Governare la transizione
di Guido Cosenza
Fonte: megachip
È patrimonio di un numero crescente di persone la consapevolezza che il tracciato che si delinea per la comunità umana sia destinato a infrangersi contro ostacoli invalicabili e che l’impatto sarà devastante.
Più precisamente si percepisce che il carattere intrinseco del modello imperante di sviluppo è il gigantismo e che non è emendabile. L’abnorme organismo si è propagato a guisa di un immane ectoplasma e ha riplasmato in un sistema globale a carattere tumorale tutto ciò che ha ingurgitato.
Ci si chiede se sia possibile arrestare la crescita e rendere l’attuale comunità in espansione compatibile con un ecosistema limitato il cui equilibrio è affidato a un complesso sistema di bilanciamenti fra cicli biologici e fisici in interazione. La risposta si prospetta negativa a meno che si attui una profonda trasformazione dell’orditura sociale e che si alterino le finalità attuali della produzione, si attenui il volume dei manufatti confezionati e soprattutto si modifichi la distribuzione del prodotto sociale. Urge abolire l’attuale dispositivo di distribuzione regolato dal mercato.
Questa profonda rivoluzione che ovviamente condurrebbe a un ribaltamento di tutti i rapporti sociali è incompatibile con la struttura attuale della produzione e con tutte le istituzioni che ne salvaguardano l’assetto.
Ogni tentativo di riduzione della produzione porta fuori equilibrio il sistema attuale e fa immediatamente intervenire i dispositivi di compensazione.
Cercheremo di chiarire sinteticamente come nasce l’incompatibilità strutturale dei tentativi di contrazione della configurazione economica e sociale raggiunta dalla comunità umana.
In un ambito in cui il mercato è dominante e le merci si confrontano e si combattono in campo aperto si sperimenta una sollecitazione tecnologica e una spinta verso forme di riorganizzazione della produzione ambedue dettate dall'esigenza della riduzione del contenuto di forza lavoro nella fabbricazione dei beni di consumo.
Il fenomeno implica che di continuo lavoratori vengano espulsi dal ciclo produttivo. Se non si verificasse un continuo accrescimento del comparto industriale i profitti sarebbero destinati a calare e la massa dei consumatori a contrarsi, di conseguenza si accentuerebbe il declino della produzione in un crescendo che porterebbe inizialmente alla recessione e poi al crollo.
L’esigenza del ritorno alla piena occupazione e del contestuale ripristino del volume dei profitti è all’origine della spinta espansiva.
La società industriale non ammette riduzioni e infatti le politiche di tutte le articolazioni del sistema sono indirizzate alla implementazione dei valori dei parametri caratteristici dell’organismo socio-produttivo.
L’articolazione sociale che si è consolidata in seguito alla rivoluzione industriale è andata costituendo una serie di dispositivi di salvaguardia, veri e propri strumenti di difesa e di attacco rafforzatisi e perfezionatisi col tempo.
L'efficacia della strumentazione elaborata è stata potenziata in decenni di sperimentazioni e il formidabile apparato difensivo si è strutturato in un complesso di norme e di prescrizioni sostenute da dispositivi coercitivi che va sotto il nome di democrazia.
Questa invalicabile barriera di protezione comprendente un coacervo di leggi e organi di gestione e repressione costituisce il più potente baluardo a difesa di un ordinamento divenuto incompatibile con lo sviluppo della comunità.
Gli strumenti che sono andati forgiandosi lungo tutto l’arco del consolidamento della società industriale si sono perfezionati e strettamente conformati a fungere da baluardo dell’attuale assetto sociale caratterizzato da tutte le insipienze, distorsioni e incongruenze del privilegio da garantire. E’ impensabile usare la stessa strumentazione ad uso ribaltato. Ogni strumento è adatto quasi esclusivamente all’impiego per cui è stato ideato.
La conclusione delle riflessioni che precedono indicano che non è assolutamente realistico pensare di valersi degli istituti della cosiddetta democrazia per innescare l’improcrastinabile modifica del tessuto connettivo della nostra comunità, operare la transizione che si è resa necessaria a salvaguardia dell’equilibrio del sistema.
Si badi bene il fenomeno a cui stiamo assistendo e da cui siamo travolti, pur essendone protagonisti, non è un evento particolare della nostra specie, non c’è nulla da inorgoglirsi. Tutte le specie che sono scomparse hanno sperimentato una fase analoga di declino. Si rifletta sulla circostanza che circa due milioni di anni è il valore calcolato per la vita media delle specie fino a ora estinte sul pianeta terra, e tale è anche più o meno l’estensione del percorso temporale fin qui seguito dall’animale uomo.
E c’è di più, sono stati proprio gli strumenti che hanno favorito il successo delle specie a essersi infine il più delle volte ritorti contro di essa, così come ora l’intelligenza opera contro il prosieguo del tragitto dell’uomo, intelligenza che paradossalmente lo aiuta a comprendere ma non ad arrestare la sua fatale disavventura.
Dunque non è pensabile di penetrare e di valersi delle istituzioni per correggere la traiettoria. Non ci salvano elezioni, parlamento, partiti. Occorrono percorsi totalmente antitetici, antagonisti.
Chi intende cambiare, ed è un popolo in crescita, lo ha capito, o meglio intuito inconsciamente, assorbito. Rappresenta una massa amorfa i cui componenti si spostano disordinatamente modificando di continuo a caso la direzione del moto. Questa moltitudine non partecipa più all’istituto delle deleghe a rappresentarla in organismi che lavorano contro di essa a salvaguardia di privilegi che conducono allo sfascio.
Tuttavia si dispiegano sul territorio alcune ristrette aree di tessuto rigenerato in cui si sperimentano nuove forme di convivenza civile. Ce ne sono una miriade in giro per il mondo.
Quando si annuncia una transizione, quando è maturo il passaggio di un mezzo materiale a una nuova fase fisica – un liquido che si accinge a passare alla fase gassosa – si formano nel corpo del fluido una serie di piccole bolle che lentamente si dilatano fino a invadere l’intero volume.
Ebbene quelle piccole aree di tessuto nuovo nel corpo della società sono destinate a dilatarsi e a dilagare sostituendosi alla orditura obsoleta.
Indizi di estensione delle aree non si colgono ancora.
A mio avviso il compito che si addice all’obiettivo che ci proponiamo è di penetrare queste areole, partecipare alle sollecitazioni che tendono a espanderle, contribuire alle loro interconnessioni senza attendere che sia l’aumento della temperatura l’unico agente del passaggio di stato, altrimenti si rischia che l’ebollizione prenda corpo in forma turbolenta provocando una disastrosa opera di distruzione.
Una parte di coloro che intendono impegnarsi nell’opera di rigenerazione del tessuto non più idoneo a sostenere l’organismo comunitario giunto al presente livello di sviluppo propongono di insinuarsi negli istituti di gestione e repressione retti dai custodi dell’ordine costituito.
È una metodologia atta a distogliere energie preziose dall’arena in cui si contrappongono le schiere impegnate in una lotta senza scampo da cui non emergeranno perdenti, o vinceranno tutti o tutti periranno.
Non è più tempo di alimentare disegni storicamente sconfitti. Voler costruire partiti da gettare nell’agone elettorale è profondamente fuorviante. Gli strumenti della democrazia hanno una forza d’attrazione inarrestabile e una capacità di corruzione a cui non è possibile sottrarsi. Le grandi figure astensioniste del passato lo avevano ben compreso.
Occorre lavorare sul territorio, impegnarsi a rompere le connessioni della struttura che incombe e intrecciare nuovi nessi e correlazioni.
La partecipazione alle elezioni può essere uno svago, non più che una occasione di incontri, ma solo per demistificare la sua funzione e mettere in guardia dai protagonisti che calcano da sempre la scena. Le testimonianze dei disastri che la classe politica determina vanno raccolte diversamente.
Non con la presenza nei luoghi in cui viene perpetrato il delitto.
È irrealistico pensare di accedere alla casta e non risultarne contaminato. La penetrazione nelle roccaforti nemiche, la presenza esigua nel territorio avverso, prefigura una lunga coabitazione, l’assuefazione alla consuetudini, ai riti, e genera un prolungato distacco dai compagni di viaggio. Il processo è sempre culminato con la cooptazione.
______________________
Guido Cosenza, fisico, è coautore, assieme a Giulietto Chiesa e Luigi Sertorio di La Menzogna Nucleare, Ponte alle Grazie, 2010.
Il presente articolo è un contributo al primo incontro nazionale di Alternativa, il prossimo 17 aprile a Roma.
La proposta non mi persuade. Concordo con la pars destruens, relativa ai limiti della democrazia rappresentativa. Ma al rischio della cooptazione si può sfuggire anche con la formazione di un partito estremista ossia che si ponga all'altro estremo del "partito unico delle due coalizioni": un partito destinato per un bel pò a restare minoritario ma che sappia esprimere un pensiero "attuale" e elite dirigenti in grado di far crescere progressivamente il consenso. La storia potrebbe venire in soccorso di questo partito. Le iniziative nei luoghi sono eterogenee, estemporanee e perciò sebbene fondamentali, non sufficienti. In politica resta fondamentale il detto "bisogna prendere il potere". Se al buonismo radical chic affianchiamo un buonismo decrescista decidiamo di non partire. La proposta di un partito estremista mira, invece, a partire. Non è detto che si riesca a salire sul palcoscenico (i media ufficiali) che consente di formare l'opinione pubblica, né è detto che in caso positivo si tiri fuori dal cilindro l'Osama Bin Laden (se si preferisce il Mazzini) dell'umanesimo socialista e comunitario italiano. Ma questa è la strada che non ha alternative.