I percorsi scolastici dei figli degli immigrati meridionali al Nord
di GABRIELE BALLARINO e NAZARENO PANICHELLA (sociologi; Università degli Studi di Milano)
La “grande migrazione” dal Sud verso il Centro-nord del paese che ha avuto luogo tra gli anni 50 e gli anni 70 del secolo scorso è stato probabilmente il movimento di popolazione più importante nella storia dell’Italia contemporanea: oltre 2 milioni di persone si sono spostate, cambiando profondamente la struttura sociale e demografica del paese.
All’epoca, la grande migrazione e il suo impatto sulla società sono stati studiati da sociologi, demografi ed economisti, e sono stati raccontati dal cinema e dalla letteratura. Ma nei decenni successivi le migrazioni interne, pur proseguendo, si sono ridotte, e l’Italia ha iniziato a trasformarsi da paese di emigrazione a paese (anche) di immigrazione. Così, l’attenzione degli studiosi e dell’opinione pubblica si è rivolta quasi esclusivamente al nuovo fenomeno delle migrazioni internazionali.
Per questa ragione, a tutt’oggi rimane ancora molto da scoprire sugli esiti di lungo periodo delle migrazioni interne, e in particolare sull’integrazione dei figli di quella parte degli immigrati meridionali (il 66,3%) che non sono tornati nel loro luogo di origine, ma si sono insediati stabilmente al Centro-nord, hanno formato una famiglia e hanno avuto dei figli, quella che gli studiosi chiamano “seconda generazione” di immigrati.
In generale, la ricerca sulle migrazioni insegna che l’inserimento della seconda generazione nella società ricevente non è solo un nodo cruciale del processo migratorio stesso, ma è un potente fattore di trasformazione delle società riceventi e una sfida per la coesione sociale di queste ultime. Si tratta di un fenomeno sociale complesso e articolato, che andrebbe studiato guardando all’intero corso della vita, scolastica, lavorativa e familiare degli interessati.
Tuttavia, spesso i limiti dei dati non lo consentono, per cui le ricerche si concentrano sui percorsi scolastici dei figli degli emigrati. Come sappiamo dagli studi di mobilità sociale, l’istruzione è un predittore decisivo della posizione sociale di destinazione: se gli immigrati di seconda generazione hanno percorsi scolastici simili a quelli degli autoctoni, è ragionevole pensare che essi siano relativamente ben integrati nella società ricevente.
I risultati empirici confermano l’importanza della distinzione di tre gruppi di figli di meridionali emigrati, i cui percorsi scolastici sono stati piuttosto diversi. Il primo, che comprende i figli di un genitore meridionale e un centro-settentrionale, non presenta penalizzazioni significative rispetto ai centro-settentrionali, a dimostrazione che la presenza di un genitore radicato nel territorio favorisce la riuscita scolastica. Il secondo gruppo comprende i figli dei meridionali che sono nati nel Centro-nord: anche nel loro caso i risultati scolastici non sono diversi da quelli dei loro coetanei centro-settentrionali. Il terzo gruppo comprende chi ha vissuto la migrazione dei genitori durante l’obbligo scolastico: questo è l’unico gruppo di figli di meridionali emigrati al Nord per i quali si osserva uno svantaggio scolastico significativo.
Vivere direttamente la migrazione, interrompendo gli studi per riprenderli in una scuola diversa e sconosciuta, e affrontando una seconda socializzazione nel luogo d’arrivo: tutti questi sono eventi che penalizzano il percorso scolastico. Non solo: una volta arrivati al Nord, i genitori dei bambini del terzo gruppo hanno dovuto ammortizzare i costi della migrazione, talvolta anche accettando occupazioni precarie e dequalificate, proprio mentre i loro figli stavano frequentando la scuola dell’obbligo.
Questo risultato è un chiaro esempio di come le diverse strategie migratorie, ovvero le diverse modalità con cui gli individui si spostano da una zona geografica a un’altra, possano creare catene di svantaggio che persistono nel lungo periodo. Mentre i migranti interni che si sono spostati con figli a seguito hanno creato svantaggi che si sono accumulati nel tempo e tra le generazioni, i meridionali che si sono spostati da soli e che hanno messo al mondo un figlio nel Nord, quando i costi della migrazione erano già ammortizzati, sono riusciti a interrompere questa catena di svantaggi, garantendo ai loro discendenti le stesse opportunità educative dei centro-settentrionali con caratteristiche simili.
Si tratta di una dimostrazione di integrazione molto importante e non priva di conseguenze per le politiche pubbliche. La scuola italiana ha infatti svolto un ruolo importante nel favorire l’integrazione dei figli dei meridionali nel Nord, ma si è rivelata meno pronta a integrarli quando essi hanno iniziato il percorso scolastico nel Sud.
La nostra ricerca ha confrontato i figli dei meridionali emigrati al Centro-nord anche con i figli dei meridionali rimasti al Sud, per valutare se la scelta di migrare sia stata “vincente”. Si tratta di un confronto importante, ma poco praticato nello studio delle migrazioni internazionali, per mancanza di informazioni su chi non è emigrato. I nostri risultati mostrano che la migrazione interna è stata vantaggiosa, soprattutto per quel che riguarda la transizione dalla scuola media alla superiore.
Infatti, per i figli dei meridionali non emigrati le scelte educative dopo l’obbligo si riducevano, in buona sostanza, all’alternativa tra abbandono e liceo, con l’università come obiettivo, e questo limitava aspirazioni e percorsi scolastici, soprattutto dei giovani provenienti dagli strati sociali più bassi. Insomma, mentre al Centro-nord lo sviluppo industriale era accompagnato dalla crescita della scuola secondaria superiore tecnico-professionale, che garantiva buoni ritorni occupazionali anche ai figli della classe operaia, al Sud dopo l’obbligo questi ultimi si trovavano costretti ad abbandonare.
fonte: Neodemos – Popolazione società e politica
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