CRISI BANCARIA, DEBITO PUBBLICO, INDEBITAMENTO E CASE DEGLI ITALIANI
Per capire a fondo le dinamiche che ci circondano occorre estraniarsi dal rumore della cronaca e porsi sul piano storico.
Questo atteggiamento vale anche per capire cosa sta succedendo al sistema bancario italiano.
Abbiamo già trattato parte del cambiamento che ha avuto ad oggetto il sistema bancario italiano in altri due articoli che precedono il presente, qui e qui.
Abbiamo quindi fatto già presente come il processo di privatizzazione e concentrazione del sistema bancario sia stato imposto dall’ideologia europeista che vuole far prevalere il modello dell’“ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO” a discapito del modello “KEYNESIANO” contenuto nella Costituzione Italiana del 1948.
Si è quindi voluto sostituire al modello “dirigista”, cioè dello Stato che interviene nell’economia anche attraverso il controllo della finanza e quindi del settore bancario, il modello del subdolo liberismo, incarnato, appunto, dall’ideologia dell’“economia sociale di mercato” teorizzata nel secondo dopoguerra in Germania e fatta coattivamente trasmigrare a rate nei trattati europei nel corso degli ultimi 50 anni:
Se si è deciso di ignorare questo cambio di passo è inutile continuare a leggere ciò che segue.
Se invece si percepisce che “qualcosa” (leggi tutto) è cambiato, allora si spera che il prosieguo della lettura sia utile a spiegare cosa è successo.
Era il 1992 quando il trattato di Maastricht, modificando il TCE, introduceva con l’art. 105 n°6 (poi traslato nell’attuale art. 127 n° 6 del TUE) questa norma: “Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese d’assicurazione.”
Ecco spiegate le origini dell’Unione Bancaria Europea.
Dovranno passare esattamente 20 anni perché nel 2012, in un periodo caldissimo della storia economico-finanziaria, nonché politica, nella DICHIARAZIONE DEL VERTICE DELLA ZONA EURO del 29 giugno 2012 venga deciso che:
“Affermiamo che è imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano. La Commissione presenterà a breve proposte relative a un meccanismo di vigilanza unico fondate sull’articolo 127, paragrafo 6. Chiediamo al Consiglio di prenderle in esame in via d’urgenza entro la fine del 2012. Una volta istituito, per le banche della zona euro, un efficace meccanismo di vigilanza unico con il coinvolgimento della BCE, il MES potrà avere facoltà, sulla scorta di una decisione ordinaria, di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Questa procedura si baserà su un’appropriata condizionalità, ivi compresa l’osservanza delle regole sugli aiuti di Stato, che dovrebbe essere specifica per ciascun istituto, specifica per settore ovvero applicabile a tutta l’economia e sarà formalizzata in un memorandum d’intesa.”
Perché si sa, come ci ricordò Mario Monti nel febbraio del 2011 in una conferenza alla LUISS:
“Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di gravi crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessione di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle, perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata […] Ma quando la crisi sparisce rimane un sedimento, perché si sono messe in opera istituzione leggi ecc., per cui non è pienamente reversibile.”
Il 29 giugno del 2012, oltre al vertice della zona Euro, si tenne il CONSIGLIO EUROPEO dalle cui conclusioni leggiamo al punto 4:
“La relazione “Verso un’autentica Unione economica e monetaria” presentata dal presidente del Consiglio europeo, in cooperazione con i presidenti della Commissione, dell’Eurogruppo e della BCE, illustra i “quattro elementi costitutivi essenziali” della futura UEM: un quadro finanziario integrato, un quadro di bilancio integrato, un quadro integrato di politica economica e il rafforzamento della legittimità democratica e della responsabilità. A seguito di aperte discussioni, durante le quali sono state espresse diverse opinioni, il presidente del Consiglio europeo è stato invitato a elaborare, in stretta collaborazione con il presidente della Commissione, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente della BCE, una tabella di marcia specifica e circoscritta nel tempo per la realizzazione di un’autentica Unione economica e monetaria, che comprenda proposte concrete volte a preservare l’unità e l’integrità del mercato unico dei servizi finanziari e che tenga conto della dichiarazione sulla zona euro e, tra l’altro, dell’intenzione della Commissione di presentare proposte a norma dell’articolo 127. Essi esamineranno ciò che può essere fatto nell’ambito dei trattati vigenti e quali misure richiederebbero una loro modifica. Al fine di garantire la titolarità degli Stati membri, questi saranno strettamente associati alle riflessioni e regolarmente consultati. Sarà inoltre consultato il Parlamento europeo. Una relazione intermedia sarà presentata nell’ottobre 2012 e una relazione finale entro la fine dell’anno.”
E, puntualmente, alla fine del 2012, la tabella di marcia veniva rispettata.
Leggiamo infatti dalle conclusioni del CONSIGLIO EUROPEO del 13/14 dicembre 2012:
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Il meccanismo di vigilanza unico segna un passo qualitativamente importante verso un quadro finanziario più integrato. Il Consiglio europeo si compiace dell’accordo raggiunto in seno al Consiglio il 13 dicembre e invita i colegislatori a raggiungere celermente un accordo in modo da consentirne l’attuazione quanto prima possibile. Ribadisce altresì l’importanza delle nuove norme relative ai requisiti patrimoniali delle banche (CRR/CRD), che costituiscono una priorità assoluta ai fini dell’elaborazione di un corpus unico di norme, e chiede a tutte le parti di adoperarsi per un accordo al riguardo e una rapida adozione.
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Il Consiglio europeo esorta i colegislatori ad approvare, prima di giugno 2013, le proposte di direttive sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e sul sistema di garanzia dei depositi; da parte sua il Consiglio dovrebbe raggiungere un accordo entro la fine di marzo 2013. Una volta adottate queste direttive dovranno essere recepite dagli Stati membri in via prioritaria.
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Il Consiglio europeo auspica che la Commissione dia rapido seguito alle proposte del gruppo di esperti ad alto livello sulla struttura del settore bancario dell’UE.
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È imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e Stati. A seguito della dichiarazione del vertice della zona euro di giugno 2012 e delle conclusioni del Consiglio europeo di ottobre 2012, occorre convenire quanto prima possibile nel primo semestre del 2013 un quadro operativo, compresa la definizione delle attività preesistenti, cosicché, una volta istituito un efficace meccanismo di vigilanza unico, il meccanismo europeo di stabilità potrà avere facoltà, sulla scorta di una decisione ordinaria, di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Ciò sarà fatto nel pieno rispetto del mercato unico.
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In un contesto in cui la vigilanza bancaria è trasferita effettivamente ad un meccanismo di vigilanza unico sarà necessario un meccanismo di risoluzione unico, dotato dei poteri atti ad assicurare che qualsiasi banca in uno Stato membro partecipante possa essere assoggettata a risoluzione mediante gli strumenti opportuni. Pertanto occorre accelerare i lavori concernenti le proposte di direttive sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e sul sistema di garanzia dei depositi, in modo che possano essere adottate in linea con il punto 8. In tali questioni è importante assicurare un giusto equilibrio tra paesi d’origine e ospitanti. La Commissione presenterà, nel corso del 2013, una proposta relativa a un meccanismo di risoluzione unico per gli Stati membri partecipanti al meccanismo di vigilanza unico, proposta che sarà esaminata in via prioritaria dai colegislatori con l’intenzione di adottarla durante l’attuale mandato parlamentare. Questo meccanismo dovrà preservare la stabilità finanziaria ed assicurare un quadro efficace per risolvere gli inadempimenti degli istituti finanziari tutelando nel contempo i contribuenti in un contesto di crisi bancaria. Il meccanismo di risoluzione unico dovrebbe basarsi sui contributi dello stesso settore finanziario e comprendere adeguate ed efficaci misure di sostegno. Queste ultime non dovrebbero avere implicazioni di bilancio nel medio termine assicurando che gli aiuti pubblici siano recuperati attraverso prelievi ex post nel settore finanziario.”
Quanto fin qui riportato evidenzia il fatto che già dal 2012 – quando, per chi ha poca memoria, mister “L’Europa ha bisogno di crisi per fare passi avanti” (leggi Mario Monti) era il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana e in quella veste rappresentava in seno al Consiglio Europeo gli “interessi” italiani – era tutto già deciso su cosa fare del sistema bancario italiano.
La storia ci racconta che il percorso di consolidamento del progetto di Unione Bancaria Europea ha proceduto col pilota automatico fino ad oggi, senza che le elezioni politiche del febbraio 2013, i governi Letta e Renzi e l’opposizione volutamente sterile del M5S, abbiano in qualche modo interferito in detto processo palesemente penalizzante per il sistema bancario italiano. Nulla.
Tutto è arrivato al perfetto compimento, accompagnato da grottesche manifestazioni di giubilo.
Siamo arrivati, quindi, tra direttive europee e leggi di recepimento, ad avere la (quasi) piena operatività dell’Unione Bancaria Europea dal 01/01/2016.
Ma in cosa consiste l’Unione Bancaria Europea e quale impatto ha sul sistema bancario italiano?
Teoricamente l’Unione Bancaria si fonda su tre pilastri:
- Il Codice Unico Europeo.
- Requisiti patrimoniali per il settore bancario: Direttiva sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (“direttiva sui requisiti patrimoniali ” – CRD) e Regolamento relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.
- Sistema di garanzia dei depositi: Direttiva relativa ai sistemi di garanzia dei depositi.
- Risanamento e la risoluzione delle banche: Direttiva sul risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.
- Il meccanismo di vigilanza unico: Regolamento del Consiglio che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi.
- Il meccanismo di risoluzione unico: Regolamento relativo al meccanismo di risoluzione unico e al Fondo di risoluzione unico.
La portata della normativa europea che ha un corpo di circa 600 pagine, viene spiegata nei suoi caratteri essenziali in due documenti ufficiali del Governatore della Banca D’Italia Ignazio Visco, rilasciati in occasione di altrettante audizioni avute presso le due Camere del Parlamento italiano: alla 6a Commissione (Finanze) della Camera dei Deputati del 15 dicembre 2014 e alla 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato della Repubblica, avuta il 22 aprile 2015.
La lettura integrale delle audizioni parlamentari del Governatore Ignazio Visco, agevola il compito di spiegare quale sia, agli effetti pratici, l’adozione di tale complesso normativo, che ha letteralmente stravolto il sistema bancario italiano e che si colloca, come abbiamo accennato all’inizio, nel più importante quadro che identifica storicamente il cambio di passo ideologico che caratterizza il processo di europeizzazione del popolo italiano.
Riportiamo qualche stralcio che evidenzia da un lato la forte portata ideologica dell’intervento del Governatore e dall’altro i tratti caratteristici della riforma.
Dalla relazione alla Camera dei Deputati del 14 dicembre 2014:
L’Unione bancaria rappresenta un segnale di ripresa e continuità del progetto europeo.
[…]
L’Unione racchiude in sé benefici di ampia portata: dalla ripresa del processo di integrazione finanziaria tra i paesi membri, al consolidamento transfrontaliero del sistema bancario, all’aumento del grado di concorrenza nel mercato del credito; con la necessaria gradualità, contribuirà ad allentare il legame tra banche ed emittenti sovrani. Questi benefici potranno essere colti pienamente e potranno tradursi in un maggior sostegno creditizio all’economia reale se si accompagneranno a un ritorno alla crescita e a una decisa accelerazione nel cammino di integrazione europea.
[…]
La situazione particolarmente difficile che l’economia italiana vive da sei anni ha pesato anche sul risultato degli stress test. Nello scenario avverso la caduta cumulata del PIL tra il 2008 e il 2016 (l’anno finale dello stress test) sarebbe per l’Italia di quasi 12 punti percentuali, più elevata di quasi 8 punti rispetto a quella registrata in media dall’area dell’euro dal picco pre-crisi. Sui risultati delle banche italiane, che posseggono un ammontare rilevante di titoli di Stato, hanno anche inciso le ipotesi particolarmente sfavorevoli circa le prospettive del mercato dei titoli pubblici, che prevedevano un immediato riacutizzarsi delle tensioni sui debiti sovrani dovuto al riemergere di timori sulla tenuta della moneta unica.
[…]
I risultati dello stress test hanno inoltre fortemente risentito della parziale rimozione della possibilità di sterilizzare – attraverso un apposito filtro prudenziale – l’effetto delle variazioni di valore dei titoli sovrani classificati nel portafoglio di attività disponibili per la vendita (available for sale, AFS); l’impatto sul patrimonio delle banche è risultato di circa quattro miliardi, di cui uno concentrato nella sola Banca Monte dei Paschi di Siena.
[…]
Non è stata invece effettuata alcuna “armonizzazione” delle altre discrezionalità nazionali, tra le quali figura, ad esempio, la possibilità di graduare nel tempo la deduzione degli avviamenti dal capitale di migliore qualità delle banche. È stato quindi adottato, con una decisione da noi non condivisa e contestata per le vie formali, un approccio asimmetrico alle discrezionalità nazionali. Va infine ancora una volta sottolineato che le banche italiane non hanno beneficiato del sostegno finanziario dello Stato, mentre per gli intermediari di altri paesi il supporto pubblico è stato significativo. Secondo i dati pubblicati dall’Eurostat, alla fine del 2013 l’impatto di questi aiuti sul debito pubblico ammontava a quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, circa 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, 3 dei quali restituiti nel corso del 2014. Gli interventi effettuati all’estero sono stati per lo più completati prima che fossero adottate le più stringenti regole europee previste, dal 2013, dalla disciplina sugli aiuti di Stato e dalla 7 direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche. Queste subordinano, di fatto, il sostegno pubblico al coinvolgimento dei creditori privati in caso di crisi (bail in). Regole di questa natura, contenute anche nel nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, avranno conseguenze sul costo della raccolta bancaria sotto forma di obbligazioni, con implicazioni per il costo e la disponibilità di credito. […]
Il credito a famiglie e imprese ha risentito pesantemente, non solo in Italia, della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani.
Dalla relazione al Senato della Repubblica del 22 aprile 2015:
[…]
La creazione del Meccanismo di risoluzione unico (Single Resolution Mechanism, SRM) rappresenta un ulteriore, essenziale tassello nel processo di costruzione dell’Unione bancaria. Ad esso sono affidate sia le attività di pianificazione (la predisposizione dei cosiddetti piani di risoluzione) – dirette a individuare, ex ante, le modalità con cui la crisi di ciascuna banca può essere gestita – sia le attività di vera e propria gestione delle crisi, nel caso in cui si manifestino. È inoltre previsto un Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) destinato a partecipare al finanziamento degli interventi di risoluzione; il Fondo è alimentato da contributi, progressivamente mutualizzati, versati dalle banche dei paesi partecipanti. Il Meccanismo sarà pienamente operativo dal 1° gennaio 2016. Le attività preparatorie sono state avviate: il Comitato unico per la risoluzione (Single Resolution Board, SRB), al quale partecipano i rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali, è stato costituito; nel corso dei prossimi mesi sarà avviata la predisposizione dei piani di risoluzione, un compito che il regolamento istitutivo del Meccanismo prevede, infatti, già per quest’anno; si stanno definendo le modalità operative concrete. Anche il Meccanismo di risoluzione, come quello di vigilanza, è basato su una ripartizione di competenze fra l’autorità europea – il SRB – e quelle nazionali, in relazione alla tipologia degli intermediari. Il SRB avrà il compito di gestire le procedure di risoluzione delle banche qualificate come significative ai sensi del regolamento SSM e dei gruppi transfrontalieri; stabilirà la strategia di risoluzione e gli strumenti da utilizzare in concreto per gestire la crisi di questi intermediari; in questo ambito, le autorità nazionali svolgeranno un ruolo istruttorio e cureranno l’attuazione del programma di risoluzione. La decisione di avviare la risoluzione e la scelta degli strumenti da utilizzare sono di competenza del SRB, che dovrà sottoporre alla Commissione europea il programma di risoluzione. Quest’ultima può approvare le proposte del SRB oppure chiedere modifiche del programma di risoluzione; ove le modifiche riguardino due aspetti specifici – l’uso del Fondo di risoluzione e la presenza dell’interesse pubblico – la Commissione dovrà necessariamente interessare il Consiglio europeo, che sarà chiamato ad approvare o rigettare la proposta del SRB. Il coinvolgimento della Commissione e del Consiglio, in quanto istituzioni dell’Unione, tiene conto degli ineliminabili aspetti discrezionali delle scelte che riguardano la risoluzione; il loro ruolo è tuttavia limitato all’approvazione delle proposte che provengono dal SRB; se tali proposte non vengono accolte, dovrà essere lo stesso SRB a individuare una nuova soluzione sulla base delle ragioni esposte dalle due istituzioni. Il SRM rappresenta un passo ulteriore rispetto alla semplice armonizzazione prevista dalla direttiva in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD). Obiettivo dell’accentramento delle funzioni di gestione delle crisi previsto dal SRM è garantire omogeneità nella definizione delle politiche di risoluzione delle banche dell’area; una gestione unitaria della crisi dei grandi gruppi bancari a operatività transfrontaliera consentirà inoltre di superare le possibili sovrapposizioni o inefficienze connesse con l’intervento di molteplici autorità. Per l’efficacia dell’azione di risoluzione sarà necessario evitare che la complessa struttura decisionale, che comunque caratterizza l’SRM, ne rallenti i tempi delle decisioni. Per rendere possibile la risoluzione di intermediari molto grandi e complessi sarà necessario dotare il Fondo di risoluzione unico di un adeguato backstop pubblico europeo, attivabile in breve tempo. Le risorse comuni eventualmente anticipate al Fondo dovranno essere comunque recuperate ex post a carico degli intermediari, coerentemente con un quadro normativo che ha l’obiettivo di attribuire al settore privato l’onere di sostenere i costi delle crisi. Il SRM avrà a disposizione gli strumenti di risoluzione, alcuni dei quali innovativi, previsti dalla BRRD. Sarà possibile procedere al trasferimento dei rapporti della banca in crisi a terzi acquirenti o a veicoli appositamente costituiti dalle autorità, che potranno gestire temporaneamente tali rapporti in modo da preservare la continuità delle funzioni essenziali dell’intermediario (è il caso di una bridge bank) oppure acquisire le attività deteriorate dell’intermediario da sottoporre a procedure di realizzo e recupero (bad bank). Altri strumenti, utilizzabili in una fase preventiva, come le procedure di amministrazione straordinaria, già ampiamente sperimentati nel nostro ordinamento, sono ora riconosciuti e valorizzati dal nuovo quadro regolamentare europeo. Tra i nuovi principi stabiliti dalle regole europee sulla risoluzione quello certamente più innovativo è rappresentato dal bail-in, che prevede di mettere a carico degli azionisti e dei creditori dell’intermediario le perdite emerse a seguito della crisi, prima di ogni eventuale sostegno pubblico che potrà avvenire solo in casi estremi. Il passaggio da un mondo caratterizzato da un sostegno pubblico implicito a uno in cui sono in primo luogo gli azionisti e i creditori a sopportare le perdite limita gli oneri potenzialmente a carico della collettività. L’approccio adottato dalla BRRD prevede il potere di assoggettare a bail-in tutte le passività diverse da quelle espressamente escluse (essenzialmente i depositi protetti, le passività garantite da attivi emessi dalla stessa banca, i prestiti interbancari con scadenza originaria inferiore a sette giorni). In questo nuovo regime occorrerà evitare che si verifichino effetti indesiderati sulla stabilità finanziaria. Il bail-in potrà influire sui costi e sulle modalità di raccolta delle banche; la stessa struttura del passivo andrà modificata per assicurare che l’ammontare di passività potenzialmente oggetto di bail-in sia sufficiente ad assorbire le eventuali perdite, secondo quanto richiesto dalle regole e dalle prassi di risoluzione europee.
Le banche dovranno, inoltre, adottare un approccio nei confronti della clientela coerente con il cambiamento fondamentale apportato dalle nuove regole, che non consentono d’ora in poi il salvataggio di una banca senza un sacrificio significativo da parte dei suoi creditori. La clientela, specie quella meno in grado di selezionare correttamente i rischi, va resa pienamente consapevole del fatto che potrebbe dover contribuire al risanamento di una banca anche nel caso in cui investa in strumenti finanziari diversi dalle azioni, il che fa venir meno la certezza del mantenimento del valore del capitale investito fino ad ora radicata nella consapevolezza dell’investitore.
[…]
In una fase caratterizzata dall’inasprimento delle regole applicabili alle banche, lo sviluppo di fonti di finanziamento alternative al credito renderebbe il settore produttivo meno fragile. In questa direzione vanno le iniziative della Commissione europea, contenute nel libro verde sulla Capital Markets Union recentemente pubblicato, che intendono realizzare, entro il 2019, un mercato europeo dei capitali più ampio e diversificato. Per realizzarlo bisognerà anche porsi, almeno in prospettiva, obiettivi ambiziosi riguardo all’armonizzazione di norme societarie, fallimentari e fiscali. Rientrano tra le misure previste dal libro verde la rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni di prodotti finanziari semplici, trasparenti e di agevole valutazione, la facilitazione della negoziazione transfrontaliera di titoli, la definizione di standard comuni per i collocamenti privati di alcune tipologie di passività delle imprese […].
Comprensibile il disagio del lettore che si trova a dover assimilare così tante informazioni in così poco tempo e conseguentemente a cercare di dargli un senso.
È bene quindi anticipare una sintesi che permetta a chi ha avuto l’avventura di leggere fin qui, di prendere fiato e prepararsi a ciò che verrà dimostrato più avanti.
Ciò che è importante capire è che in questa delicata fase storica il sistema bancario italiano si trova schiacciato tra:
- la voracità dei cannibali di Wall Street, che hanno da tempo fiutato il sangue versato nelle sofferenze bancarie, i cosiddetti NPL (no performing loan – crediti non performanti) e lo sgonfiamento della bolla immobiliare italiana che porterà capitali stranieri a saccheggiare il patrimonio immobiliare italiano;
- la bramosia tedesca di fagocitare il sistema bancario italiano (dopo aver fatto strage di quello industriale) ritornando a fare terrorismo sul nostro debito pubblico, attraverso i titoli di Stato detenuti dalle banche a fronte della propria capitalizzazione.
Ciò che si è deciso a Bruxelles con l’adozione dell’Unione Bancaria, ci ha quindi portato nel bel mezzo di una guerra tra gli Stati Uniti e la Germania, dove il campo di battaglia e il territorio da conquistare sono rappresentati dalla ricchezza degli italiani.
L’attenzione a questo punto va rivolta principalmente ai seguenti temi, che impattano direttamente con l’applicazione della riforma.
- La gestione delle sofferenze bancarie – NPL (no performing loan – crediti non performanti).
- Con la legge 130 del 1999 il legislatore italiano introduceva nel nostro ordinamento la possibilità di cartolarizzare i crediti. È fondamentale leggere la relazione con cui veniva illustrato alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati il disegno di legge del Governo Prodi, presentato dall’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi:
“ONOREVOLI COLLEGHI! — I recenti interventi legislativi nel settore del credito si sono realizzati su tre terreni: privatizzazione degli istituti di credito, riforma delle Fondazioni bancarie, disciplina della cartolarizzazione. […] Le operazioni di cartolarizzazione sono largamente e da tempo praticate nelle economie anglosassoni. Il tipo di crediti oggetto di cartolarizzazione sono stati dapprima i mutui fondiari, poi i contratti di leasing, quindi i debiti contratti con carte di credito ed altri ancora. Il trasferimento di attività finanziarie da un intermediario ad un altro, a risparmiatori individuali o a fondi di investimento, risponde all’obiettivo di migliorare l’efficienza allocativa del sistema finanziario. Infatti, questa operazione consente una ricomposizione del portafoglio delle banche e una migliore specializzazione degli istituti di credito. Se la banca è sottopatrimonializzata ai fini della vigilanza ed è prossima al suo limite operativo, la cartolarizzazione e l’alienazione di alcuni suoi crediti libera risorse finanziarie che la banca potrà reinvestire in impieghi che essa stessa valuta possano avere un miglior rapporto rischio/rendimento, senza che questo le faccia perdere il rapporto con il cliente suo creditore.
[…] Nelle esperienze estere, come si è detto, i crediti oggetto di cartolarizzazione sono prevalentemente relativi a contratti standardizzati e crediti « buoni », cioè non incagliati o inesigibili. La cartolarizzazione non è impiegata per lo smobilizzo dei crediti ad alto rischio o in sofferenza, ma come strumento per migliorare la struttura creditizia del mercato. Il disegno di legge, tuttavia, lascia ampio margine discrezionale nella scelta dei crediti che possono essere cartolarizzati, non escludendo la cessione di titoli di credito scarsamente solvibili.
[…] La cartolarizzazione (securitization) consiste nella cessione di crediti che producono flussi di interessi pluriennali (cash flows) e nella successiva conversione di tali crediti in titoli negoziabili (cartolarizzazione in senso proprio) collocabili sul mercato (mercato secondario). A monte di tutta l’operazione c’è un soggetto che contrae un debito con un altro soggetto, in genere una banca o un intermediario finanziario, ma che potrebbe anche essere un’impresa industriale o commerciale. Il soggetto creditore che avvia il processo di cartolarizzazione è detto cedente (in inglese originator). Quest’ultimo aliena il titolo ad un altro soggetto, detto concessionario o socieà veicolo (special purpose vehicle in inglese). La società cessionaria, direttamente o attraverso un’altra società, detta di emissione, emette titoli sul mercato secondario. La società cessionaria-emittente, che chiameremo veicolo, ha personalità giuridica (di essa tratta l’articolo 3). La società veicolo è costituita solo per emettere titoli sul mercato, il cui valore e il cui rendimento è determinato esclusivamente dai crediti oggetto di cartolarizzazione. Se la società veicolo realizza più operazioni di cartolarizzazione (come è consentito nel caso del disegno di legge in esame) ciascuna emissione di titoli ha a suo fondamento un lotto di crediti, in gergo detti « segregati », acquistati dalla società veicolo, ben definito, non modificabile e riferito esclusivamente ad ogni specifica emissione di titoli. Quindi, il titolo emesso dalla società emittente non è garantito dal capitale della società stessa, il quale è infatti di modesta entità, ma dai crediti segregati. Gli acquirenti sul mercato secondario sono in genere investitori istituzionali, come fondi pensioni o altre banche, ma i titoli possono anche essere collocati in Borsa ed essere acquistati dal pubblico.
[…]Il disegno di legge in discussione merita di essere urgentemente approvato perché, come dicevo, l’Italia è l’unico paese europeo a non disporre di una normativa sulla cartolarizzazione, con la conseguenza che tali operazioni, anziché avvenire in Italia, hanno già cominciato e continueranno sempre più ad essere realizzate all’estero.
I vantaggi che tale operazione offre sono di due tipi: uno è di carattere allocativo, l’altro di sviluppo. Il vantaggio allocativo consiste nell’ampliamento per le banche del ventaglio di scelta rischio-rendimento e delle possibili combinazioni di durata della struttura dell’attivo; nel miglioramento dei loro ratios patrimoniali; infine, nella possibilità di disporre di una provvista alternativa, più a buon mercato del capitale proprio. Il secondo vantaggio deriva dalla possibilità che si sviluppino in Italia mercati connessi alle operazioni di cartolarizzazione, i quali, in assenza di una normativa che consenta tali operazioni, rimarrebbero asfittici o non nascerebbero neppure: penso al mercato delle società cessionarie dei crediti e alle società di rating. La possibilità di cartolarizzare i crediti bancari consentirebbe poi di affrontare un problema tipicamente italiano, che è poco frequente all’estero: la cartolarizzazione dei bad loans, vale a dire dei crediti incagliati o in sofferenza. Se la legge consentirà di sciogliere questo nodo, tutelando il risparmio dei prenditori finali dei titoli, avrà dato un contributo importante alla rivitalizzazione del sistema del credito, soprattutto nelle zone più deboli del paese, nelle quali questo problema si presenta con maggior gravità.”Un breve commento a questa relazione va fatto. Credo che questo sia l’esempio più lampante dello spirito anti-italiano che ha colpito il legislatore negli anni ‘90. Uno spirito prono agli interessi stranieri e alla legislazione anglosassone, che ha permesso lo smembramento prima dell’industria pubblica e successivamente del sistema bancario italiani. È una vergogna che una classe dirigente esterofila e traditrice abbia calpestato gli interessi nazionali con così tanta insolenza e nel silenzio generale.
Dal 1999, comunque sia, lo schema anglosassone delle cartolarizzazioni venne recepito dalla legislazione italiana ponendo le basi normative per il futuro saccheggio straniero nelle sofferenze bancarie italiane. - Abbiamo già fatto notare come già dal 2012 era tutto già stabilito in seno al Consiglio Europeo su cosa fare del sistema bancario italiano.
Nel frattempo gli squali di Wall Street avevano già fiutato il sangue a miglia e miglia di distanza e si preparavano ad azzannare alla giugulare il sistema bancario italiano sanguinante sotto i colpi dell’Unione Bancaria Europea.
Questa brochure del 2013 di una delle tante compagnie di consulenza chiarisce cosa intendo dire:
- La voglia di speculazione delle banche d’affari straniere, in particolare quelle USA, sulle sofferenze bancarie italiane, si è chiaramente manifestata quando la Fortress ha acquistato, nell’agosto del 2014, 1 miliardo di tali sofferenze e nel 2015 ha addirittura assorbito il ramo di gestione crediti dell’Unicredit, che come sappiamo è una delle due principali banche italiane.
Ma anche BlackRock, il più grande fondo di investimento al mondo, ha palesato il suo interesse nel settore bancario italiano diventando il primo azionista del gruppo Unicredit. - Risale al febbraio 2015, invece, un paper del Fondo Monetario Internazionale dal titolo inequivocabilmente orientato: “Una strategia per sviluppare un mercato per Crediti in sofferenza in Italia”.
Appare chiaro come dopo Wall Street – o forse su suo impulso – il FMI abbia ritenuto di intervenire nella vicenda del sistema bancario italiano mettendo nero su bianco dei “consigli” normativi al Governo italiano, il cui dicastero economico era all’epoca del paper, e ancora oggi, affidato ad una vecchia conoscenza del Fondo Monetario Internazionale: Pier Carlo Padoan.
Una buona sintesi di questi consigli li ritroviamo in un focus sul paper redatto da Nomisma, del quale riportiamo alcuni importanti passaggi:“una strategia per affrontare il problema della lunghezza delle procedure legali in modo da non penalizzare le banche. L’obiettivo di tali misure dovrebbe essere quello di rimuovere dai bilanci delle banche NPLs molto vecchi (ad esempio superiori a cinque anni); Inoltre tali politiche dovrebbero consentire di liquidare più facilmente le imprese non più vitali (che non generano più cash flow) e di ristrutturare quelle che, ancorché in difficoltà, siano considerate capaci di generare cassa per coprire il pagamento degli interessi. Per queste imprese le banche potrebbero cancellare parzialmente i loro debiti oppure trasformare i loro crediti in partecipazioni.
[…] Rimozione di impedimenti fiscali alla ristrutturazione dei crediti: l’innalzamento del limite di deducibilità fiscale introdotto nel 2013 ha rappresentato un importante passo nella direzione di incentivare gli accantonamenti. Il sistema fiscale potrebbe andare oltre consentendo rettifiche e svalutazioni fiscali pienamente deducibili nello stesso esercizio come succede in altri paesi (non proprio attuabile visti i nostri problemi di gettito fiscale ndr). Inoltre le istituzioni pubbliche (istituti previdenziali, Equitalia, etc.) che vantano crediti verso debitori insolventi dovrebbero partecipare alla ristrutturazione (giudiziale e stragiudiziale) dei debiti. Mettere sullo stesso piano pubblico e privato dovrebbe incentivare tutte le parti ad ottimizzare gli sforzi di recupero del credito e promuovere una più ordinata risoluzione delle insolvenze.
Riforme legali per promuovere ristrutturazioni del debito giudiziali e stragiudiziali: il pacchetto di riforme della giustizia proposto dal governo va nella giusta direzione. Tuttavia ulteriori provvedimenti potrebbero ridurre l’arretrato giudiziale ed accelerare le azioni esecutive. Per esempio si potrebbe ridurre il ruolo dei tribunali, attribuendo poteri di gestione della procedura di liquidazione ad amministratori senza la necessità di approvazione da parte del tribunale per quelle decisioni minori che non ledono i diritti dei creditori. I notai potrebbero essere abilitati a determinare i valori immobiliari e supervisionare le aste giudiziali, usando procedure standard e strumenti online. Seguire best practice guidelines per la ristrutturazione dei debiti potrebbe ulteriormente incentivare le soluzioni stragiudiziali. Come altri paesi hanno fatto, potrebbero essere utilizzati incentivi fiscali e di vigilanza per incentivare istituzioni finanziarie e debitori a raggiungere soluzioni stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti. La conversione dei crediti in partecipazioni (debt equity swap) dovrebbe essere incentivata.”
Appare quindi cristallino quanto chiesto dal FMI al Governo Italiano per “risolvere” (virgolette d’obbligo) il problema del nostro sistema bancario: operare sulle procedure esecutive immobiliari e sui fallimenti “stribunalizzandoli”, permettere alle banche di fagocitare le aziende dei propri debitori e introdurre agevolazioni fiscali per chi opera nel mercato degli NPL.
Verrà fatto dal Governo Italiano quanto richiesto dal Fondo Monetario Internazionale (e da Wall Street)? Sì, dopo il parere favorevole dalla Commissione europea, nel febbraio 2016. - Considerazioni lato debitore.
Il gran fermento fin qui descritto relativo alle sofferenze bancarie italiane, scatenato dalle nuove norme sull’Unione Bancaria Europea, ha finora considerato gli interessi dei creditori.
Ma quale impatto avrà tale sistema sui debitori italiani? La risposta non può che essere lapidaria: catastrofico.
La cartolarizzazione degli NPL, che dal lato creditore dovrà produrre una speculazione sotto forma di rendita pluriennale da distribuire agli investitori, dal lato debitore comporterà una più pressante azione di recupero che, calata in un contesto di forte crisi economica e occupazionale, costringerà ad una vita di stenti una moltitudine di cittadini italiani. E stiamo parlando sia dei crediti garantiti da ipoteca (senior) che di quelli non garantiti (junior).
Tutti coloro che si troveranno ad avere un debito verso il sistema finanziario saranno destinati a diventare mucche da mungere fino al completo saldo di quanto dovuto. L’era delle famose soluzioni a “saldo & stralcio” sta per terminare, cedendo il passo all’era delle “lacrime & sangue”. - Se consideriamo che il passaggio dal sistema bancario precedente alla riforma degli anni ‘90 a quello attuale ha determinato una crisi da sovra-indebitamento (drogata a dismisura dall’afflusso di capitali esteri), non sostenuta da una adeguata politica di sostegno dei redditi, dovuta a ricercate crisi occupazionali indotte dal sostegno dogmatico a politiche deflazionistiche, possiamo tranquillamente affermare che il disegno di espoliazione della ricchezza italiana, oltre ad essere unitario, è doloso, studiato e perseguito da una classe dirigente esterofila e traditrice, sostanzialmente criminale.
- Con la legge 130 del 1999 il legislatore italiano introduceva nel nostro ordinamento la possibilità di cartolarizzare i crediti. È fondamentale leggere la relazione con cui veniva illustrato alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati il disegno di legge del Governo Prodi, presentato dall’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi:
- I nuovi scenari relativi all’assetto proprietario del patrimonio immobiliare italiano.
Se le sofferenze bancarie rappresentano un mercato estremamente appetibile per la finanza, non da meno è l’altro grosso affare costituito dal collegato mercato immobiliare.
Si tratta, nello specifico, degli immobili posti a garanzia dei debiti contratti.
L’appetibilità è dovuta anche al fatto che la bolla immobiliare italiana si sta sgonfiando velocemente e la forte disponibilità di immobili in vendita, dei quali una fetta consistente nell’ambito delle numerosissime procedure esecutive e fallimentari pendenti presso tutti i tribunali del Paese, ne fa scendere il prezzo a livelli bassissimi.
In questo scenario i fondi di investimento possono fare incetta di immobili in un mercato, quello italiano, unico al mondo per storia cultura e, quindi, valore.
Comprare interi blocchi immobiliari a prezzi stracciati, magari approfittando di interventi normativi volti ad alleggerire il carico giudiziario delle aste e a favorire fiscalmente determinate procedure di vendita, rappresenta il miglior investimento per il capitale finanziario che vuole ancorare a solide fondamenta – è proprio il caso di dirlo – una rendita derivante dalla gestione degli immobili (affitto).
Questo scenario non è affatto lontano dalla sua realizzazione, in quanto già da tempo, chi deve fare consulenze agli investitori sta studiando al microscopio il mercato immobiliare italiano:
“Il contributo di Nomisma sulle transazioni immobiliari italiane alla piattaforma globale di RCA ha consentito di accendere un faro sull’attività di mercato. Dicembre è stato in Italia un mese inequivocabilmente ricco di transazioni immobiliari commerciali di alto profilo. Ciò rappresenta un importante passo nella giusta direzione al fine di rendere il mercato italiano più trasparente per la platea internazionale, che a sua volta rafforzerà le attività di investimento e l’afflusso di capitale.”
- Il portafoglio dei titoli pubblici italiani nei bilanci bancari (l’attacco da Francoforte).
- Il 21 gennaio 2016 è stato pubblicato dalla Luiss un paper, a firma di economisti che hanno ricoperto o che ricoprono ruoli governativi e istituzionali, che mette in evidenza la posizione tedesca in merito alla questione dei titoli di stato detenuti dalle banche: “
La Bundesbank in particolare richiede che non si proceda ai previsti istituti di condivisione dei rischi bancari prima che sia completato il processo di allentamento del legame tra rischio sovrano e rischio bancario. L’assicurazione comune dei depositi bancari europei verrebbe così rinviata nel tempo perché, nella visione tedesca, condividere i rischi di banche cariche di titoli di stato significherebbe condividere i rischi del debito degli stati. […] Per la stessa logica ma applicata ai debitori privati, viene poi chiesto che la comune assicurazione sui depositi venga varata solo dopo che siano state armonizzate le norme che regolano il diritto fallimentare.Una volta spinti i titoli del debito pubblico di un paese fuori dai bilanci bancari di quello stesso paese, al sopravvenire di una crisi sarebbe possibile procedere alla ristrutturazione del suo debito senza devastare il suo sistema bancario e senza troppo condizionare – in linea teorica – la sua attività economica privata.”
Purtroppo per noi (italiani) gli economisti (di origine italiana) di cui sopra non si limitano ad esporre la versione tedesca, ma nelle conclusioni arrivano ad appoggiarla subdolamente:
“[…] Il completamento dell’unione bancaria, mediante una più rapida messa a regime del ‘Single Resolution Fund’ e la creazione dell’assicurazione europea sui depositi, richiederà progressi significativi nell’allentare il legame tra rischio sovrano e rischi bancari. Per l’Italia si tratta di scelte difficili, ma in grado di portare benefici nel medio termine. Nella percezione di molti tra i paesi membri dell’unione monetaria, d’altronde, uno dei rischi più sentiti è rappresentato dall’elevato debito pubblico che stenta a ridursi. La politica di bilancio italiana non potrà dunque trascurare l’obiettivo della riduzione del debito. L’applicazione sistematica di clausole di flessibilità senza attento riguardo all’andamento del rapporto tra debito e Pil sarebbe infatti di ostacolo al rafforzamento del processo di condivisione dei rischi.”
- Dal blog “Orizzonte48” traiamo una spiegazione che riteniamo condivisibile e che ci aiuta a inquadrare correttamente il problema:
“Una ricostruzione della progressione germanico-euro-tecnocratica, che mostra i passi intrapresi per concretizzare lo scenario in questione, la traggo poi dalla mail che periodicamente mi invia L’EIR- Executive Strategic Review- Strategic Alert:”Il 19 gennaio sia il capo dell’Eurogruppo Jerome Dijsselbloem che il membro del Consiglio della Bundesbank Andreas Dombret hanno proposto, autonomamente l’uno dall’altro, di allineare agli altri strumenti finanziari i titoli di stato detenuti dalle banche dell’Eurozona. Il viceministro tedesco del Tesoro, Jens Spahn, aveva trasmesso una simile proposta al Bundestag nel dicembre scorso prima di proporla a livello europeo. Se passasse, la regola costringerebbe molte banche della periferia, che detengono una quota consistente di titoli di stato dei rispettivi paesi, ad aumentare le riserve di capitale. Un’altra tegola sulle banche italiane, che sembra si voglia spingere apposta in una situazione critica. Essa rivela anche l’intenzione di schiacciare le nazioni che stanno dietro quei titoli sovrani. “C’è bisogno di un trattamento regolatorio più realistico dei titoli di stato detenuti dalle banche. La crisi ha chiaramente mostrato che tale esposizione non è scevra da rischi“, ha scritto Dijsselbloem in un articolo sul Wall Street Journal il 18 gennaio. Dombret ha affermato nello stesso giorno in un’intervista che “è divenuto più che ovvio che i titoli sovrani non sono esenti da rischi. Dal mio punto di vista, questo è un tema che va finalizzato, possibilmente dopo le riforme Basel III”. Dijsselbloem ha anche difeso il regime di bail-in – dopotutto, fu lui a coniare il termine “modello cipriota” per universalizzare l’esproprio dei risparmi dei cittadini al fine di salvare gli speculatori – e ha proposto di accelerare il processo di costruzione dell’Unione dei Mercati di Capitale (UMC) in modo da stabilire gli standard per “cartolarizzazioni semplici e trasparenti”. In parole povere, verrebbe attribuito un €-rating ai titoli del debito pubblico, massicciamente detenuti dalle nostre banche, che obbligherebbe le stesse a ponderarne il valore attualmente iscritto in bilancio per un fattore di rischio che, appunto, ne diminuirebbe il valore nominale (ai corsi attuali di piena solvibilità dello Stato italiano).”
- Il 21 gennaio 2016 è stato pubblicato dalla Luiss un paper, a firma di economisti che hanno ricoperto o che ricoprono ruoli governativi e istituzionali, che mette in evidenza la posizione tedesca in merito alla questione dei titoli di stato detenuti dalle banche: “
- Le cessioni e le concentrazioni di proprietà degli istituti di credito.
Lo scenario appena delineato aprirebbe la strada ad una crisi bancaria che si risolverebbe con il meccanismo della concentrazione tipico dei sistemi capitalistici e quindi con la fagocitazione delle banche italiane sotto attacco speculativo da parte sia delle “virtuose” banche tedesche che di quelle statunitensi.
Risulta quindi vano ed ipocrita il declamato tentativo di salvare le banche italiane chiedendo loro di ingrandirsi. Anzi una concentrazione a livello nazionale, se non protetta dalla Stato italiano, risulterebbe funzionale al disegno di saccheggio straniero.
Sembra di rivivere il periodo tra il 1943 e il 1945, quando l’Italia era zona di guerra assediata dall’ex alleato tedesco e bombardata dall’ex nemico USA.
Come ne usciremo?
Ci aspettano anni difficili che solo lo studio della Storia può lasciarci intravedere, ma se la volontà del popolo italiano si indirizzerà verso la riconquista della sovranità nazionale, potremo tornare ad immaginare, anche nel settore bancario, un futuro di prosperità e benessere diffuso, come quello che abbiamo vissuto fino all’avvento delle devastanti leggi bancarie degli anni ‘90 targate Amato, Ciampi e Carli.
CI LIBEREREMO!
Andrea Franceschelli – ARS Pescara
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