L'Unione europea genera guerre civili
Un articolo pubblicato su Appello al Popolo il 4 novembre 2012, dedicato al tema della indipendenza della Catalogna
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L’Unione europea instaura un regime di guerra permanente. Dapprima concorrenza tra imprese non mediata dagli Stati. Poi guerra di classe necessaria per l’esigenza di ricorrere alla deflazione salariale. Poi guerra ideologica contro lo Stato, accusato ingiustamente di essere il responsabile della crisi; poi guerre civili all’interno degli stati, minati nella loro unitarietà dal venir meno della coesione sociale e territoriale generato dal mercatismo unionista. E non è impossibile che alla resa dei conti, una volta implosa l’Unione europea, restino gravi conflitti politici tra nazioni, in ragione dei debiti esteri, privati e pubblici.
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In Spagna, in settembre, le vendite al dettaglio sono crollate del 10,9% annuale destagionalizzato. Un crollo enorme. Tra le cause c’è certamente la recessione che dura da oltre due anni ma c’è anche la “cura” suggerita dall’Unione europea. In particolare l’aumento dell’IVA: l’aliquota ordinaria è aumentata dal 18% al 21%; quella speciale dall’8% al 10%;ed è stata prevista l’applicazione dell’aliquota ordinaria, anziché di quella speciale, come in precedenza, per molti beni e servizi.
Ma la causa principale del crollo delle vendite al dettaglio è che la Spagna si è auto-dissolta come Stato, aderendo all’Unione europea. La moneta spagnola non si svaluta, anzi non esiste. Pertanto non è possibile promuovere le esportazioni e la produzione interna – con la svalutazione i beni strumentali spagnoli costerebbero molto meno rispetto a quelli stranieri e sarebbero preferiti dalle industrie spagnole: la svalutazione non promuove soltanto le esportazioni ma anche la produzione interna. Inoltre, le chiusure che sarebbero necessarie per politiche espansive (per chiusure intendo le limitazioni alla circolazione dei fattori produttivi) non sono consentite dall’Unione europea; dunque le politiche espansive non sono possibili o efficaci.
L’ingenuo o il finto ingenuo potrebbe obiettare: la Spagna sta pagando le conseguenze della bolla immobiliare.
Ma è agevole replicare con domande retoriche: la Spagna poteva limitare l’afflusso di capitali negli anni in cui è cresciuta la bolla? No, non poteva. L’unione europea non lo permetteva.
La Spagna poteva programmare la direzione dei capitali, indirizzandoli verso settori produttivi, anziché interamente nel settore immobiliare? No, non poteva, perché sarebbe incorsa in violazioni dei divieti di aiuti di stato o in limitazione della circolazione dei capitali (e non è detto che Germania e Francia li avrebbero elargiti tanto facilmente). L’Unione europea ostracizza ogni forma di programmazione economica e fa del territorio europeo uno “spazio aperto senza frontiere” dove deve svolgersi la lotta tra capitali nella forma consueta della deflazione salariale (e dei redditi da lavoro tutti).
D’altra parte, se la Spagna avesse avuto una moneta propria, soggetta a svalutazione nei confronti dell’euro, i capitali sarebbero affluiti in misura molto minore, perché il capitale prestato all’estero (nel nostro caso da Germania e Francia) ha il terrore della svalutazione (come quello prestato all’interno di uno stato ha il terrore dell’inflazione). Ma la Spagna non aveva una moneta propria.
Dunque l’Unione europea è stata la causa della crisi (ferme le responsabilità della nullità Zapatero), sta causando il crollo della nazione (non della sola economia nazionale spagnola) ed è ostacolo insuperabile per ogni possibile ripresa.
La disoccupazione ufficiale spagnola è arrivata al 25% ma tutte le politiche utili in questa grave situazione e volte a promuovere l’occupazione – politiche le quali tendenzialmente coincidono con quelle che sarebbero necessarie ad evitare il crollo del mercato interno e a promuovere la ripresa – sono impossibili e vietate dall’Unione europea. Nemmeno il ricorso all’arma con la quale la Germania ha vinto la guerra fratricida, combattuta nell’ultimo decennio, è possibile: una grave deflazione salariale genererebbe il crollo della domanda interna, anche perché la Spagna non disporrebbe, a causa dei divieti dell’Unione europea, di mezzi per indirizzare produzione e consumo verso il mercato interno.
Dentro l’Unione europea la Spagna è spacciata. Nei prossimi due anni subirà il crollo del PIL e si troverà nella situazione greca, anche se con un debito pubblico (inizialmente) inferiore ma destinato ad aumentare continuamente. Ma i problemi non finiscono qua. Anzi con il crollo delle produzione i problemi cominciano. La Spagna, a differenza della Grecia, ha da tempo territori che aspirano all’indipendenza e, come è logico, le gravi crisi economiche allentano la coesione sociale e territoriale e rinsaldano enormemente le aspirazioni indipendentistiche.
Infatti, uno o due milioni di catalani hanno manifestato chiedendo l’indipendenza della catalogna (le fonti forniscono le due cifre ma si tratta comunque di tantissima gente: complessivamente i catalani sono sette milioni e mezzo). L’esercito spagnolo ha reagito con dichiarazioni molto dure ma ovvie. Il colonnello Francisco Alaman ha descritto i catalani come “avvoltoi” e ha avvertito: “L’indipendenza della Catalogna? Dovranno passare sul mio cadavere. La Spagna non è la Yugoslavia od il Belgio. Anche se il leone sta dormendo, non svegliatelo perché potrebbe tirar fuori una ferocia collaudata da secoli“. E “il Tenente Generale Pedro Pitarch ha dichiarato che le parole di Alaman riflettono “il pensiero profondamente radicato in gran parte delle forze armate” (1). Inutile dire che gli indipendentisti hanno precisato di voler creare un altro stato “dentro l’Unione europea”.
Ingenuo rimanere stupiti dinanzi alle dichiarazioni dell’esercito spagnolo, che è tenuto, in forza della costituzione, a difendere l’unità della Spagna. Chi tifa per gli indipendentisti catalani – del tutto legittimamente: si tratta di una opinione come le altre – tifa per la vittoria in una guerra civile. La storia insegna che l’indipendenza si conquista o si tenta di conquistare quasi sempre con guerre di indipendenza. E le guerre di indipendenza e in genere le guerre civili sono tradizionalmente le più cruente.
Ora si dà il caso che chi scrive aveva previsto questo effetto dell’Unione europea, il quale è nella logica delle cose. Non si può volere l’Unione europea, con gli squilibri che essa genera, senza voler assumere il rischio (o, addirittura, senza desiderare) che gli Stati, perduta la possibilità di porre fine a gravi crisi economiche, vedano diminuire progressivamente la coesione sociale e territoriale, con il conseguente stimolo di tendenze politiche all’indipendenza e in generale di posizioni politiche che scambino la salvezza con la fuga. Avevo scritto nella introduzione al mio personale manifesto, con il quale mi sono presentato per accedere alle catacombe di internet: “Intanto il tempo trascorre e la soluzione jugoslava alla crisi della Repubblica comincia a intravedersi all’orizzonte, non certo come necessità ma comunque come possibilità”. Ero stato pessimista, lo confesso. Infatti, guardavo all’Italia e al venir meno, in modo evidente e palpabile, della coesione territoriale e sociale generato dall’Unione europea. Non avevo considerato che ben prima dell’Italia sarebbe crollata la Grecia e soprattutto la Spagna. Dobbiamo proprio attendere che la tragedia spagnola esploda per comprendere i rischi che corriamo? E non vogliamo sentirci europei in senso nobile – in questo senso certamente mi sento europeo – da voler evitare la tragedia spagnola?
L’Unione europea instaura un regime di guerra permanente. Dapprima concorrenza tra imprese non mediata dagli Stati. Poi guerra di classe necessaria per l’esigenza di ricorrere alla deflazione salariale. Poi guerra ideologica contro lo Stato, accusato ingiustamente di essere il responsabile della crisi; poi guerre civili all’interno degli stati, minati nella loro unitarietà dal venir meno della coesione sociale e territoriale generato dal mercatismo unionista. E non è impossibile che alla resa dei conti, una volta implosa l’Unione europea, restino gravi conflitti politici tra nazioni, in ragione dei debiti esteri, privati e pubblici.
Ancora una volta, il buonismo rivela la sua indole malefica. L’europeismo buonista potrebbe rivelarsi la fonte di una tragedia europea di proporzioni immani.
(1) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10912. Si legga anche – per le informazioni, non certo per le valutazioni buoniste e pseudo-democratiche (cosa preveda la democratica costituzione spagnola non interessa agli pseudo democratici buonisti) – http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10959
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