di LUCIANO GALLINO (1927-2015; sociologo)
Gli Stati europei hanno speso trilioni per salvare gli enti finanziari. In Germania ci sono degli istituti bancari che hanno fatto veramente delle cose inimmaginabili, ad esempio nel campo dei derivati. Non parliamo poi delle banche olandesi o di quelle spagnole, che hanno seguito esattamente le orme di quelle americane, non solo nell’offrire crediti, ma anche nell’imporre crediti: hanno imposto mutui a famiglie che non erano assolutamente in grado pagarli. Ne è seguita una crisi gravissima del sistema finanziario. Gli Stati hanno speso direttamente o impegnato trilioni di euro: 1,3/1,4 trilioni di sterline nel Regno Unito; 1,4 trilioni di euro in Germania, un po’ meno finora in Italia, per quanto se ne è capito, ma non se ne è capito molto.
A questo punto i governi spiegano che bisogna tagliare le spese per salvare i bilanci, e le spese da tagliare sono sempre le stesse: sanità, pensioni, scuola, Stato sociale. Da un lato è una forma di iniquità, dall’altro di ingenuità, o se vogliamo di perfidia cronica, perché il risultato è che si hanno cittadini meno istruiti, malcontento, conflitti sociali. Se si tiene conto del fatto che si sono spese follie per salvare il sistema finanziario,
appare quasi irreale il discorso pubblico sulla riduzione dello Stato sociale: esso è compromesso fin dall’inizio, perché si basa sull’idea che il deficit di bilancio sia dovuto alle spese per lo Stato sociale.
Tra l’altro ci sono anche robusti dati a smentire questa interpretazione: nei due anni dal 2007 al 2009, il deficit medio dell’eurozona è salito dallo 0,7% al 7%: si è moltiplicato per 10. Le spese per lo Stato sociale non si sono mosse! In quel biennio la composizione della spesa si è lievemente modificata ma il suo ammontare è rimasto invariato, quindi imputare alla spesa sociale il deficit dei bilanci è veramente scorretto.
Ciò detto, lo Stato sociale ha comunque dei problemi. Indubbiamente l’invecchiamento, l’incremento del numero di persone anziane e molto anziane per il sistema pensionistico è relativamente un problema. Non è quel problema mastodontico che gli ideologi neoliberali sbandierano ogni giorno, ma sicuramente richiede degli interventi. La medicina costa sempre di più perché è sempre più tecnologica e perché naturalmente un notevole numero di anziani richiede anche un maggior numero di interventi; ma anche per i giovani, per i bambini, per i neonati, la tecnologia medica costa molto di più di quanto non costasse solo cinque anni fa. In ragione di questi cambia menti la spesa medica è molto aumentata. C’è poi il problema degli immigrati che, in base alle giuste disposizioni dello Stato sociale, hanno diritto all’assistenza medica, ma poiché spesso impiegano anni per trovare un lavoro regolarmente retribuito, inizialmente concorrono meno alle entrate dello Stato.
Ci sono poi dei problemi di cui nessuno parla, perché la politica non se ne occupa. Il modello attuale di sviluppo è palesemente insostenibile. Si sta andando a sbattere contro un muro. È inimmaginabile che in Italia, dove c’è
uno tra i più alti rapporti automobili-numero di abitanti in Europa, la Fiat pensi di produrre a Torino il Grand Cherokee, che è una jeep enorme e dai consumi stratosferici. Così come è assurda l’enorme produzione di gadget o la facilità e la frequenza con cui si cambiano i telefoni cellulari. Stiamo andando verso la fine di un modello di sviluppo, che – speriamo di no – potrebbe anche essere cruenta.
Se accettiamo l’idea che si debba cambiare modello di sviluppo, qual è uno dei primi problemi che ci si presenta? Abbiamo capito che l’auto, pur essendo un grande strumento di libertà, come mezzo di trasporto in città è pura follia, e chiunque giri per Torino lo sa bene. Ma se decidiamo di produrre meno auto, che fine faranno i milioni di lavoratori attualmente impiegati nelle fabbriche automobilistiche? Lo stesso discorso vale per laproduzione di gadget e altre merci inutili. Se ne produciamo e consumiamo meno, dove ricollocare gli addetti a quelle produzioni? Si dovrebbe aumentare la produzione di autobus, metropolitane, sistemi di trasporto collettivo, investire nelle energie rinnovabili, nel sostenibile, nella riqualificazione del territorio eccetera. Si tratta di un gigantesco processo di transizione, a cui bisognerebbe cominciare a prepararsi.
In senso stretto tale riconversione non fa parte delle funzioni dello Stato sociale, ma in senso lato sì. Si tratta di
proteggere i cittadini dal rischio di disoccupazione, una delle funzioni storiche dello Stato sociale, perché se non saremo capaci di trovare un modello alternativo, andremo incontro a tassi di disoccupazione e di insicurezza economica altissimi. C’è bisogno di un processo di transizione profondo e ragionato, che tenga conto di tutte le questioni in gioco: non ha senso proporre soluzioni drastiche che non considererebbero tutti i risvolti sociali del cambiamento.
È questo uno dei problemi di fondo cui bisogna pensare, ragionando in termini un po’ più ampi sullo Stato sociale.
Da un’intervista del 2011 a cura di M. E. Locatelli e S. Breda (qui la versione integrale) Iscriviti al nostro canale Telegram
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