Fine di campagna e secessioni
In un articolo sconsolato Sapir, dando ormai per scontata la vittoria di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali francesi, deplora il cinismo dell’oligarchia neoliberale che ha proposto il suo candidato con tecniche di marketing e l’irresponsabilità di Marine Le Pen scettica sul suo stesso programma. Di qui il suo timore di una spirale di disgregazione sociale che potrebbe portare la Francia anche a una guerra civile.
Fine di campagna e secessioni
Di Jacques Sapir
5 maggio 2017-05-05
L’originale dell’articolo al seguente collegamento:
http://russeurope.hypotheses.org/5980
Traduzione di Paolo Di Remigio
Questa campagna elettorale si conclude. Nel comportamento di una certa stampa, essa è stata rivelatrice di quello che la società francese ha di più orrendo. Il risultato delle elezioni presidenziali ormai non consente più dubbi. Secondo ogni probabilità Emmanuel Macron sarà eletto la sera del 7 maggio. Ma questa campagna lascerà tracce profonde. Il paese è profondamente diviso e non riuscirà a unirsi sotto questo nuovo presidente. Intere aree della popolazione sono entrate o sono sul punto di entrare in secessione. Del resto Christophe Guilluy ha ben analizzato il disastro di questo pensiero corretto, sedicente antifascista, che serve soltanto di copertura agli interessi dei potenti.
L’orrore Macron
I due candidati hanno una responsabilità evidente in questa situazione. Innanzitutto Emmanuel Macron, che con la sua arroganza combinata alla sua insignificanza, si rivela un prodotto di ciò che si chiama il “sistema”, venduto agli elettori come si vende un pacchetto di detersivo (secondo Michel Onfrey) o un dolce troppo grasso e troppo zuccherato, ai consumatori in un supermercato. Egli ha portato molto in alto l’asticella dell’indecenza in materia di recupero della memoria, e ha danneggiato durevolmente la memoria storica che occorre preservare. Il suo errore sulla disoccupazione di massa durante il dibattito del 3 maggio alla televisione è in realtà esemplare. Pretendendo che la Francia sia la sola colpita dalla disoccupazione di massa, dimenticando la situazione della Grecia, della Spagna, dell’Italia, del Portogallo, egli svela in realtà il suo pensiero. Questi paesi non sono più considerati come colpiti dalla disoccupazione, perché hanno realizzato, volontariamente o costretti e forzati, politiche di riforma del mercato del lavoro. Che queste politiche aggravino in realtà la situazione alla quale si ritiene che rimedino, costituisce l’errore di fondo che questo errore di forma copre.
Nel merito, dunque, tutto è stato detto di quello che il progetto di Emmanuel Macron rappresenta, la sua sottomissione profonda al neo liberalismo e al culto dell’Unione Europea, i suoi aspetti retrogradi sotto maschere falsamente moderne. Quest’uomo è veramente il prodotto, come lo ha chiamato Aude Lancelin, di un putsch silenzioso del CAC-40, anche se Aude Lancelin descrive molto imperfettamente i meccanismi e le molle di questo putsch. Attorno a lui si radunano tutti i politici che hanno fallito in questi 20 o 30 ultimi anni. È stato incapace di ascoltare quello che gli dicevano i francesi che ha incontrato. Murato nelle sue certezze, dritto nei suoi stivali, come dice l’espressione, questo presidente di défault che si annuncia sarà un profondo fattore di divisione e una causa di secessioni tra i francesi. Come dice anche lo scrittore François Ruffin, sarà odiato appena eletto e non beneficerà di nessun periodo di grazia.
La (ir)responsabilità di Marine Le Pen
Ma anche Marine Le Pen reca una grande parte di responsabilità in questa situazione. Ella si è rivelata incapace di reggere il suo programma, qualunque fossero le critiche che vi si potevano appuntare. Questo programma aveva una coerenza e, con i suoi cambiamenti all’ultimo momento, ella ha contribuito a imbrogliarlo. Dice di aver ascoltato gli economisti su numerose questioni, dall’euro alla mondializzazione, ma evidentemente non li ha intesi né compresi. I suoi diversi cambiamenti di passo a fine campagna, dall’euro all’età della pensione, sono stati disastrosi. Questo mostra, al meglio, un enorme dilettantismo nel trattare questi temi che sono tuttavia questioni essenziali per la Francia e i francesi. Al peggio, questo rivela un atteggiamento strumentale su questi temi e più globalmente sulla questione economica e sociale. Il suo stile pugnace si è trasformato in un’aggressività senza limite. Tutto ciò non ne fa, contrariamente a quello che pretende un’imbecille benpensante, una «fascista», e non giustifica affatto l’appello a creare uno sbarramento contro di lei. In una precedente nota ho detto quello che bisognava pensare di tutto ciò. Nondimeno, ella si è rivelata il miglior nemico delle idee che pretendeva portare. Se non riflette su questo e se non ne trae delle lezioni ella è perduta. Ora, la disperazione che questo potrebbe indurre è suscettibile di fare il gioco di politiche che sarebbero apertamente condannabili e ben più radicali e pericolose.
Secessioni politiche
Tutto ciò attua una segmentazione politica e culturale profonda dei francesi. Si vede bene che i partigiani di Emmanuel Macron e quelli di Marine Le Pen non abitano più lo stesso paese. Abitano paesi differenti innanzitutto sul piano geografico, con la distinzione tra Francia «periferica» e Francia delle metropoli. Ma abitano anche paesi differenti in materia di riferimenti culturali e sociali. Questa secessione è di una gravità straordinaria. Quando non si hanno più parole in comune, la porta è aperta alla guerra civile.
Questa non è l’unica secessione. Gli elettori di Jean-Luc Mélenchon, perlomeno una loro ampia frazione che si pronuncia contro il voto a Macron, si orientano verso un’altra forma di secessione. Il modo in cui questo elettorato è stato disprezzato, diffamato, minacciato perché si congiunga alla coalizione macronista resterà uno dei grandi scandali e una delle grandi vergogne di queste elezioni. Soprattutto, questa campagna isterica e odiosa, questa campagna che avevo denunciato su questo stesso blog, spingerà quelli che si definiscono «ribelli» verso la secessione dal sistema politico. Non sono le ridicole manovre dell’undicesima ora di un PCF agonizzante, manovre denunciate da Mélenchon stesso, che potranno impedirlo. È probabile che queste manovre, e altre, si moltiplichino durante la campagna per le elezioni legislative di giugno. Se ne comprende l’obiettivo: privare i «ribelli» del numero di deputati a cui la loro quantità numerica darebbe loro diritto. Se questo scenario si attuasse, allora la secessione dei ribelli diventerebbe una realtà insieme a tutto ciò che tale processo, aggiungendosi alle secessioni precedenti, porterebbe con sé in termini di minacce di un aumento della violenza, ma anche nella violenza. Le frasi finali di François Ruffin nel suo intervento per il giornale Le Monde sono chiarissime su questo punto.
È su questa base miserevole, su questa legittimità fragile che contate di attuare i vostri arretramenti a marce forzate? La va o la spacca? Voi siete odioso, signor Macron, e io sono inquieto per il mio paese, meno per questa domenica sera che per più tardi, per i cinque anni o prima: che tutto questo precipiti veramente, che la “frattura sociale” non diventi lacerazione. Portate in voi la guerra sociale come la nuvola porta l’uragano. A buon intenditore.
François Ruffin (Candidato di «Picardie debout!» nella Somme, schierato con Jean-Luc Mélanchon, realizzatore di Merci patron!)
La disperazione di essersi visti scippare l’elezione dal sistema che nei fatti impone un presidente che molti non vogliono è gravida di rotture future. La probabile arroganza che ci si deve aspettare se Emmanuel Macron fosse eletto moltiplicherà questa disperazione. È sempre pericoloso spingere due frazioni francesi alla disperazione, cosa che Emmanuel Macron e i suoi sostenitori, tra i quali il calamitoso François Hollande, ignorano superbamente. Questa gente porta potenzialmente la responsabilità di aprire le porte alla guerra civile.
La secessione silenziosa
Ma c’è una quarta secessione, silenziosa, che si produce nello stesso tempo. Sempre più giovani francesi nati dall’immigrazione e di confessione musulmana respingono i principi di uguaglianza che fondano la Repubblica. Anche qui siamo di fronte a un processo di secessione, tanto più grave perché è tollerato da politici di tutte le sponde per clientelismo elettorale o per la volontà di far regnare la calma. Questa secessione si manifesta nella sempre maggiore esclusione delle donne dalla sfera pubblica, nella descolarizzazione dei bambini e nella costituzione di reti di insegnamento alternative e non controllate.
Questo è di una gravità estrema, che sorpassa il pericolo diretto del terrorismo e del salafismo. La lenta e silenziosa erosione della laicità da parte delle organizzazioni prestanome o vicine ai Fratelli Musulmani pone un problema grave per la sfera politica francese. Su questo argomento qualche settimana fa si è pubblicato il testo di Jérôme Maucourant. Il problema è di ben altra gravità dell’isteria detta «antifascista» che si è impadronita di una parte degli spiriti e della quasi totalità della stampa in occasione di queste elezioni presidenziali. Eccoci dunque di fronte a un’altra forma di secessione e questa, c’è da temere, ancora più irreconciliabile delle altre tre.
Se si vuole parlare di popolo, e senza il popolo non si può avere sovranità, allora si impone l’importante distinzione che si deve fare tra popolo «etnico» e popolo «politico». Le ho dedicato pagine intere nel libro pubblicato nel 2016, Sovranità, democrazia laicità, un libro del cui tema l’attualità si incarica, ahimè, di ricordarci l’importanza. Non si può pensare la Democrazia senza insieme pensare la Sovranità e che quest’ultima implica e impone la Laicità. Nel libro recente che abbiamo pubblicato non diciamo cose diverse da Bernard Bourdin. Non ci possono essere individui liberi se non in una società libera. La sovranità definisce anche questa libertà di decidere che caratterizza le comunità politiche che i popoli sono attraverso il quadro della Nazione e dello Stato. Ancora bisogna sapere ciò che crea società. Ancora bisogna comprendere ciò che costituisce un «popolo», e bisogna comprendere che quando parliamo di «popolo» non parliamo di una comunità che sia etnica o religiosa ma di questa comunità politica di individui riuniti che prende nelle sue mani il suo avvenire. Tale è il popolo al quale parlano i politici che fanno realmente il loro lavoro, e non quelli che, come Emmanuel Macron, sono promossi come un pacchetto di detersivo.
Questa elezione sembra finita. Questa elezione è stata soprattutto scippata agli elettori, per la combinazione dell’unità consapevole e organizzata degli uni, per l’irresponsabilità degli altri. Ma essa non regolerà niente, non deciderà niente. Al contrario, il suo risultato probabile, precipitando precedenti fratture, rischia – e qui si spera di tutto cuore di ingannarsi – di far scivolare la Francia in un avvenire molto cupo.
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