Battaglia storiografica e battaglia politica

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6 risposte

  1. Luca ha detto:

    Non sono d’accordo con il post. Lo storico deve anche interpretare i fatti e dare un suo giudizio.
    Inoltre,anche la ricostruzione degli eventi, essendo basata su un punto di vista personale è
    per forza di cose parziale. Dobbiamo cercare di metterci in testa una buona volta che la
    Verità,quella con la V maiuscola,semplicemente non esiste.

    • Luca.mancini ha detto:

      Se la Verità non esistesse e non fosse una, la Storia non esisterebbe. In questo modo si scivolerebbe verso un relativismo, che è assai pericoloso, perchè se la Verità non esiste, allora tutto si può negare e mettere in discussione.

  2. stefano.dandrea ha detto:

    Tenderei ad essere d’accordo con l’articolo, almeno per quanto riguarda una concezione ristretta e propria, ossia oggettiva, della nozione di “verità”.
    I fatti nudi e crudi sono accertabili. Anche nei casi ideologicamente estremi.
    Consideriamone uno molto estremo: la politica economica del regime nazionalsocialista nei primi tre anni.
    Quanto impiegò il regime nazionalista a raggiungere la piena occupazione? Tre anni?
    Quando, secondo gli economisti, una economia si dice “di guerra”?
    Applicando i criteri proposti dagli economisti alla Germania nazionalsocialista, la politica economica di quest’ultima in quei primi tre anni fu di guerra?
    Quali norme giuridiche disciplinavano la distribuzione degli utili delle imprese, piccole o grandi? Come era disciplinato il commercio internazionale, in particolare la circolazione dei capitali? Erano previsti prestiti forzosi? E se si erano permanenti? Esistono altri casi di raggiungimento così rapido della piena occupazione?

    Poi accertati questi ed altri fatti connessi, si giudica se, rispetto alle altre economie non pienamente pianificate, quella nazionalsocialista fu la più socialista che ci sia stata nella storia o tra le più socialiste. E qui il tifo può far dividere, perché si sta giudicando, ma spesso i dati non consentono di negare la realtà.
    Lo storico militante, invece, che non accerta un bel niente, tenderà a trascurare questi problemi e le loro soluzioni, tenderà, quindi a non indagare e accertare questi fatti.
    E anche se Galbraith (padre), un economista decisamente di sinistra, ha sostenuto e documentato (tutto si può e deve verificare, ovviamente) che non fu una economia di guerra, che non potevano essere distribuiti utili superiori al 6% e che la parte rimanente era forzosamente prestata allo Stato, al 2,5% di interesse (poi mi sembra al 5%, qualche cifra potrei sbagliarla); che attraverso una moneta per gli scambi internazionali si promosse una forma estesa di baratto con le altre nazioni; e tutta un’altra serie di provvedimenti favorevoli ai lavoratori, gli storici militanti trascureranno per decenni di citare e valutare simili provvedimenti, precludendo, in primo luogo a se stessi, di sapere, di conoscere e approfondire una esperienza storica sotto il profilo della politica economica. Essi non narrano la storia ma la falsificano o ignorano.
    E ciò del tutto irrazionalmente, perché la politica economica non ha nessun legame con il razzismo, il nazionalismo imperialista e la dittatura.
    In realtà, quando lo storico militante è un liberale, sta facendo propaganda.
    Invece, quando è un socialista, è soltanto una persona masochista, perché affetta da un disturbo mentale che attiene alla psicologica collettiva di un gruppo ideologico.

  3. Luca.mancini ha detto:

    Discutere di fatti reali (quindi veri) è ovviamente compito dello storico. Una volta che i dati sull’economia nazionalsocialista vengono dimostrati come veri, discutere su quanto sia realmente socialista tale economia è compito dello storico. In quel momento egli si sta domando: “ma è vero o no che i tedeschi erano socialisti? se si, quanto?”. In questo caso il problema quindi è sempre dimostrare se la mia domanda storica è vera o meno. Diverso è il discorso se uno storico parte da un ragionamento diverso, ossia: “non è giusto paragonare l’economia nazionalsocialista e quella sovietica per vari motivi.” In una frase come questa, egli sta implicitamente sostenendo un giudizio di tipo etico sul nazionalsocialismo o sull’URSS, pertanto sta scadendo nella politica.
    Gli storici militanti non hanno mai imparato che una comparazione non è un’equazione. Questo è il loro grande limite.

  4. francesco ha detto:

    Finalmente un articolo che prende in considerazione la fondamentale distinzione tra attività teoretica (storiografia) e attività pratica (politica) a lungo elaborata da Benedetto Croce ed espressa magistralmente in “La storia come Pensiero e come Azione”. (http://ojs.uniroma1.it/index.php/lacritica/article/view/6123/6106)
    Quello di “distinzione”, del resto, è un concetto di relazione. L’azione pratica razionale richiede la comprensione della realtà che è stata: necessita della storiografia. D’altra parte il lavoro teorico sarebbe inconcepibile senza l’interesse per la realtà presente nella quale si deve operare.
    PS. Ognuno ha il diritto di studiare l’argomento storico che più ritiene interessante. A me il fascismo e il nazismo provocano un senso di nausea e anche un po’ di vergogna. Per questo preferisco occuparmi della lotta che si sviluppò CONTRO i due funesti regimi.

  5. Lorenzo ha detto:

    Parlerei di obbiettività più che di verità, cioè di un atteggiamento proteso ad appurarla orientandosi nel coas infinito e multiforme degli accadimenti reali (solo in parte accertabili). E l’obbiettività non è un dato di fatto ma un atteggiamento dello spirito, necessariamente condizionato dalla personalità e in certa misura dall’orientamento di valore dello storico: il fatto stesso di essere storici economici o militari, di studiare questo o quel periodo, dipende da un interessamento e quindi, in senso lato, da una scelta di valore.

    La ricerca del ‘vero’ storico è quindi una continua Auseinandersetzung dello studioso col mondo che lo circonda e con se stesso, (che dovrebbe essere) dominata dallo sforzo di far primeggiare un criterio di lucidità analitica su altre e pur insopprimibili componenti del suo essere.

    Il problema è che gli storici, tanto più in quest’epoca di decadenza, ben poco si interessano a criteri di lucidità e pensano soltanto a far passare il loro abbecedario di turno col minimo di problemi e il massimo di rendimento – dunque slinguando la propria parte politica/cordata di appartenenza. De Felice era un’eccezione assai parziale, basti pensare alla sua riconduzione della guerra civile alla categoria mediatica di “morte della patria”.

    Gli esseri umani sono troje della vita: ci tengono più a vivere che a fare chiarezza. Per questo disprezzo tanto il pregiudizio umanista.

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