La radicalità del cristiano
di PIOTR ZYGULSKI
Recentemente ho partecipato all’assemblea di un’associazione politica, assieme ad altri membri provenienti dal marxismo, e mi sono reso conto che – su una quarantina di presenti – altri quattro oltre a me erano attivi ecclesialmente: chi in AGESCI, chi in Sant’Egidio, chi in testate cattoliche, e qualcuno si era formato in FUCI. Ho dovuto pensare a che tipo di testimonianza cristiana avrei potuto dare con il mio discorso. Era un momento di tensione: una scissione era appena avvenuta e una spaccatura latente serpeggiava tra i sostenitori del direttivo e la mozione di minoranza. Ho ripensato a quanto il presidente dell’associazione mi aveva detto anni fa: c’è bisogno di cattolicesimo sociale. Per evitare correnti cristiane o prediche pretesche, cosa mi sarebbe stato possibile offrire? Innanzitutto il vivere la politica come sforzo di elevazione morale personale e associativa, collettiva, comunitaria; per liberarci insieme dal nichilismo della tecnocrazia neoliberale, che colonizza ideologicamente e mercifica le nostre vite. Rinnovo l’impegno – citando un documento dell’associazione, che menziona il contributo cristiano alla Costituente, la dottrina sociale della Chiesa e la Laudato si’ di Francesco – per «il senso profondamente umano del limite», per la «dignità della persona umana» e per il «rispetto della natura», perché «non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile».
Così ho detto che desidero una Politica – cioè quell’arte e quella scienza che pensa modalità alternative di rapporti sociali – che sia ascolto della realtà, la quale comunque ci risponde con le domande che le poniamo. Vale per quella interna all’associazione con le sue voci plurali, e vale per quella esterna, dove c’è un Popolo sofferente, che non è uno strumento, un significante vuoto funzionale alla propria retorica, bensì occasione di conversione, cioè di nuove proposte, nuove energie, nuove prospettive, anche per noi. Una Politica ove guardare fraternamente chi la pensa diversamente da me, anche se sta dalla parte opposta della barricata, con la speranza di ritrovarci presto insieme. Una Politica ispirata non dal pragmatismo del potere per il potere, bensì dal vero idealismo che è anche realismo e dal vero realismo che è anche idealismo: ascoltare, camminare insieme al Popolo e ai compagni di idee per costruire un’alternativa basata sulle forze presenti in campo, sulle prospettive realistiche di successo, sul servizio radicale verso gli esclusi.
Ho parafrasato i quattro postulati di papa Francesco. Questa realtà – contraddittoria e critica – mette in crisi i progetti prefabbricati, ci costringe a ripensarli; i processi che inneschiamo sono più importanti degli spazi digitali o di potere che si potranno ottenere; il Popolo è superiore all’associazione e soprattutto a partiti, scissioni, mozioni; l’unità è superiore alle conflittualità, anche a quelle emerse in assemblea, se si resta radicalmente dalla parte di chi non ha parte.
Mi vengono allora in mente figure di cristiani esemplari. Aldo Moro, per la sua disponibilità a dare radicalmente la vita per l’Italia; Enrico Mattei, altro martire, radicale difensore degli interessi sovrani costituzionali e esponente di una visione realistica e non pragmatistica dell’agone politico; Giorgio La Pira, capace di uno sguardo dialogico ben più largo degli stretti confini europei o “occidentali”, strenuo difensore del ruolo geopolitico dell’Italia, declinandolo – con un ottimismo pasquale realista, saggio e lungimirante – nei termini di un centro diplomatico mediterraneo necessario per riequilibrare le relazioni tra i vari Stati e incoraggiarli verso la pace, nella certezza che il male è destinato a finire.
Al di fuori del “moderatismo” democristiano troviamo Franco Rodano, capace di radicale autonomia critica rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, il quale con voce profetica fondava nel 1943 il Movimento dei Cattolici Comunisti, tessendo un dialogo oltre le contrapposizioni pregiudiziali. Per uscire nel mondo, penso all’ortodosso Michel ‘Aflaq, che con il musulmano sunnita Salāh al-Dīn al-Bītār nel 1947 faceva nascere il Partito Ba’th Arabo Socialista, raggiunto poi dall’alawita Zakī al-Arsūzī; era un’esperienza di dialogo interreligioso verso una autentica e radicale unità, anziché chiudersi in autoreferenzialità confessionali. Presento poi il padre della Tanzania, Julius Nyerere, servo di Dio come Moro: per entrambi è aperto un processo di beatificazione; Nyerere non aveva paura del suo Popolo e anzi facendo leva sui valori comunitari tradizionali – in particolare quelli della famiglia estesa (Ujamaa) – lo aiutava a raggiungere l’indipendenza pacificamente, impegnandosi nel movimento panafricano per un’emancipazione radicale dal colonialismo occidentale. Infine Camilo Torres Restrepo, presbitero fondatore dell’Ejército de Liberación Nacional, che lottava per la dignità della nazione colombiana schiavizzata dalle oligarchie nordamericane e dai golpe dei militari: per l’unità e la liberazione della classe popolare, sino alla morte, con uno sguardo radicale sulla realtà, senza cedere a compromessi ingiusti.
Tutto ciò sarebbe sottoscrivibile anche da chi cristiano non è. Ma infatti non è necessario dirsi cristiani per fare opere buone, per agire onestamente, per essere persone di valore, per difendere ogni vita umana. La differenza è piuttosto di tinta, di sguardo, di stile. Anche il sudore dell’impegno personale assume allora un profumo diverso: non è quello aspro di uno sforzo individuale, ma quello dolce della condivisione; il cristiano ha sperimentato che la prassi politica non è roba sua, ma è il dono radicale della stessa Trinità, che è “modello sociale”, per citare Enrique Cambón. Un conto è rubare il fuoco da soli come Prometeo, un altro è riunirci lasciando che le multiformi fiamme dello Spirito divampino su di noi per incendiare il mondo. Da una parte quindi l’eroismo mondano individualistico, dall’altro la santità di chi cammina nel Popolo di Dio: non più un “devi quindi puoi”, bensì semplicemente: ama nella libertà, perché nella libertà sei amato. È proprio Dio che ci dà la fiducia, la speranza e lo stile trinitario per servire il Popolo. Per fare le stesse cose che fanno gli altri, ma in una forza che ne trasfigura radicalmente il senso.
Non pensi tanto al cosa fare, al chi votare o al chi sostenere – soprattutto in un contesto di volatilità elettorale che si accompagna a un dispositivo neoliberale, dal volto più o meno volgare, che impone le medesime policies a tutte le istituzioni – quanto al come, al perché, al per chi lo fai. Quanto sei radicale in te, nella tua critica? Come e cosa pensi realisticamente di cambiare? Lo fai per testimoniare, per lavarti la coscienza, perché desideri illuderti di essere buono? Soprattutto quando il voto è piuttosto indifferente, non mi preoccupano i compromessi di partito, mi spaventano invece quelli teorici di spegne il cervello per una militanza acritica per l’una o l’altra marionetta. Ecco perché uno dei servizi più preziosi in politica è quello di chi aiuta – sfidando il fuoco incrociato a destra e a manca – a comprendere la posizione dell’altro mettendo le sorelle e i fratelli nelle posizioni di altre persone ancora considerate avversarie, a partire dalla ridiscussione della definizione di parole, concetti e posizioni date troppo per scontate. Poiché le bolle mediatiche ostacolano l’alterità rispetto alle due opzioni polarizzanti, una critica radicale deve mettere in discussione proprio queste superficiali dicotomie, questo meccanismo che ci fa sfogare in risposte preordinate e in fin dei conti innocue, queste autoreferenzialità alimentate dalle dinamiche dei social che ti fanno interagire maggiormente con chi la pensa sempre come te.
L’eurodeputato ecologista Klaus Buchner racconta che talvolta su alcuni temi si trova a votare difformemente dal suo schieramento, trasformandola in occasione per rendere ragione delle motivazioni profonde; capita che atei decidano di cambiare il proprio voto in seguito al suo intervento. Il cristiano diventa così profeta, memore e testimone di un orizzonte radicalmente sempre più ampio, che non si lascia ingabbiare dalle logiche del potere, del denaro, delle emergenze che polarizzano, dei piagnistei provocati a comando o dell’isteria moralistica del momento. Sa che è Dio a rovesciare radicalmente la sorte degli ultimi e le strutture di peccato. Una di queste – da cristiani dovremmo acquisirne consapevolezza e osarlo più forte – è l’irriformabile struttura tecnocratica della cosiddetta Unione Europea, che non va confusa con quel progetto di fraternità di alcuni fondatori in buona fede (come i servi di Dio Robert Schuman e Alcide De Gasperi) al quale molti restano affettivamente legati. È forte la tentazione di cedere a nostalgie di promesse paradisiache poi rovesciatesi in inferno, a prevedibili entusiasmi e opposte indignazioni funzionali al gioco delle parti.
Allora chiediamo ai pastori della Chiesa non di improvvisarsi politologi o commentatori dei telegiornali – con il rischio di scivolare ingenuamente nel gioco delle parti che provoca e strumentalizza facili indignazioni, paure, sogni e lacrimucce a buon mercato – bensì di aiutarci a formare un pensiero critico, radicalmente resistente a ogni ideologia dell’inevitabilità dell’attuale scenario giustificato da teorie economiche disumanizzanti. Siano poi i laici a occuparsi della traduzione dell’amore di Dio in progetti praticabili nei vari contesti, dei compromessi strategici necessari per realizzarli, dei tecnicismi giuridici delle leggi, delle tattiche per scongiurare il male maggiore o rappresaglie che aggraverebbero la situazione, delle scelte elettorali o astensionistiche, soprattutto quando si tratta di scegliere tra il marcio e la muffa. È vano difendere l’autenticità di simboli, concetti e parole – anche quelle apparentemente più indigeribili – ormai disciolti dal nichilismo che tutto svuota in soffi di voci autoreferenziali. Persino le “estremità” vengono civettate, solleticate, sedotte, riassemblate in modo eclettico, fatte scontrare con immane dispendio di energie, disinnescate funzionalmente al potere, e abbandonate. Un’alternativa probabilmente non potrà venire dalle vie usuali. Purtroppo anche quei volti cristiani sopra menzionati diventano subito brand, santini, oggetti usa e getta, o pokémon da giocare contro l’avversario politico, se non v’è una coscienza in grado di incarnare il loro afflato alla radicalità.
Citando Giorgio Gaber, mentre il Titanic sta affondando è ingenuo pensare che i problemi oggi si possano risolvere «con qualsiasi tipo di politica» o con «un po’ di misticismo di seconda mano». Ma ciò non significa che occorra rassegnarsi al relativismo, perché «le risorse dell’uomo sono imprevedibili». Noi cristiani siamo chiamati a impegnarci maggiormente – con le armi della critica sistemica, di uno sguardo realistico sempre più profondo sull’umano e della ricerca delle vere faglie di conflitto – per una proposta pasquale che sappia attraversare la caduta degli dei, la morte di Dio, la fine delle grandi narrazioni, la notte oscura. Che va presa seriamente, non rimpiangendo chissà quali tempi antichi quando si andava a morire per le insegne della Madonna o della Croce; né pensando con granitiche certezze che i simboli di ieri possano ancora essere seriamente i simboli per l’oggi o per il domani. La situazione è assai più grave di quanto molti catastrofisti pensino. Ricordiamoci a vicenda la nostra radicale non appartenenza a questo mondo economico-sociale, nel quale nondimeno siamo chiamati radicalmente a vivere. Chi avverte la vocazione a essere “sale della terra” nel servizio della “carità politica” discernerà secondo coscienza se ci sono i margini di un riformismo più o meno acceso, quale sia il male minore e quale il miglior bene possibile. Pensare di poter salvare subito tutto il mondo intero è da scriteriati, nonché da uomini di poca fede.
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