Primo discorso di Mazzini al suo arrivo a Roma (marzo 1849)
Se le parti dovessero farsi qui tra noi, i segni di applauso, i segni di affetto che voi mi date, dovrebbero farsi, o Colleghi, da me a voi, e non da voi a me: perché tutto il poco bene che io ho, non fatto, ma tentato di fare, mi è venuto da Roma.
Roma fu sempre una specie di talismano per me: giovanotto, io studiava la storia d’Italia, e trovai che mentre in tutte le altre storie tutte le nazioni nascevano, crescevano, recitavano una parte nel mondo, cadevano per non ricomparire più nella prima potenza, una sola città era privilegiata da Dio del potere di morire, e di risorgere più grande di prima ad adempiere una missione nel mondo, più grande della prima adempiuta.
Io vedeva sorgere prima la Roma degl’imperatori, e colla conquista stendersi dai confini dell’Africa ai confini dell’Asia: io vedeva Roma perir cancellata dai barbari, da quelli che anche oggi il mondo chiama barbari; io la vedeva risorgere, dopo aver cacciato gli stessi barbari; ravvivando dal suo sepolcro il germe dell’incivilimento; e la vedea risorgere più grande a muovere colla conquista non delle armi, ma della parola; risorgere nel nome dei Papi, a ripetere le sue grandi missioni. Io diceva in mio cuore: è impossibile che una città, la quale ha avuto sola nel mondo due grandi vite, una più grande dell’altra, non ne abbia una terza.
Dopo la Roma che operò colla conquista delle armi, dopo la Roma che operò colla conquista della parola, verrà, io diceva a me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù dell’esempio: dopo la Roma degl’imperatori, dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo. La Roma del popolo è sorta: io parlo a voi qui della Roma del popolo: non mi salutate di applausi: felicitiamoci assieme. Io non posso promettervi nulla da me, se non il concorso mio in tutto che voi farete pel bene della Italia, di Roma, e pel bene dell’umanità, dell’Italia. Noi forse avremo da traversare grandi crisi: forse avremo da combattere una santa battaglia contro l’unico nemico che ci minacci, l’Austria. Noi la combatteremo; e noi la vinceremo.
Io spero, piacendo a Dio, che gli stranieri non potranno più dire quello che molti fra loro ripetono anche oggi, parlando delle cose nostre, che questo che viene da Roma è un fuoco fatuo, una luce che gira fra i cimiteri: il mondo vedrà che questa è una luce di stella, eterna, splendida e pura come quelle che risplendono nel nostro cielo.
Non interrompo di più i lavori dell’assemblea.
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