Servono partiti populisti "di sinistra"?
“Questo articolo del Manifesto equipara il crollo dell’ideologia eurofederalista a quello delle ideologie del Novecento. L’autore afferma altresì che tutto ciò che vi era di positivo negli ideali europei – solidarietà sociale, autonomia dagli Stati Uniti, un’economia di mercato diversa da quella liberista – è stato tradito dal Trattato di Maastricht in poi, cioè sin dal 1992. Il pezzo si conclude mettendo in dubbio la tesi secondo cui l’apparato eurofederale esistente sia riformabile: dunque, un’altra Europa può nascere sì, ma previa destrutturazione istituzionale dell’Unione Europea.
Dico a vari miei contatti di sinistra: ma invece di arrivare a certe considerazioni quando la frittata è fatta – cioè con anni di ritardo – non fareste prima a dare retta a chi le analisi riesce ad anticiparle di anni?
Tipo me e gli altri amici del FSI – Fronte Sovranista Italiano, per esempio.
Meglio interpretare la storia mentre si svolge piuttosto che ad anni di distanza dallo svolgimento dei fatti, no? Perlomeno, è meglio nella misura in cui si vuole ancora provare a essere soggetti storici” (Ricardo Paccosi del FSI di Bologna).
“Io credo che siano necessari partiti popolari, corrispondenti, mutatis mutandis, alla DC al PSI e al PCI, ciascuno però radicalmente ancorato alla nazione e all’idea che qua, su questa terra, ci tocca militare per costruire una grande civiltà (gli altri popoli seguissero altre strade, ci imitassero o ci combattessero: in tal caso ci difenderemo). Li si può anche chiamare partiti populisti (ma popolari sarebbe preferibile). Astrattamente, li si può anche chiamare di sinistra (ma “popolare”, “socialista”, “della giustizia e dell’indipendenza” “della patria costituzionale” “dei doveri del popolo” sarebbe mille volte meglio). Tuttavia, deve essere chiaro che i partiti dei quali c’è bisogno devono ripudiare sia pregiudiziali posizioni immigrazioniste, sia residui di subculture antistatalistiche, sia il sostegno o l’indifferenza a scuola e università facili e quindi classiste, sia redditi di cittadinanza a tutela del fancazzismo, sia il giusnaturalismo dei diritti umani, fondamento di imperialismo culturale e strumento dell’imperialismo “umanitario” statunitense, giusnaturalismo che deve essere sostituito con il rispetto per le diversità culturali, religiose e istituzionali dei popoli, sia il giusnaturalismo dei “diritti civili bioetici”, sui quali è necessario ammettere ampio dibattito e libertà di coscienza. Ho l’impressone quindi, che la sinistra radicale non soltanto sia arrivata tardi – meglio tardi che mai ma i cittadini, anche “di sinistra” sono tenuti ad apprezzare chi è arrivato prima e a disistimare chi è arrivato dopo – ma resti ancorata a parole inutili e ambigue e, soprattutto, mentre comincia, per fortuna, a sostenere posizioni che ha avversato, sia ancora lontana dall’abbandonare posizioni che ha sostenuto e che hanno significato essere “di sinistra” negli ultimi trenta anni” (Stefano D’Andrea, presidente del FSI).
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di Giampasquale Santomassimo Il manifesto
Quando una grande Utopia mostra le prime crepe profonde, quando sembra avvicinarsi il suo crollo, quando le sue promesse sembrano ormai evaporate lasciando presagire solo un futuro di miseria e di rancori, è comprensibile che chi aveva creduto in essa tenda a negare la realtà. Come è ricorrente il richiamo alle idee originarie, fondative, che riesumate e attualizzate potrebbero invertire la tendenza. Solo a distanza di tempo e a mente fredda potrà maturare la necessaria riflessione sull’essenza stessa di quella idea iniziale, su quanto in essa accanto a nobili visioni fossero presenti anche un eccesso di semplificazione, un difetto di analisi realistiche, e un tasso preoccupante di generoso pressappochismo.
E’ accaduto per altre grandi Utopie novecentesche, sta accadendo ora per l’ideale europeistico, che è stato il più grande investimento delle classi dirigenti del continente in un arco ormai lunghissimo di anni. Era stato fin dall’inizio un matrimonio di interessi, ma si volle che sbocciasse anche l’amore tra i sudditi, e si organizzò la più massiccia opera di indottrinamento mai perseguita dalle élites, dalla culla alla bara, come si conviene a ogni idea totalitaria: dai mielosi temi per gli alunni delle elementari al martellamento quotidiano di politici, giornalisti, mezzi di comunicazione di massa.
Nell’arco della sua storia l’ideale europeistico ha conseguito risultati importantissimi, che non andranno lasciati cadere nel progressivo disfacimento dell’Unione: si pensi solo all’armonizzazione dei principi giuridici, all’abolizione della pena di morte che continua imperterrita a restare in vigore in molti Stati degli Usa; si pensi alle grandi conquiste sul terreno dei diritti civili e individuali, che hanno rappresentato del resto la frontiera pressoché unica della sinistra occidentale.
Ma da Maastricht in poi il potere delle élites europee ha proceduto con spietata determinazione a smantellare le fondamenta dello Stato Sociale europeo, vale a dire la creazione più alta che i popoli europei avevano conseguito nella seconda metà del Novecento, distruggendo quindi quello che era ormai l’elemento caratterizzante della stessa civiltà europea. Gruppi di potere che non sarebbero mai stati in grado di conquistare egemonia per via democratica hanno usato spregiudicatamente il «vincolo esterno» per conseguire quei risultati che i rapporti di forza in passato negavano. Il caso italiano è esemplare da questo punto di vista.
L’acquiescenza della sinistra a questo disegno, la sua rinuncia ad opporsi, e in molti casi la sua partecipazione attiva al processo di «normalizzazione» liberista, ha fatto sì che la bandiera della rivolta contro l’establishment sia stata quasi dappertutto brandita dalle destre, che hanno imposto come ossessione dominante il tema, da ogni punto di vista secondario in termini realistici, delle politiche di immigrazione, col rigurgito di xenofobia e nazionalismo risorgente. Sono populismi, si dirà con quella punta di disprezzo delle «folle» che ormai caratterizza il linguaggio delle sinistre come delle élites. Ma in realtà avremmo bisogno di un serio populismo di sinistra, capace di parlare alle masse e di opporsi alle politiche dell’establishment.
Credo che sia illusorio e autolesionistico, per tutti, rilanciare a questo punto le nobili idee originarie, alzare la posta proponendo Stati Uniti d’Europa che non verranno mai e che – a parte piccole cerchie di adepti – nessuno seriamente vuole. Ogni volta che un politico di sinistra dice: “Più Europa”, un uomo del popolo vota Salvini o Le Pen. E ormai la mitica Generazione Erasmus è sommersa dalla Generazione Voucher, che sperimenta sulla sua pelle l’incubo della precarietà in cui si è convertito il «sogno» europeo.
Nell’immane campionario di frasi fatte che costituisce il nerbo dell’ideologia europeistica, accanto all’affermazione ipocrita sull’Europa che avrebbe impedito 70 anni di guerre (la guerra alla Serbia è stata fatta probabilmente dagli esquimesi), spicca anche l’asserito superamento degli Stati-nazione. Si tratta con ogni evidenza di una illusione ottica, perché gli stati nazionali esistenti (e quelli che si aggiungeranno, a partire dalla Scozia per finire probabilmente con la Catalogna) sono l’unica realtà in campo, e ciò che chiamiamo Europa è il risultato della mediazione di interessi ed esigenze tra essi, con una evidente penalizzazione degli stati dell’Europa mediterranea dovuta ai rapporti di forza instaurati dopo Maastricht. In attesa di fantomatici «movimenti europei» la dimensione nazionale è del resto l’unica che può opporsi ai diktat economici delle élites, come dimostrano le piazze francesi in rivolta contro la loi travail che anche noi avremmo dovuto avere un anno fa, se disponessimo ancora di sindacati liberi e combattivi.
È del tutto falso e propagandistico affermare che un recupero di sovranità, assolutamente necessario, porti a nazionalismi sfrenati o addirittura a guerre. Come italiani non dovremmo certo proporci di tornare a Crispi e Mussolini, ma dovremmo guardare piuttosto a Enrico Mattei.
Ciò che resta della sinistra europea dovrebbe affrontare con realismo e con umiltà il trauma del dopo-Brexit, in nessun caso confondendo le sue ragioni con quelle dell’establishment dominante, e tentando con ogni mezzo di imporre una politica diversa, di sviluppo e di sostegno al lavoro, senza accontentarsi di strappare decimali di «austerità compassionevole» che potranno a questo punto venire concessi.
Si tratta di verificare, e per l’ultima volta, se esistono margini di riformabilità di questa Unione Europea, blindata da trattati che sembrano escludere ripensamenti o inversioni di rotta. Se questo non sarà possibile, e la disgregazione procederà tra stagnazione e conflitti, gioverà ricordare che il mondo è molto più grande e più vario rispetto alla prospettiva che si può osservare da Strasburgo e da Bruxelles.
Mi dispiace che ancora una volta la sinistra arriva in ritardo a scoprire l’acqua calda. La sinistra liberista è causa di tutto il male da Maastricht in poi. Se avesse avuto dignità non avrebbe venduto l’anima al nemico. Ma meglio tardi che mai! Non basta però rivendicare sovranità nazionale senza aver chiaro che essa deve comportare sovranità monetaria. Ossia stampare moneta per i bisogni del popolo.
Per una volta faccio clap clap a Stefano.
Mi piacerebbe che sull’argomento immigrazione avesse il coraggio di essere consequenziale alle sue idee, ma ora come ora sono fiducioso.
Con calma, l’FSI arriverà dove il glorioso PCF è arrivato 40 anni fa.
La destra si sta opponendo all’europeismo sul tema dell’immigrazione incontrollata, un tema secondario, dice Santomassimo. Può essere. Ma dimentica di dire cosa sia prioritario nella lotta contro l’europeismo, cosa possa costituire il tema fondante di un populismo di sinistra; forse pensa che l’Italia sia nella situazione che è stata dell’Inghiterra, cioè fuori dall’Eurozona, forse la nostalgia lacrimosa e stucchevole per la ‘grande Utopia’ gli impedisce di avvicinarsi alla sua determinazione; in ogni caso NON ha ancora capito che la rinuncia europeista alla svalutazione del cambio è rassegnazione a svalutare i salari, che l’Unione Europea può senz’altro pavoneggiarsi con tutte le idee più nobili, con tutte le promesse più mirabolanti, ma che tutte diventano miserabile ideologia a copertura del pauperismo di massa nel momento in cui sono connesse alla moneta unica.
Forse ti farà ribrezzo un complimento da un fascista non pentito, ma devo essere sincero: quando scrivi (a parte su Darwin che non hai capito, e lo dico senza nessun intento polemico) mi fai ben sperare, contrariamente a tuoi compagni di partito.
Mi iscriverò al FSI se la tua linea, e quella del mio fraterno camerata Cancelliere, prevarrà.
Sia l’articolo che l’argomento affrontato sono molto importanti per capire un problema fondamentale del nostro tempo, il ruolo dell’UE e il rapporto con gli stati nazione. Se questo problema ancora esiste conferma che analisi precedenti non sono state sufficienti per i più svariato motivi, possono essere state non convincenti o non in grado di coinvolgere un numero adeguato di cittadini, potremmo avere un genio che se parla solo a se stesso non riesce a convincere nessuno. I termini populismo, partito , sinistra sono stati spesso utilizzati per semplificare il discorso e in realtà lo rendono più impreciso. Populismo è un termine denigratorio meglio e più corretto parlare di popolare, il partito dovrebbe essere un’organizzazione democratica che risponde ad un bisogno di una parte di cittadini ( cosa ben diversa dal partito personale di un leader). Sinistra è stato spesso utilizzato per individuare organizzazioni, attività persone che si diceva di sinistra per incamerare valori e credito a buon mercato. Sinistra deriva da una storia di lotte per la giustizia sociale, dei diritti tra cui l’eguaglianza di opportunità, cose che tanti che si dicono di sinistra hanno dimenticato o non perseguono. Premesso questo possiamo poi chiederci: come mai il PCI negli anni 70 cambiò profondamente la sua opinione sulla UE? Il disegno iniziale della UE era l’Utopia del grande e pacifico Paese o un modo per bloccare le rivendicazioni delle classi popolari dei vari Stati? La cessione della sovranità monetaria, oltre ad essere incostituzionale non ha materializzato quel vincolo esterno fondamentale per la vittoria del neoliberismo? Sono solo alcune delle tante domande che ci dobbiamo porre.