Per un'etica a venire in economia
di SALVATORE GULLÌ (FSI Calabria)
Cos’è l’etica? Potrebbe definirsi un agire che accresce la libertà dell’uomo. Essa non consiste di certo in un mero – pur corretto – convincimento che ogni agire debba porre sempre l’uomo al centro. Ed infatti ogni valido proposito che non sia però idoneo a tradursi in effettivo agire finisce per perdere di significato. Un’etica che non contrasti concretamente gli squilibri e le ingiustizie diffusi nel reale – ed ove fosse così si sarebbe dinanzi ad un’etica ispirata da un’idea di uomo alta – è da ritenersi dunque impotente ed inutile. Etica ed azione devono sempre insomma considerarsi indisgiungibili.
Ma l’imperversare di cattive etiche continua a soffocare ogni valida iniziativa, a vanificare le idealità, ad impoverire la società contemporanea. In Occidente si considera ormai addirittura utopistico proporsi un’etica che valorizzi ogni singolo nella comunità e che metta ciascun individuo in condizione di offrire il meglio di sé. Sebbene, in fondo, l’essenza di ogni etica stia tutta qui. La verità è che, con il declino dell’umanesimo, il significato dell’etica non costituisce più, nelle sedi politiche, oggetto di un effettivo interesse. Così tanto si è ormai aggravata la crisi di un’idea autentica di uomo!
Non a caso, mai come prima, nella storia dell’umanità è dato registrare l’assenza di un minimum di etica proprio nella sfera dell’economia – oggi caratterizzata dalla mondializzazione dei mercati – dalla cui sfera si è purtroppo potuto generare un tipo di uomo addirittura indifferente all’etica. E’ l’epoca durante la quale, da un lato, nelle aree più civilmente progredite del mondo, si sono verificati cospicui arricchimenti finanziari e nel contempo, da un altro lato, si è diffusa una endemica disoccupazione che avvilisce la dignità di intere generazioni. Quel che è certo, la gerarchia degli obbiettivi economici, fondandosi su un’idea di uomo riduttiva ed errata, non ha posto al vertice, come avrebbe dovuto, l’obbiettivo del pieno impiego delle risorse umane.
Le politiche economiche sono oggi influenzate da gruppi di potere che hanno invece orientato in ben altre direzione le decisioni relative all’economia. Ci si è adoperati per consentire un’ illimitata estensione dei mercati e per indebolire i poteri di pianificazione in capo alle pubbliche istituzioni. L’imperante mercantilismo ha così comportato una rarefazione del potere decisionale pubblico ed un incontrollabile dominio dei poteri finanziari. Qualcosa di irreparabile si è forse verificato, in termini di grave dequalificazione del fattore umano, assegnandosi ridotta importanza agli investimenti produttivi e di contro assoluta preferenza a quelli speculativi.
Tanto più che l’interdipendenza economica sovranazionale ha sempre di più finito per subordinare la politica delle nazioni ai potentati economici. Ma una rarefazione dell’apparato produttivo ha finito evidentemente per ridurre l’occupazione e per rendere fragile la domanda di beni, impoverendo così la comunità. Un’etica a venire dovrà allora necessariamente proporsi un recupero della sovranità decisionale pubblica in ambito economico, così da rendere in futuro possibile una efficace sopraordinazione della politica sull’irrefrenabile avidità mercantile che connota i sistemi capitalistici. Al capitalismo preme soltanto che si amplino quanto più possibile i mercati e non piuttosto di massimizzare le possibilità produttive dei popoli.
Nella sfera economica, i poteri pubblici dovranno allora quantomeno svolgere una fondamentale funzione intesa a definire un catalogo – da ritenere addirittura sacro – dei beni comuni, una funzione intesa a impedire che le attività correlate agli stessi beni comuni producano profitti che finiscano per non estendersi all’intera collettività. Si è, sul punto, dinanzi ad un impegno etico-politico di estrema rilevanza, idoneo peraltro ad imprimere appunto un inderogabile contenuto etico al mondo finanziario. Nel settore dei beni comuni dovrà insomma ritenersi preminente che l’impresa debba soddisfare finalità pubbliche.
Aver sottratto, in materia, allo Stato fondamentali funzioni, con il pretesto della possibile corruzione dei rappresentanti pubblici e della possibile loro inefficienza o insipienza, costituisce un errore politico avente per la collettività gravi conseguenze. Si è insomma dinanzi ad una decisione irresponsabile che ha appunto finito per avallare i citati incontrollabili poteri finanziari. L’etica a venire sarà tanto più efficace quanto più riuscirà a restituire alla collettività quanto è stato ad essa illegittimamente sottratto. Essa dovrà inoltre prefiggersi l’ulteriore essenziale obbiettivo mirante a far sì che lo Stato recuperi, nel pubblico interesse, il potere di battere moneta.
Si deve avere il coraggio, bandendo ogni rischio di essere tacciati di utopica ingenuità, di dire che, in futuro, della moneta si dovrà fare, in libertà, un uso etico. Ciò potrà avvenire recuperando innanzitutto l’originario significato astrattamente strumentale della moneta. I pubblici poteri dovranno erogare liquidità laddove sia ravvisabile una intrapresa sicuramente foriera di occupazione ed altresì laddove sia ravvisabile autentica laboriosità, formazione ed effettiva qualificazione dei salariati e produzione di beni. Dovrà inoltre diffondersi la consapevolezza che il potere di regolare e di contenere i tassi d’interesse è, fra l’altro, tipicamente preordinato a favorire appunto che gli investimenti si dirigano principalmente verso il mondo della produzione e non verso quello della finanza.
Chi finora ha avuto convenienza a che il rendimento dei titoli, pubblici o privati, fosse più elevato rispetto a quello indirizzato nella produzione reale ? Quanti cittadini hanno riflettuto sul fatto – ovvio – che l’aver prefigurato una maggiore convenienza a realizzare investimenti speculativi abbia finito per impoverire l’economia reale e quindi l’occupazione ? Lo speculatore è per definizione indifferente alla sorte di un’intrapresa economica, caratterizzata da concrete aspettative esistenziali, da sacrifici di uomini in carne ed ossa. Egli per definizione si disinteressa della funzione sociale dell’impresa. La stessa concorrenza fra Stati per l’acquisizione di quote di mercato e per esportare beni a prezzi più convenienti ha perso senza dubbio di mira il benessere dei singoli.
Tutte le opzioni economiche prescelte ridondano negativamente sull’occupazione, non essendo intenzione dei mercati di considerare la crescita produttiva una vera priorità. Ed allora ogni futura decisione di politica economica, finalmente ispirata dai fautori della rivolta a venire, dovrà sempre tenere conto che solo gli investimenti produttivi sono in condizione di realizzare occupazione di individui che hanno concreti progetti di vita da realizzare. L’economia dovrà servire l’uomo e l’uomo dovrà dunque tornare ad essere il protagonista dell’agire economico. Si dovrà quindi far sì che prevalga un principio di trasparenza e di visibilità. E a riguardo l’etica a venire dovrà proporsi di affermare ed accrescere la consapevolezza di tutto ciò.
Il valore dell’uomo in altri termini dovrà essere rimesso effettivamente al centro della comunità mondiale. E così la rivolta a venire a ben osservare dovrà inevitabilmente principiare nel campo dell’economia e dovrà concretizzarsi nella edificazione di progetti alternativi a quelli meramente finanziari. Non dovrà più tollerarsi il cinismo finanziario che ha assunto a pretesto la complessità e l’interdipendenza economica mondiale per asservire il potere politico a danno delle comunità civili.
L’indifferenza verso i valori più elevati e l’avidità del capitalismo hanno finora oltremodo svilito l’idea di uomo, rivelandosi esso una ideologia ed una organizzazione di potere fondate appunto su una concezione non etica dell’uomo. Ammesso che la rivolta a venire possa in futuro affermarsi, notevoli saranno allora gli effetti sull’economia di un’etica così concepita. Quanto tempo dovrà però ancora trascorrere perché sorga una comunità mondiale dove il valore uomo possa recuperarsi nella sua più profonda autenticità?
[da Rivolta a venire. Etica e utopia, ed. Città del Sole, 2015]
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