilasciata al sito “BeppeGrillo.com” nel 2007.
Chomsky così dice: “Populismo significa appellarsi alla popolazione … pensano che la popolazione debba essere tenuta lontano dagli affari pubblici. Pensano che la popolazione debba essere spettatrice e non partecipe … E’ chiaro, quindi, perché le persone al potere non agiscono secondo i desideri della popolazione”. Poi prosegue così: “Penso che la vera democrazia sarebbe molto più funzionante senza quelli che chiamiamo partiti politici, che funzionano solo come macchine per la produzione di candidati. Cosa dovrebbe accadere in una democrazia vera? La gente si radunerebbe pubblicamente e deciderebbe quale politica preferisce e direbbe ai candidati: ‘Questa è la politica che desideriamo, se sei in grado di portarla avanti bene, altrimenti vai a casa’. Questa sarebbe una democrazia effettiva”.
Dalle parole di Noam Chomsky emergono chiaramente i seguenti elementi: il suo concetto di populismo ha un significato del tutto diverso da quello usato comunemente nei dibattiti politici (specie quelli di casa nostra) e, fondamentalmente, credo che questa sua interpretazione si possa qualificare pure in altro modo. Per intenderci, il termine “populismo” sopra citato può identificarsi anche come la prassi del relazionarsi con i bisogni della popolazione, approccio di certo attuato anche nei sistemi di democrazia rappresentativa. Appare quindi una forzatura il voler a tutti i costi accostare solo a un progetto di democrazia diretta la capacità di creare un’armonia tra classe politica e cittadini.
Inoltre, il tipo di democrazia diretta che emerge da quel brano dell’intervista assomiglia tanto alle modalità di cui abbiamo testimonianza nella Grecia antica, precisamente ad Atene dal 400 al 320 a.c., periodo in cui effettivamente c’erano nuclei di cittadini in grado di partecipare alle decisioni pubbliche, soprattutto di determinare l’allontanamento di politici a loro risultati inadeguati attraverso il celebre “ostracismo”. Degli esempi perciò esistono, e tutto quello che è stato fatto in passato è replicabile, ma è altresì ingenuo desiderare forme politiche in vigore migliaia di anni fa in una società diversa sotto tutti punti di vista, in contesti ristretti e non globalizzati, ma soprattutto in sistemi non complessi come quelli di oggi, dove tra l’altro non era ancora nata l’economia di stampo neo-capitalistico.
In realtà Noam Chomsky è ben consapevole delle problematiche strutture nelle quali siamo immersi e anch’egli è un deciso critico del mondo attuale. Tuttavia è stucchevole che egli arrivi a pensare che, eliminando il legame tra i partiti politici e il potere finanziario, come per magia la cittadinanza diventerà immediatamente immune da quegli impulsi, quei luoghi comuni, quei presupposti culturali che hanno inevitabilmente a che fare col pensiero unico liberista. Tale pensiero, infatti, è divenuto ormai una rappresentazione della realtà che pre-esiste alle organizzazioni partitiche. Perché mai un singolo individuo non potrebbe essere allo stesso modo fallace, privo di slancio, arido proprio come un grande partito globalista e aziendalista?
Non dimentichiamo che lo spirito moderno non è instillato unicamente e direttamente dai soggetti politici ma è una trama perfettamente radicata nei settori delle tele-comunicazioni, nell’industria culturale, nei costumi della gente e nei suoi valori, addirittura nel modo che ha la gente di giudicare l’operato degli altri individui: in sostanza, nella gestione del proprio stare al mondo. Mi resta quindi difficile ritenere che le idee dominanti del nostro tempo si reggano unicamente grazie alla volontà politica e non siano intimamente assimilate dalle persone. Anzi, forse è, al contrario, l’anima generale che ha dato vita a questa forma di politica.
Di conseguenza, nessuno può negare già da ora che una società più liquida e meno ancorata ai procedimenti istituzionali non sarà vittima degli stereotipi, non cadrà in errori già fatti e che i suoi gruppi di portavoce non potranno comunque cedere alla tentazione di soddisfare interessi ristretti, nonché di venire strumentalizzati.
Occorre allora smetterla di procedere in modo sconclusionato, farla finita col vaneggiare scenari che forse andavano bene all’epoca di Socrate ma che al momento non rispondono alle esigenze di una società malata e difficile da gestire. E’ necessario costituire nuovi partiti politici. Partiti che certo non siano più espressione delle lobbies, che portino avanti sentimenti rivoluzionari e rimangano attaccati alla funzione originale per cui nascono: cioè farsi rappresentanti della popolazione non soddisfacendo gli umori, gli istinti, le visioni di breve termine e le scelte condizionate da singoli frangenti ma, anzi, programmando, offrendo un’idea da costruire, un risultato da raggiungere non subito ma con pazienza.
I nuovi partiti dunque dovranno perseguire l’interesse pubblico, ovvero rappresentare una somma di interessi amalgamati in una lucida sintesi virtuosa. Proprio quella sintesi virtuosa che la democrazia diretta non sarà mai in grado di realizzare.
Giampiero Cinelli – ARS Lazio
Commenti recenti