”Quo vado”: risate liberiste
Dal blog menici60d15.wordpress.com
Film Quo vado (2016). Checco Zalone. Regia G. Nunziante. Produzione e distribuzione Medusa.
Valore artistico: positivo. Si ride.
Valore sociale: negativo.
Il film irride il “posto fisso” ora che il liberismo lo sta eliminando. Ma il “privilegio” (così nel film) dell’occupazione sicura, statale o privata, anche modesta, non è necessariamente disonesto; mentre dà la prospettiva di condurre una vita normale. Prospettiva che è una forma di retribuzione, essendo quantificabile in denaro secondo gli economisti. La medesima satira sarebbe stata lodevole ai tempi nei quali infuriava il parassitismo clientelare; oggi è un proseguimento del servilismo, un adeguarsi alla mutata volontà padronale.
La pellicola porta all’estremo l’ormai trita estetizzazione dello scarso senso civico degli italiani. I difetti veri e gravi dell’italiano vengono abbelliti e resi simpatici. Potenti non migliori di noi ci incoraggiano a rimanere così, meritevoli di essere additati e quindi asserviti, e ricattabili. Vi è assenza di etica pubblica: le scelte lavorative del protagonista sono guidate esclusivamente da intimi interessi personali. La concezione che esista un interesse pubblico comune, che è conveniente mettere in conto e rispettare, viene considerata solo per essere presa in giro.
Nel film si mostra come sostituire l’etica pubblica con il sentimentalismo preconfezionato, funzionale al business. E si mostra uno dei nuovi frutti di questa tradizionale operazione: la medicalizzazione della povertà (e del disagio sociale). L’elevata mortalità dei bambini del terzo mondo è da povertà, causata dallo sfruttamento dei paesi ricchi, piuttosto che da mancanza di medicine. Si avverte un sapore clericale. Tra i tanti articoli di elogio che “Il Fatto Quotidiano” ha dedicato al film, uno di F.A. Grana sostiene che Zalone e papa Bergoglio “la pensano allo stesso modo”.
Accattivante e a tratti divertente, il film è conforme alle cupe posizioni anti-repubblicane che accomunano i vari poteri che controllano il Paese e le loro facciate politiche. Imposto da una distribuzione massiccia nelle sale, sta battendo record di incassi. E’ sostenuto da una celebrazione mediatica bipartisan che lo presenta come un imperdibile capolavoro. L’evento così creato contribuisce a propagandare un modello culturale decadente, accettato tafazzianamente da tanti. Un modello che affossa ancora di più l’italiano medio proprio nelle posizioni dalle quali dovrebbe uscire per ottenere tranquillità e benessere.
Zalone glorifica un suddito ignorante ma convinto di essere nel giusto e furbo; perenne precario; alieno, a suo stesso danno, da spirito di responsabilità sociale, che sostituisce con pretese di altruismo, pilotate dal marketing. Come gli scatoloni di farmaci per i bambini malati; che più che per i “negvetti” (Sordi, I Nuovi Mostri) nella realtà saranno per i figli dei cozzaloni bianchi.
non poteva mancare la donna che insegna al maschio gretto, insensibile e per di più italiano (sic), quali sono i veri valori. liberal femminism, enjoy
Mah.. Non è certo una commedia che prende in giro un po’ gli italiani che può cambiare la critica dell’opinione pubblica sul neoliberismo : la critica al neoliberismo ormai la fanno tutti , anche quelli che fino a ieri erano liberisti . E tra l’altro nel film di Zalone questa propaganda neoliberista io non l’ho vista : la dirigente del ministero che licenzia tutti ( che fa firmare le dimissioni a tutti con il ricatto di spedirli a lavorare nei posti più impossibili ) interpreta una figura negativa : Zalone le fa fare la parte della “cattiva” .
Ormai si leggono dietrologie su ogni cosa , anche su Checco Zalone ..
Quello che non viene criticato, ma viene incoraggiato, è l’atteggiamento individualista e insieme politicamente passivo che rende particolarmente vulnerabili al liberismo, che infatti in Italia ha assunto una forma particolarmente predatoria. Sono decenni che con la scusa di “mettere in luce i difetti degli italiani” – come se non li conoscessimo – li si condona ridendoci su. E ora si sorride benevolmente anche sul proprio sfruttamento. Nel film la terminator di Stato finisce per licenziare anche l’ultimo degli oltre 1400 che ha messo in mezzo a una strada con un assegno in mano e contemporaneamente viene redenta dai giochi della Provvidenza. Torna così ripulita e stimata al calduccio del ministero; come parte del generale lieto fine: tutti sono contenti, tutto va bene. Ma ormai è “dietrologia” anche lo smettere di ridere, e riflettere per cinque minuti, su Checco Zalone …
Zalone fa fare a Lino Banfi ( il senatore che ha sistemato tutti col “posto fisso” ) la parte del buono ; invece la parte degli stronzi Zalone la assegna al ministro renziano dei tagli e alla dirigente che licenzia tutti . Questo è innegabile .
Zalone è pretesco, sfotte e assolve tutti i personaggi. Quelli di potere e quello che interpreta, che non è migliore.
forse l amico MD75, non ha sentito bene la canzone (che ho sentito anche in radio), dove si ribadisce ancora a milioni di italiani la storia dei debiti pubblici e dei figli.
Si l’ho sentita e mi è sembrata una canzone un po’ stile Fatto Quotidiano , stile “la Casta” di Rizzo e Stella ecc.. Però una canzone contro sprechi e malaffare non vuol dire che sia a favore di licenziamenti e privatizzazioni . Ripeto : nel film la parte degli stronzi è assegnata al ministro renziano dei tagli e alla tipa che deve licenziare tutti
sprechi, malaffare, clientelismo sono da sempre il piede di porco liberista, preludio a privatizzazioni e minimizzazione dello stato. quindi non sono d accordo quando dici “non vuol dire che sia a favore di”. inoltre assegnare agli sprechi l esplosione del debito pubblico, è una falsità. senza contare che i ragazzi sotto i 30 anni e precari che vedranno il film, sono esattamente quei figli di cui sono caxxi nella canzone.
Guarda questo video di Zalone da Crozza : https://www.youtube.com/watch?v=ItHoewUGsCU
E’ una critica impietosa al neoliberismo e un elogio agli ideali di sinistra .
Chiariamo alcuni punti , altrimenti non si va avanti :
1) il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia non avviene nel 1981 : era già nei fatti negli anni ’70 con il cosiddetto serpentone monetario ; che a sua volta era inevitabile con lo sganciamento del dollaro dall’oro di Nixon del ’71 ; che a sua volta era inevitabile perché il keynesismo occidentale degli anni ’50 e ’60 non garantiva più profitti e quindi posti di lavoro ( la cosiddetta “età d’oro” del welfare state occidentale non era il comunismo : era un capitalismo di stato che scendeva a compromessi che la classe lavoratrice nazionale perché poteva sfruttare il resto del mondo , per il cartello dell’OPEC non c’era ancora , perché l’automazione non c’era ancora ecc..ecc..ecc..ecc… e che va in crisi per le sue stesse contraddizioni interne : come qualsiasi capitalismo .. )
2) le analisi alla signoraggiobancario le lasciamo ai dementi complottisti/neofascisti di internet …. e ragioniamo con la nostra testa anche di fronte a quelle di qualche personaggio/guru/promotoredisestesso di internet , che sia un ex giornalista di report o un ricercatore di Pescara .
3) Nepotismo , sprechi e clientelismo non è Marx : al massimo ( escludendo altri che sono anche peggio ) può arrivare ad essere Paolo Cirino Pomicino .
1)nel video non vedo tutta questa critica impietosa del liberismo.
2)il divorzio tesoro banca d’Italia, non centra nulla con le teorie dei signoraggisti ed ha aumentato a dismisura la spesa per interessi, aumento che da solo spiega l esplosione del debito.
3) clientelismo non sarà marx, ma è ugualmente il piede di porco del liberismo, come federico caffe ricordò a Berlinguer.
E invece no. La terminator di Stato rifiuta sdegnata il posto al sole raggiunto dopo le dimissioni di Zalone. Ne esce male per tutto il film, mentre si riscatta con auel gesto proprio nel finale.
Analisi che ritengo debole e forzata. A uscirne con le ossa rotte sono il ministro dei tagli lineari, la funzionaria renziana, la triste e buia Norvegia iper civile e la noiosetta italiana globalizzata. A uscirne bene è l’italiano Checco, con i suoi pregi e i suoi difetti, in un percorso di formazione per nulla lineare in cui opta per un compromesso tra “incivilimento” e tradizione. Ne escono positivamente anche la famiglia di Checco e il senatore (Lino Banfi) che con tutti i difetti della Prima Repubblica dà però l’impressione di tenere al destino precario di un suo conterraneo.
Un artista deve giocare sul luogo comune. Va giudicato questo gioco di esagerazioni e manipolazioni. Ritengo molto significativa la scena in cui Zalone, con un paio di bottiglie di vino in mano, sorpassa una signora norvegese carica di prodotti alla fila del supermercato. Si scatena una rissa tra il rigore testardo della norvegese, che non concepisce questo mancato rispetto della fila, e l’italiano Checco, che si difende alla grande sostenendo che farlo passare non è questione di disonestà o arroganza, ma di educazione. Evidente che a uscirne vincitore è l’italiano Checco.
Incorporare l’arte nelle logiche della politica è stato uno dei grandi delitti del comunismo storico. Non ripetiamolo.
La positività la vede lei. Altri hanno già giudicato “triste” il film. Fare passare davanti alla fila al supermercato se si hanno poche cose è una elementare cortesia; se non viene fatto, si può pensare di avere a che fare con una persona rozza; o che ha fretta per ragioni sue, da rispettare; ma non che ci sia stato tolto un diritto che si può reclamare in nome dell’educazione. L’educazione impone anche tolleranza e di non stare sempre a baccagliare. L’importante è la decenza, le regole certe, chiare e semplici, il non scavalcare mai nessuno; non obblighi di tortuosi codici cavallereschi più o meno arbitrari. Questa attenzione puntigliosa e polemica al supererogatorio, a un presunto essere chiamati a una sensibilità superiore, che sarebbe attestata da piccoli gesti (ma che sparisce quando gli interessi sono rilevanti…), permette di trascurare l’essenziale; di scendere, come mai dovrebbe accadere, sotto la decenza e praticare il cinismo.
Da giovane non mi piacevano le analisi sociologiche e di costume dei sedicenti comunisti, a base di Grundrisse e Lukacs, volte a dimostrare che qualsiasi inezia era tutto un attacco alla classe operaia; né parimenti oggi le analisi come le sue, che vogliono dimostrare che le burlette, più o meno argute, ma in generale degradanti e volte a indottrinare, delle quali Mediaset ci inonda abbiano un profondo valore sociale positivo. Il guaio è che molti dei severi PCI di ieri sono diventati soci della buffoneria Mediaset di oggi. Così io, che non sono mai stato comunista, finisco col rimpiangere quei pochi tra i catoni, comunisti, o di qualsiasi altro colore, democristiani, anarchici, conservatori, che erano sinceri e dicevano cose che oggi andrebbero ripetute.
Mi fa sempre ridere l’atteggiamento saccentello dei comunisti (che anche se non si definiscono tali lo sono nell’anima) che pur di non dire che un film fa cagare (e questo film fa cagare come tutto quello che Zalone ha prodotto nella sua vita), devono giustificare le proprie idiosincrasie con qualche boiata ideologica.
E vabbè, fra un pochino ci diranno che Pierino è una metafora piccolo-borghese della sopraffazione di classe, con spinte vetero madchiliste nei confronti della donna in carriera, ridicolmente sbeffeggiata nei panni delle procaci docenti.
Grazie Matteo. Leggerti mentre si discute di orgoglio tamarro è come sentire il “La” di un diapason mentre si accorda uno strumento.