Il gioco d'azzardo, eroina del nuovo millennio
di ANDREA MALAGUTI
«Il gioco d’azzardo è l’eroina del nuovo millennio. O forse è anche peggio. Perché negli Anni 70 l’eroina rovinava i ragazzi, mentre l’azzardo avvelena anche gli anziani». La Casa del Giovane, a Pavia, è un’oasi di civiltà a due passi dalla stazione, dove chi ha perduto il senso di sé si rivolge allo psicologo Simone Feder e ai suoi collaboratori per tornare ad avere una vita decente.
E spesso, Feder, una vita decente gliela restituisce. «Ci vogliono anni di lavoro».
La Casa è lì dal 1963 e aiuta persone con ogni genere di dipendenza, ma nell’ultimo decennio si è occupata soprattutto di un’emergenza che non esisteva e che lo Stato ha coltivato, protetto e accudito con rara costanza: gli zombie delle macchinette, dei gratta e vinci, delle lotterie istantanee. Un esercito in crescita di «azzardopatici» bisognosi di cura e capaci di distruggere interi nuclei familiari. «Abbiamo calcolato che per ogni persona schiava del gioco ce ne sono altre sette – tra genitori, fratelli, figli, o amici – costrette a soffrire con lui o con lei», dice Feder. Un’epidemia funzionale al sistema.
Il ventaglio delle offerte è illimitato, la speranza della vincita facile la più antica delle esche, resa paradossalmente ancora più irresistibile dalla straniante certezza – fissata dalla legge – che su cento euro investiti, una slot machine te ne restituirà settanta e una videolottery ottanta. Non uno di più. Una scommessa a perdere in cui ogni giocatore ha la certezza di vedere sparire dal 20 al 30% del proprio capitale, ma in definitiva molto di più, presumibilmente tutto, perché quando la slot restituisce un po’ di monete, nessuno si alza, ringrazia e se ne va. Quegli euro ritrovati vengono immediatamente fatti ingoiare a delle macchinette in cui il brivido di una giocata dura dai due ai quattro secondi. Il nulla. «Un giocatore non vuole vincere, ha solo bisogno di restare nel flusso del gioco».
Sono processi dissociativi che le concessionarie pubbliche dei giochi conoscono bene e sanno come alimentare. Per esempio la maggior parte delle 418.210 slot machine e delle 52.349 videolottery è sistemata in angoli bui, in sale senza finestre, dove il senso del tempo non esiste. E se non esiste il tempo non esiste neppure la vita reale. Lucine, campanelli, fumetti fosforescenti, sfingi, odalische, tintinnare di monete, oscurità, solitudine. «Un sacco di gente ha voglia di scappare dalla vita reale e se non ci fosse uno spazio interno disponibile, la dipendenza non si creerebbe, ma quello che lo Stato consente di fare con il gioco d’azzardo, contando sulla fragilità di centinaia di migliaia di persone, è orribile», dice lo psichiatra Federico Tonioni, esperto di dipendenze del Policlinico Gemelli di Roma.
In un Paese come il nostro che stampa un quinto dei gratta e vinci del pianeta il dibattito è aperto, ma bisognerebbe arricchirlo tenendo presente che negli Stati Uniti, terra di casinò e di liberismo senza freni, i meccanismi di controllo sono molto più penetranti e il sistema sanitario per evitare il collasso ritiene necessario insistere su quattro punti chiave: ridurre gli spazi in cui si gioca, vietare la pubblicità, tenere i biglietti della lotteria in luoghi non visibili e predisporre kit di gioco che chiariscano senza ambiguità quali sono i rischi di dipendenza. Perfetto.
Dopo tre lustri in cui i governi di sinistra e di destra hanno moltiplicato giochi e concessioni, l’esecutivo Renzi ha cercato di mettere un piccolo argine al disastro, trasferendo al ministero della Sanità l’osservatorio sul gioco d’azzardo, versando per la prima volta 50 milioni di euro da destinare alla prevenzione, prevedendo entro il 2019 una riduzione del 30% delle slot e introducendo il divieto di pubblicità del gioco sulle reti generaliste (i primi nove canali del telecomando) dalle 7 alle 22. «Interventi significativi ma non sufficienti», secondo Matteo Iori, presidente del Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo che, assieme a Lorenzo Basso, deputato del Pd, sostiene la necessità di inserire subito l’azzardo all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza e di imporre il divieto totale della pubblicità. Non solo in tv, ma anche su Internet, inesauribile vivaio per giocatori di nuova generazione.
«Il gioco non va impedito, ma neanche agevolato, e soprattutto va circoscritto a luoghi limitati». Basso ha portato la battaglia contro il gioco d’azzardo dalla sua Liguria al Parlamento trovando il consenso del M5S e l’opposizione di alcuni colleghi di partito e della maggioranza di Ncd e di Forza Italia. «La pubblicità è la prima colonna del sistema che vogliamo abbattere, sul modello di quanto è avvenuto col tabacco», dice, non riuscendo a nascondere i dubbi anche sui Monopoli, incaricati di gestire gli aspetti tecnici dei giochi e accusati di non limitarsi alla supervisione del sistema, ma di essere uno strumento promozionale dello stesso, come testimonia un intervento davanti al Parlamento del 2014 in cui i Monopoli invitano i legislatori a non impedire il fumo e l’alcol nelle sale perché «è di facile intuizione che la pratica di alcune attività è suscettibile di essere fortemente disturbata da condizionamenti della condotta propria del soggetto». Dunque il governo vuole davvero limitare l’azzardo, oppure no?
Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia con delega ai Giochi considerato non ostile alle 13 concessionarie nazionali, garantisce che il governo la sua scelta l’ha fatta. «Lo Stato aveva esagerato nella legalizzazione dell’offerta e adesso sta intervenendo, ma non dobbiamo sottovalutare il fatto che se non ci fosse l’azzardo legale prospererebbe quello criminale». E il ruolo dei Monopoli che si stanno occupando della riorganizzazione tecnica dei giochi? «I Monopoli fanno quello che decide il governo. La responsabilità è nostra».
Ma è certo che la presenza del gioco legale riduca quello illegale? I numeri sembrerebbero dire il contrario. E anche la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia. Testualmente: «La Procura sottolinea il rinnovato interesse di Cosa Nostra per la gestione dei giochi, sia di natura legale che di natura illegale per garantire la continuità della vita dell’organizzazione». E a proposito della Camorra si legge: «L’attività preminente del clan dei casalesi è il controllo delle slot in tutti i locali ed è la base attraverso cui vengono pagati gli stipendi ai numerosissimi affiliati detenuti ed effettuate attività di reimpiego dei capitali» Analoghe le valutazioni sulla ’ndrangheta. La malavita il gioco d’azzardo legale lo usa due volte: per fare soldi e per lavarli.
Così perdono i giocatori, perde il servizio sanitario nazionale (chiamato a pagare costi stimati in oltre sei miliardi) e perde l’economia reale perché se i soldi del gioco (tassato mediamente al 10%) finissero in beni e servizi classici (tassati al 22%) ne guadagnerebbero sia gli operatori economici che il Tesoro. Però vincono le 13 concessionarie nazionali dello Stato, i gestori delle Sale Bingo e parte dei 4 mila baristi e concessionari locali. A meno che non debbano fare i conti con le organizzazioni criminali.
È il caso di Gianni Alessio Bariletti, ex titolare di una società – la Bp Holding – capace di fatturare con il gioco on line 8 milioni di euro al mese e pronto a sviluppare una piattaforma in grado di utilizzare moneta elettronica. Pulito, regolare, illusorio. «Prima mi hanno pestato perché non pagavo il pizzo, poi inventandosi delle scuse mi hanno staccato dalla rete, quindi i Monopoli mi hanno revocato la concessione. Ho fatto ricorso, ho vinto e me l’hanno ridata. Peccato che a quel punto dei signori ai quali era impossibile dire di no mi abbiano costretto a vendere la società in cambio di niente. Mi è venuta in mente una frase del Padrino: ero convinto che quando sali in alto la puzza sparisse. E invece diventa sempre più forte». Ora Bariletti ha cambiato mestiere e il suo avvocato, Gabriele Magno, sta facendo causa allo Stato per il danno prodotto dalla sospensione della concessione. «Abbiamo chiesto 120 milioni».
Alla Casa del Giovane di Pavia, l’ultimo a guardare negli occhi Simone Feder è stato Marco, 19 anni e una bellezza fresca incapace di offuscare la sua infelicità. Gli ha detto: «Non ce la faccio più». Ha cominciato a giocare a 12 anni in un bar. Non ha mai smesso. «Per procurarmi i soldi ho cominciato a spacciare. Ho capito di avere superato il limite pochi giorni fa. Avevo un debito di 450 euro con una persona pericolosa. Stavo andando a ridarglieli ma sono passato di fronte a una Sala Bingo e non ho resistito. Ho perso tutto. E non sapendo come fare ho rubato un motorino. L’ho smontato e ho rivenduto i pezzi». Si porta addosso una angoscia non controllata che gli esce dagli occhi. «Perché lo faccio? Per vincere soldi facili. Solo che la macchinetta mi fa gli scherzi». Simone lo accompagna alla porta dove una bambina, forse la sorella di Marco, gli dice: «Ma se il gioco fa male, perché è legale?». Feder le accarezza la testa, non lo capisce neanche lui perché lo Stato consenta di rendere centinaia di migliaia di persone emotivamente disabili . «Non lo so piccola. Ma un modo per chiederlo al governo lo troviamo».
Io sono tossicodipendente perchè mi drogo, o mi drogo perchè sono tossicodipendente?
La risposta mi sembra fondamentale, se si vuole veramente affrontare la questione delle dipendenze, di ogni tipo.
Perchè, se la risposta è la numero 1, l’unica strada è quella di vietare TUTTO, compreso ovviamente il vino ed il fumo ed il sesso non procreativo.
Insomma il programma dello Stato Islamico :) NOn fa per me.
Nemmeno per me.
Io, infatti, sono per la responsabilità individuale ad ogni livello, indi pensa che legalizzerei anche l’eroina.
Per questo sono abbastanza scettico sull’idea di vietare il gioco d’azzardo, che poi vorrebbe dire solo risospingerlo nel privato.