Appello al Popolo, ARS, Antieuropeismo, Unione economica europea e Unione politica europea
di Stefano D’Andrea
a seguire l'articolo di Aldo Giannuli Untà europea: che bella cosa, però…
Fin dalla nascita di questo blog ho testimoniato una posizione politica “antieuropeista”. Successivi scritti e interventi video hanno chiarito che la mia posizione politica è di contrarietà al mercato unico creato con Maastricht e già preparato nel quinquennio precedente e alla moneta comune (l’euro). Già nel primo articolo – il Manifesto del fronte popolare italiano, che era soltanto la sintesi delle mie personali idee politiche – avevo scritto: “36. L’Europa è una organizzazione internazionale. Si può desiderare una organizzazione internazionale che comprenda tutti i paesi europei e al contempo desiderare la distruzione dell’Europa come essa oggi è: nel senso che si può volere l’Europa come organizzazione internazionale e al contempo desiderare l’abrogazione di tutti o di molti dei principi fondamentali enunciati dai Trattati europei e, quindi, la sostituzione dei principi abrogati con altri principi fondamentali”. Oggi non scriverei più "L’Europa", bensì “L’Unione europea”; ma il concetto era ed è chiaro.
E nel secondo articolo pubblicato sul blog, un commento alle elezioni europee, avevo chiarito che “l’europeismo e l’antieuropeismo vanno misurati e valutati soltanto con riguardo all’Europa così come essa è configurata nei Trattati europei e che non ha alcun senso, sotto il profilo giuridico, politico e più in generale pratico, dirsi europeisti ma contrari ai Trattati europei. L’Europa da giudicare – rispetto alla quale si è favorevoli o sfavorevoli – è l’Europa esistente: quella configurata e progettata dai Trattati europei. Chi è per un Europa diversa da quella configurata e progettata dai Trattati è antieuropeista, anche se non possiede l’intelligenza per capirlo o il coraggio per affermarlo”.
Fin da principio ho anche segnalato che l’Unione europea era la principale causa della morte del Parlamento italiano, il quale si trova da tempo a svolgere il ruolo di esecutore di direttive europee, e che il ruolo di esecutrici di direttive europee e di altri dogmi liberisti e globalisti (in realtà tutti fatti propri dall’Unione europea) era la ragione della assoluta omogeneità delle due coalizioni che da quasi venti anni governano l’Italia: “legiferare ormai da lungo tempo significa applicare ed adeguare. Ed è per questo che basta un governo e non serve il Parlamento. Applicare le direttive europee; applicare gli accordi del wto; applicare il principio della libera concorrenza; applicare il dogma delle privatizzazione delle imprese pubbliche; applicare i suggerimenti della analisi economica del diritto; applicare il principio più caro al capitale finanziario, ossia il principio di non tassare severamente le rendite; applicare il principio della precarietà del lavoro subordinato; adeguare la legislazione di spesa e tutta quella connessa ai criteri di Maastricht; applicare gli accordi di Schengen; applicare la strategia di Lisbona; applicare il principio “economico” (ossia l’inganno ideologico) che si crea valore anche se si moltiplicano gli intermediari; applicare il principio che bisogna lasciare al “mercato” la decisione sui rapporti di forza tra produttori e intermediari; applicare la suprema direttiva della libera circolazione mondiale del capitale finanziario; adeguarsi alla dottrina della guerra preventiva; addirittura applicare le direttive del vaticano; e così via”.
Per queste ragioni auspicavo la formazione di un Fronte popolare italiano che volesse riconquistare la sovranità ed esercitarla con coraggio e indipendenza. La neonata Associazione Riconquistare la Sovranità va nella direzione fin da principio auspicata. Se Appello al Popolo era uno dei tanti rivoli, mi auguro che l’ARS riesca ad essere almeno un ruscello, formato da diversi rivoli, che un giorno si unirà ad altri ruscelli che confluiscano in un fiume in piena.
Ho sempre escluso, invece, che i problemi potessero essere risolti con "più Europa", ossia con la costituzione di una fantomatica Unione politica europea, che facesse dell’Europa uno stato. Ho considerato l’Unione politica europea come qualcosa di meno di una chimera e l’ho chiamata fuffa.
Al contrario, ho più volte illustrato che sarebbe utile tornare a qualcosa di simile al vecchio “mercato comune” (limitato a un numero più modesto di stati rispetto agli attuali membri dell’Unione europea), nel quale i principi di libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali avevano notevoli eccezioni; discorso a parte meriterebbe il principio della concorrenza, che andrebbe quanto meno escluso in diversi settori economici. Astrattamente, gli stati europei potrebbero cancellare euro e mercato unico e creare un nuovo “mercato comune” di comune accordo. Dubito che ciò sia possibile: significherebbe una completa dichiarazione di fallimento. In politica, dichiarazioni simili si verificano assai raramente. E’ più facile che l’Unione europea vada a schiantarsi o imploda, piuttosto che gli stati europei tornino indietro di comune accordo. E’ in quest’ottica che l’ARS ha proposto di recedere dai trattati europei.
Siccome l’idea del recesso ha suscitato alcune perplessità, è opportuno svolgere due precisazioni. Intanto, il recesso non aspira ad alcuna forma di completa autarchia. Nel Documento di analisi e proposte, non soltanto, nel § 15, si propone il recesso, bensì, nel § 17, è scritto: “Tutti gli stati del sud Europa che usciranno dall'Unione Europea dovranno essere invitati a costituire una zona di libero scambio, con monete diverse, sulla falsariga del vecchio mercato comune e quindi stabilendo notevoli deroghe ai principio della libera circolazione dei capitali, dei servizi e delle merci. Alcuni settori strategici, come, per esempio, il settore bancario e assicurativo, dovranno rigorosamente essere tenuti fuori dagli accordi. Nella disciplina di questi settori la sovranità dovrà essere assoluta. Gli Stati partecipanti manterranno comunque poteri di dogana nei confronti dei paesi terzi”. E sotto altro profilo, nel medesimo paragrafo 17 è previsto: “Dovrà essere promossa una alleanza militare tra stati europei, indipendenti e sovrani, fondata sul coordinamento tra gli eserciti nazionali, senza alcuna creazione di un esercito comune. Quali possano essere questi stati europei non è possibile dire, perché tutto dipenderà dalla situazione che si verrà a creare dopo il recesso dall'Unione Europea degli Stati del sud Europa, nonché di molti stati dell'est”.
In secondo luogo, l’ARS non è un grande partito, che abbia ragione di esprimere posizioni tattiche. Né è un’associazione che suggerisce a uno o più grandi partiti la posizione politica da assumere (anche in questo caso sarebbe necessario tener conto delle esigenze tattiche e in generale della necessità di trovare rilevante consenso). Al contrario è una piccola associazione appena sorta, la quale ha l’esigenza di indicare la situazione finale desiderata (il ritorno a una specie di mercato comune e la distruzione del mercato unico) e il mezzo per raggiungere quella situazione: recesso e accordi con altri stati. Ciò tuttavia non sta a significare che saremmo dispiaciuti di un accordo tra gli stati europei con il quale essi decidano di tornare indietro e di abbandonare il mercato unico. Quell’accordo avrebbe giganteschi effetti benefici, non soltanto sul piano strettamente economico, bensì anche su quello politico. Resta però il fatto che oggi appare difficile che un simile accordo venga proposto ed accettato.
Piuttosto, Appello al Popolo non ha mai argomentato con completezza per quale ragione l’Unione politica europea sia una chimera, mera fuffa, molto meno di un sogno irrealizzabile, bensì un incubo che per fortuna non potrà mai materializzarsi. Abbiamo indicato di volta in volta vari argomenti, spesso nei commenti, ma mai abbiamo esposto in modo organico le ragioni che dovrebbero far cadere ogni illusione sulla costituzione di uno stato europeo federale. Di recente, un quadro organico è stato fornito in un articolo di Aldo Giannuli, il quale, forse, ha dimenticato soltanto un argomento, che più volte noi abbiamo segnalato: appena creata l’Unione politica europea sorgerebbero movimenti secessionisti e gravi rischi, se non certezze, di guerre di secessione. Chi vuole l’unione politica europea deve essere pronto anche ad affrontare il rischio, estremamente probabile, di guerre di secessione. Non si può volere l’una senza le altre, come in genere non si possono volere soltanto alcune delle conseguenze delle proprie azioni. Svolta questa precisazione, lasciamo la parola ad Aldo Giannuli, il quale ha scritto un articolo estremamente chiaro sul nostro argomento
Unità Europea: che bella cosa, però…
di Aldo Guiannuli Aldo Giannuli
La panacea di tutti i mali d’Europa sembra finalmente trovata: fare subito l’unità politica, dopo quella monetaria, e così unificheremo il fisco, il diritto commerciale e quello penale, il sistema universitario, ecc. Antiche ferite saranno sanate di incanto, le economie dei singoli paesi convergeranno in magica armonia, vecchi dissidi troveranno la loro composizione e tutti vivremo felici e contenti. Che bello! Mi avete convinto: quando si parte? Naturalmente, non stiamo parlando dell’ennesimo pastrocchio per cui unifichiamo il fisco, magari creando una Cassa Centrale Europea sul modello della Bce, che diventa un altro apparato tecnocratico a sé stante, stiamo parlando proprio dii uno Stato federale, che ha un suo governo che diventa titolare esclusivo di moneta, politica estera, forze armate e giustizia penale federale (quantomeno). Insomma stiamo parlando di uno stato vero. Però prima ci sarebbero alcune piccole questioni da mettere a posto: quisquilie, pinzillacchere, avrebbe detto il Principe De Curtis, ma, insomma, occorre pure pensarci un attimo:
1-uno Stato deve avere una forma istituzionale precisa: monarchia o repubblica (e poi occorre precisare se repubblica parlamentare o presidenziale ecc.). Il primo problema è definire la natura della federazione europea: siamo sicuri che i paesi monarchici (Spagna, Belenux, Svezia, Danimarca, Norvegia ed Inghilterra) accetterebbero di federarsi in una unione repubblicana? Oppure, nel caso meno probabile di una soluzione monarchica dell’Unione, che gli stati repubblicani (Portogallo, Francia, Irlanda, Italia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, ecc.) siano disposti ad accettare questa soluzione? Si è mai vista una repubblica con enclaves monarchiche al suo interno? Anche ignorando il problema, evitando di definire la natura del nuovo stato, resterebbero problemi non secondari di convivenza fra monarchie e repubbliche, quantomeno sui principi del diritto costituzionale. E lasciamo da parte se il nuovo stato debba avere una impronta parlamentare o presidenziale.
2- Analoghe considerazioni si potrebbero fare a proposito della convivenza fra stati unitari centralizzati (come la Francia), stati federali (come la Germania) e stati regionali (come Italia e Spagna). Bisognerà scegliere un criterio unico per l’intera Unione. E se gli stati nazionali sopravvivranno come unità federate, che senso avrà suddividerli al proprio interno in ulteriori unità federate? Esistono stati unitari e stati federali in due livelli, ma una cosa in tre livelli non si è mai vista e non si capisce che funzionalità possa avere.
3-Peraltro, non si dà Stato senza costituzione. L’Inghilterra ne ha una consuetudinaria (come altri paesi del suo vecchio impero), ma la norma è quella delle costituzioni scritte. Quando si è provato a scriverne una per la Ue, ci si sono impiegati circa cinque anni ed il risultato è stato un testo improponibile di circa 600 pagine, con articoli disseminati di commi e sottocommi che si contraddicevano a vicenda, descrivendo un processo decisionale macchinoso e caotico. Giustamente quell’aborto di costituzione venne ripetutamente impallinato nei referendum popolari di Francia e Danimarca, dopo di che non se ne parlò più. Grazie a Dio.
Cosa ci fa pensare che, di colpo, siamo in grado di produrre una costituzione agile e funzionale, che disegni un processo decisionale efficiente e democratico e che riesca a mettere tutti (o quasi) d’accordo sui diritti fondamentali del cittadino e sul modo di definirli e garantirli? E per di più a tamburo battente, perché se ci mettiamo altri 5 anni solo per avere il testo di costituzione per avviare la discussione, tanto vale lasciar stare tutto come sta. Occorrerebbe quantomeno eleggere una Assemblea Costituente Europea, nella speranza che essa riesca a produrre in tempi accettabili (un anno o poco più, al massimo) questo tipo di costituzione. Dopo ciò, sa va sans dire, sarebbe necessario quantomeno un referendum popolare in ogni paese per vedere quali popoli sono disposti a ratificare la nuova Costituzione e la confluenza del proprio nel nuovo Stato. Insomma, non proprio una cosa che si fa dalla sera alla mattina. Ma, nel frattempo, che fine fanno le costituzioni nazionali, restano vigenti o no? Peraltro, dopo l’eventuale approvazione della Costituzione federale, occorrerebbe adeguare le costituzioni nazionali a quella federale per tutto quanto sia in contrasto con essa. Ed occorrerebbe una Corte Costituzionale (o Suprema) Europea che giudichi se l’adeguamento sia soddisfacente o meno.
4-Ma per avere uno stato unitario occorre non solo una Costituzione formale, ma anche una Costituzione materiale, un sistema politico unitario con agenti (partiti, associazioni, sindacati) ecc. a livello della statualità. Insomma occorre avere, ad esempio, un unico partito socialista europeo con un segretario e un proprio organo dirigente, cui sono subordinate tutte le strutture periferiche a livello locale (dove per locale si intende Francia, Germania, Italia ecc.) ed altrettanto per i conservatori, i democristiani, liberali ecc. Se i partiti europei restassero quello che sono –mere aggregazioni federative con vincoli interno molto laschi- avremmo solo un Parlamento fatto da tanti sindacati territoriali (come la Lega, per intenderci), incapace di decidere alcunché. Questo spingerebbe ad una soluzione presidenzial-direttoriale il cui punto di appoggio, più che il consenso popolare, non potrebbe che essere la struttura tecno-amministrativa dello Stato. Una cosa non molto democratica e che, peraltro, non è detto che funzioni. D’altra parte, un sistema politico è fatto di una serie molto sofisticata di meccanismi che devono interagire fra di loro (poteri dello stato, agenti politici, agenti sociali, sistema mass mediologico ecc) ed allo stato attuale è molto difficile omogeneizzare i diversi sistemi politici locali in uno funzionale centralizzato.
5-E’ vero che l’unificazione politica ci metterebbe in condizioni migliori per affrontare i nodi decisivi del debito e delle divergenti economie nazionali, ma è anche vero che non farebbe svanire di per sé né l’uno né l’altro problema. Il debito, ad esempio, resterebbe a carico degli stati federati o verrebbe assorbito dallo Stato federale? Se restasse a carico dei singoli stati federati –e senza neppure una garanzia dello Stato federale-, la situazione non cambierebbe molto da quella attuale ed il rischio di default di una singola unità federata finirebbe per proporre le stesse dinamiche attuali. Anzi, sottrarre la gran parte della politica fiscale –dopo aver eliminato quella monetaria- agli stati federati, non avrebbe altro effetto che irrigidire ulteriormente il sistema esponendo tutti al rischio di paralisi. E non si invochino i precedenti degli Stati americani che hanno dichiarato default, senza che questo abbia avuto ripercussioni (almeno per ora) sulla situazione monetaria del paese, perché, in quel caso, si trattava di un debito in larga parte domestico, mentre qui i titoli di debito dei singoli stati sono in larga parte nelle casse degli altri stati e delle banche, per cui il default provocherebbe l’effetto domino di cui si teme oggi. Peraltro, debito dello Stato sono anche le pensioni e qui dovremmo capire come garantirle se il prelievo fiscale passasse nelle mani dell’Unione e l’onere del pagamento delle pensioni restasse agli stati federati. Poi ci sarebbe da capire quali settori della Pa degli attuali stati nazionali resterebbe alle unità federate e quali andrebbero a carico dello stato federale: sicuramente le Forze Armate e la diplomazia dovrebbero passare all’Unione, ma polizia, ordinamento giudiziario ed apparati fiscali dovrebbero essere suddivisi: in quale misura e con quali criteri? Dunque, buon senso vorrebbe che la messa in comune della sovranità fiscale e monetaria comportasse anche l’accentramento del debito, ma chi glielo va a dire a Frau Angela? Se non riusciamo a varare neppure una misura all’acqua di rose come il fondo salva-stati, come pensare alla piena messa in comune dei debiti?
6-Peraltro resterebbe il problema del dualismo economico fra area mediterranea e nord Europa (e parlare di dualismo è molto ottimistico, perché in realtà le realtà divaricanti sono ben più di due) e qui, per creare convergenza o almeno integrazione delle diversità, occorre un intervento centrale che redistribuisca risorse ed, ancora una volta, chi glielo dice a Frau Angela? Insomma, se vogliamo tenere la Grecia nell’Unione è possibile farlo senza creare una rete di trasporti decente, lasciando il porto del Pireo in mano ai cinesi e lasciando tassi di disoccupazione oltre il 30%?
7-C’è poi la fastidiosa questione della lingua: quale sarà quella ufficiale dell’Unione? La questione non è da poco perché non si tratta solo di scegliere come discutere nelle sedute del Parlamento o in che idioma redarre i documenti dell’Unione, ma di quale deve essere la lingua veicolare con la quale i cittadini dei diversi paesi dialogheranno fra loro. Uno strumento comunicativo comune è necessario se si vogliono avere mass media, partiti, sindacati ecc a livello della statualità e non una congerie di parlate locali che lasciano tutto come è. Ma scegliere una delle lingue nazionali attuali (realisticamente francese, spagnolo o tedesco) significa dare un vantaggio enorme ai mass media ed all’industria culturale di quel paese rispetto agli altri: chi è disposto ad accettare un declassamento della propria televisione o del proprio cinema alla serie B mentre il vicino accede alla A? Adottare l’inglese? Peggio: significa dare questo vantaggio a soggetti esterni all’Unione (Usa, Australia ecc ed auspicabilmente Inghilterra) ai danni di quelli interni: la più stupida fra tutte le soluzioni possibili. La lingua è potere: non dimentichiamolo mai.
Genialmente qualcuno se ne uscirà con l’idea di tre o quattro lingue ufficiali, sul modello svizzero. Dimenticando, però che la Svizzera è, appunto, una eccezione e che in quel paese il 72% parla il tedesco per cui le altre sono poco più che minoranze linguistiche tollerate. Nel caso europeo questa soluzione lascerebbe intatto il problema dell’assenza di una vera lingua veicolare, con l’aggravante di condannare una buona parte dei paesi membri alla serie B (in primo luogo Italia, Polonia e Portogallo che significano qualcosa nel quadro della cultura mondiale). Non ho soluzioni da proporre, qui pongo solo il problema.
8-Venendo a questioni di minor peso: uno Stato ha una Capitale, dove la mettiamo? Berlino? Dopo quello che c’è stato e con l’ondata di germanofobia generata dall’atteggiamento della Merkel? E dopo alcuni precedenti più remoti che qui non citiamo? Parigi? A me andrebbe benissimo, ma i tedeschi lo accetterebbero? La soluzione finirebbe quasi certamente per essere quella di una città non particolarmente significativa magari a cavallo fra Francia, Germania e Benelux, come, guarda caso, Strasburgo. Ma può una potenza mondiale avere la capitale a Strasburgo? Non dà già l’idea di una cosa che parte in tono minore? L’Europa di Strasburgo è questa che ha pasticciato con la moneta e la profluvie di direttive senza essere nulla. Occorrerebbe una discontinuità anche simbolica.
Ed ora che abbiamo parlato di prossima unione politica dell’Europa, parliamo di cose serie: secondo voi chi vince fra Germania, Inghilterra ed Italia? Parlo del campionato di calcio ovviamente….
Non ho mai creduto nell’unificazione politica europea, sarebbe , per dirla alla fantozzi, una boiata pazzesca, come magistralmente ha dimostrato Giannuli. Ma credo anche che Gemania e Francia siano coscienti della irrelizzabilità del progetto, perciò sospetto che il loro disegno sia un altro, e cioè lasciar le cose come stanno, limitarsi ad esercitare il potere politico, quello vero, reale, dietro le quinte di Bruxelles, tramite i commissari e un esercito di plenipotenziari scelti da loro per cooptazione, usare le larve degli altri stati come esattori delle imposte, continuando a svuotarli delle residue sovranità, lascia passare i decenni durante i quali, impercettibilmente i popoli si estinguereranno da sé, le nuove genrazione manco si ricorderanno più di essere stati una volta dei popoli. Secondo me stanno seguendo il metodo della vasellina. La diarchia franco-tedesca aspetta che la pera matura cada da sola. Senza impelagarsi in problemi politici, costituzionali, istituzionali diplomatiche linguistiche, ecc… Le lingue saranno due: tedesco e francese, le altre ridimensionate a dialetti in via di estinzione, alle lingue succedrà come ai popoli, etnie queste e dialetti quelle da estingere lentamente. Le capitali : Berlino e Parigi, in una il governo, nell’altra il consiglio dei cooptati. Non hanno il problema di formare uno stato; hanno il problema di come lasciar sciogliere gli altri stati e rafforzare i loro due stati.