Il limes germanico ferita e destino d’Italia (2a parte)
di DARIO FABBRI e FEDERICO PETRONI
Nonostante gli scambi commerciali e lo storico interesse germanico per le arti e la letteratura mediterranee, Italia e Germania non sono riuscite negli anni a sviluppare una reale comunanza culturale. Con i tedeschi che mantengono nettamente diviso l’apprezzamento intellettuale da quello antropologico; e con gli italiani che restano indifferenti, se non addirittura ostili, al soft power teutonico. Le reciproche diffdenze testimoniano sedimentati stereotipi nella cultura popolare, dal tedesco «barbaro invasor» all’identità germanica costruita per contrapposizione all’elemento mediterraneo .
Così per esempio Giuseppe Verdi aizza il patriottismo dell’Italia risorgimentale del 1849 mettendo in bocca al suo imperatore Federico Barbarossa in La battaglia di Legnano parole terribili: «Il destino d’Italia son io!/ Soggiogata essa in breve fa tutta/ e Milano due volte distrutta/ ai ribelli sgomento sarà». E così il suo omologo Richard Wagner ne fa pronunciare di altrettanto evocative a Hans Sachs, protagonista di I mastri cantori di Norimberga, celebrazione della supremazia dell’arte tedesca e pertanto accolta trionfalmente alla prima esecuzione, nel 1867, alla vigilia della nascita del Secondo Reich: «Attenti! Pessimi eventi ci minacciano:/ se un giorno popolo e impero tedesco/ cadranno sotto falsa maestà latina/ nessun principe comprenderà più la sua gente (…)/ Perciò vi dico:/ onorate i vostri maestri tedeschi/ (…) fnisca pure in polvere/ il sacro romano impero,/ ci resterebbe sempre/ la sacra arte tedesca!».
Eppure, nei prossimi anni la straordinaria dipendenza economica, pur priva di appartenenza sentimentale, è destinata a muovere il Settentrione italiano verso la sfera d’attrazione di Berlino. Fino a costituire una parte rilevante della futura Kerneuropa – il nucleo dell’Unione Europea attorno al quale Berlino intende realizzare una maggiore integrazione istituzionale. In realtà, l’accettazione del fallimento del progetto comunitario allargato e la riproposizione della Mitteleuropa di stampo germanico quale antidoto contro il ritorno della Bundesrepublik al rango di nazione convenzionale.
Uno spazio geopolitico pressoché fisiologico – composto dagli storici satelliti del mondo germanico, più la Finlandia e senza la Polonia – segnato da specifci connotati strategici. Improntato all’export, con i paesi del sistema incaricati di produrre i componenti impiegati dall’industria teutonica, e dedito all’austerità perché capace di supplire sui mercati esteri ai bassi consumi interni. Sul piano geopolitico si tratterà di un’entità conciliante nei confronti della Russia, così da evitare imprevedibili frizioni in Europa centrale e ridurre il peso strategico della Polonia; smaccatamente antiturca, per attenuare l’infuenza di Ankara nei Balcani e riaffermare la sovranità dei paesi mitteleuropei sulle comunità di immigranti non assimilati; nonché sommessamente antiamericana, nel tentativo di affrancarsi dal giogo di Washington e recuperare un cruciale margine di manovra. In nuce: un soggetto più compiuto dell’Unione Europea.
Come dimostrato dal sentire geopolitico dei movimenti federalisti o secessionisti del Nord Italia, spesso emanazione diretta della locale classe imprenditoriale e della cittadinanza profonda, che (inconsapevolmente) si mostrano in sintonia con la politica estera che perseguirebbe la Kerneuropa. In tale ottica gli indipendentisti veneti, gli autonomisti lombardi o la Lega, che pure criticano apertamente l’Europa a guida tedesca e l’autorità della cancelliera Merkel, esprimono ammirazione per il leader del Cremlino, Vladimir Putin, totale avversione per l’espansionismo turco e ambivalente freddezza nei confronti degli Stati Uniti.
Prodromi di un’integrazione dell’Italia settentrionale nello spazio germanico che, a dispetto di coloro che propugnano l’autonomismo scambiandolo per indipendenza, anziché coglierne l’aderenza all’egemonia altrui, tralignerebbe la semplice relazione economica per confgurarsi in un classico rapporto di subalternità geopolitica. Convinto di allacciarsi a una mera area di sviluppo commerciale, il Nord della penisola fnirebbe per innestarsi in un contesto sconveniente per ragioni domestiche, economiche e geopolitiche. Anzitutto, l’assimilazione delle regioni settentrionali nello spazio germanico, con l’adozione di politiche fscali ed amministrative di origine esogena, provocherebbe la defnitiva spaccatura del territorio nazionale.
Già provata da discrepanti livelli di benessere, l’unità d’Italia sarebbe definitivamente consegnata ai libri di storia. A questo si sommerebbe l’incompatibilità vocazionale tra le manifatture italiane e quelle tedesche. Di piccola e media taglia, la stragrande maggioranza delle imprese nostrane si concentra sul mercato domestico, mentre le industrie tedesche, di dimensioni mediamente più grandi, puntano soprattutto ai mercati esteri, anche per sostenere l’austerità fscale perseguita dal governo centrale.
La svolta di matrice germanica appare altrettanto rischiosa sul piano culturale e strategico. Benché gli italiani settentrionali si percepiscano assai diversi dai propri connazionali meridionali e dunque più facilmente integrabili nel nucleo europeo, stando alle indagini in materia i tedeschi non riconoscono differenze regionali – eccezion fatta forse per i bavaresi – e applicano gli stessi stereotipi a tutti gli abitanti della penisola. Di fatto palesando la natura smaccatamente squilibrata che avrebbe la relazione tra centro e nuova periferia del sistema. Il valore economico dell’Italia settentrionale non basta a distinguerla dall’Europa mediterranea.
Epiteto peggiorativo nel quale l’opinione pubblica tedesca inserisce la penisola tutta, deprecandone l’irredimibile ineffcienza politico-amministrativa. Inoltre, dall’informale amputazione del territorio nazionale deriverebbe il depotenziamento del meccanismo di ricatto connesso alla grandezza dell’economia italiana. Infne il Nord italiano rischierebbe drammaticamente di trovarsi al centro del prossimo scontro tra Stati Uniti e Germania.
Intenzionata a prevenire l’emergere di un egemone che in solitaria o in coabitazione possa dominare la massa eurasiatica, Washington valuta con notevole ostilità la creazione di una strutturata area di infuenza germanica, a maggior ragione se simpatetica nei confronti della Russia. Nei prossimi anni la tensione è destinata ad acuirsi notevolmente. Quando gli Stati Uniti interverranno massicciamente per ridurre il margine di manovra tedesco, colpendone la produzione industriale, aumentando la presenza delle proprie Forze armate sul territorio della Bundesrepublik e rilanciando i rapporti con Polonia e Romania, diaframma naturale tra Berlino e Mosca.
Anche l’Italia settentrionale, quale propaggine inferiore della rinnovata Mitteleuropa, potrebbe essere obiettivo dell’offensiva americana. Anche a causa dell’atteggiamento florusso dei governanti regionali (e nazionali). Con somma sorpresa degli abitanti. Il Congresso statunitense potrebbe applicare notevoli dazi alle esportazioni, linfa vitale dell’economia locale, e minacciare platealmente di sottrarre l’ombrello militare che fornisce all’alleato. Quindi Washington premerebbe su Roma affnché recida la simbiosi con Berlino, ma senza controllare una parte cospicua di territorio l’esecutivo politico si mostrerebbe inerme. Il Belpaese si scoprirebbe in posizione assai critica. Tranciato da diversi livelli di sviluppo e dalla capacità d’attrazione tedesca. Senza possibilità di frenare la deriva verso nord delle sue regioni più produttive, né di sottrarsi alla rappresaglia statunitense. Con l’epidermide nazionale incisa dal limes germanico, al contempo ferita e destino d’Italia.
[da “Limes”, 4/2017]
Qui la prima parte dell’articolo
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