La scacchiera spezzata: Brzezinski rinuncia all'impero americano
Ringrazio Vocidallestero per la traduzione di questo importante articolo. Esso dimostra che tutte le teorie strampalate, secondo le quali gli Stati Uniti in questi ultimi anni volevano creare caos (teorie del caos) fossero insensate. Gli imperi cercano di creare un ordine a loro conveniente. Se le azioni degli imperi generano il caos vuol dire soltanto che essi non hanno una classe dirigente all’altezza, che sbagliano analisi o strategie o tattiche (tra i più importanti errori di analisi commessi dagli Stati Uniti c’è la sotto-valutazione di popoli e stati, “nemici” o erroneamente considerati indifferenti o incapaci o poco capaci di scelte indipendenti). Tra gli errori degli Stati Uniti segnalati da Brzezinski c’è la sottovalutazione o non valutazione del “violento risveglio politico tra i musulmani post-coloniali”. Il fallito tentativo di golpe in Turchia, che segue a distanza di anni il fallito tentativo di golpe contro Chavez, l’aver regalato l’Iraq all’Iran, l’aver appoggiato la rivolta siriana senza uomini fidati a terra, l’aver concesso a Francia e Inghilterra di destabilizzare la Libia, senza alcun effettivo vantaggio per l’impero, i falliti tentativi di aggredire la Russia in Georgia e in Ucraina, sono alcuni tra i fatti che dimostrano come gli Stati Uniti siano deboli sia nell’analisi, che nella strategia che nella tattica, sebbene restino la più grande potenza militare ed economica. Mi sembra invece poco importante per un europeo – capisco che per uno statunitense le cose stiano diversamente – la valutazione dell’autore dell’articolo, secondo la quale la Clinton, se sarà eletta presidente, non seguirà i suggerimenti di Brzezinski. Se è purtroppo vero che la politica estera della Clinton porterà altre guerre, altri scontri e altre distruzioni, è anche vero che quella politica, generando altri insuccessi per gli Stati Uniti, costituirà al tempo stesso l’occasione per una ulteriore perdita di potere di condizionamento e di influenza degli Stati Uniti su altri popoli e stati. Coloro che perseguono la disintegrazione dell’Unione europea e la de-globalizzazione economica e sperano nell’indebolimento degli Stati Uniti, per giungere un giorno alla liberazione e alla estinzione della NATO, è bene che sappiano che la politica della Clinton sarà un’occasione favorevole. Una valutazione realistica e non moralistica conduce alla mia conclusione (SD’A)
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Counterpunch commenta un recente articolo di Zbigniew Brzezinski, noto politologo e geostratega americano, consigliere sotto diverse amministrazioni, famoso per aver teorizzato nel 1997 la strategia (successivamente adottata) per consolidare la supremazia “imperiale” degli USA nella prima metà del XXI secolo – strategia di cui la Clinton è una delle principali promotrici. In questo articolo, Brzezinski fa un’inversione a U: gli USA non sono più una superpotenza, sostiene, si sta formando una vasta coalizione anti-americana e perseguire il progetto originale nelle mutate condizioni potrebbe portare caos e guerra in tutto il globo. Meglio collaborare con Russia e Cina e cercare di preservare la leadership americana. Una svolta letteralmente storica nell’indirizzo geostrategico di una parte dell’establishment americano, che prospetticamente lascia Hillary Clinton sola ad inseguire un progetto imperiale sconfessato dal suo stesso ideatore.
di Mike Whitney, 25 agosto 2016
L’architetto principale del piano di Washington per governare il mondo ha abbandonato il progetto e ha richiesto la creazione di legami con la Russia e la Cina. Anche se l’articolo di Zbigniew Brzezinski su The American Interest dal titolo “Towards a Global Realignment” [“Verso un riallineamento globale”, ndT] è stato ampiamente ignorato dai media, esso dimostra che membri potenti dell’establishment decisionale non credono più che Washington prevarrà nel suo tentativo di estendere l’egemonia degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente e in Asia. Brzezinski, che è stato il principale fautore di questa idea e che ha redatto il progetto per l’espansione imperiale nel suo libro del 1997 “La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici“, ha fatto dietro-front e ha richiesto una incredibile revisione strategica. Ecco un estratto dal l’articolo del AI:
“Mentre finisce la loro epoca di dominio globale, gli Stati Uniti devono prendere l’iniziativa per riallineare l’architettura del potere globale.
Cinque verità fondamentali per quanto riguarda l’emergente ridistribuzione del potere globale e il violento risveglio politico in Medio Oriente stanno segnalando l’arrivo di un nuovo riallineamento globale.
La prima di queste verità è che gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale.” (Towards a Global Realignment, Zbigniew Brzezinski, The American Interest)
Ripetete: gli Stati Uniti “non sono più la potenza imperiale globale”. Confrontate questo giudizio con quello che Brzezinski ha dato anni prima, ne La Grande Scacchiera, quando affermava che gli Stati Uniti erano “il massimo potere a livello mondiale.”
“… L’ultimo decennio del ventesimo secolo è stato testimone di uno spostamento tettonico nelle relazioni internazionali. Per la prima volta in assoluto, una potenza non eurasiatica è emersa non solo come giudice chiave delle relazioni di potere eurasiatiche, ma anche come il massimo potere a livello mondiale. La sconfitta e il crollo dell’Unione Sovietica sono state il passo finale nella rapida ascesa di una potenza dell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti, come l’unica e, in effetti, la prima potenza veramente globale” (“La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, Il Saggiatore, 1997, p. xiii)
Qui altro ancora dall’articolo del AI:
“Il fatto è che non c’è mai stata una vera e propria potenza “dominante” globale fino alla comparsa dell’America sulla scena mondiale… La nuova, determinante realtà globale è stata la comparsa sulla scena mondiale dell’America come giocatore allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente. Durante l’ultima parte del 20° secolo nessuna altra potenza gli si è nemmeno avvicinata. Quell’epoca sta ormai per finire.” (AI)
Ma perché “quell’epoca sta ormai per finire”? Che cosa è cambiato dal 1997, quando Brzezinski si riferiva agli Stati Uniti come il “massimo potere a livello mondiale”?
Brzezinski indica l’ascesa della Russia e della Cina, la debolezza dell’Europa e il “violento risveglio politico tra i musulmani post-coloniali”, come le cause approssimative di questa improvvisa inversione. I suoi commenti sull’Islam sono particolarmente istruttivi in quanto egli fornisce una spiegazione razionale per il terrorismo, invece dell’aria fritta governativa sull’”odiare le nostre libertà”. A suo merito, Brzezinski vede lo scoppio del terrore come lo “sgorgare di lamentele storiche” (da un “senso di ingiustizia profondamente sentito”), non come la violenza cieca di psicopatici fanatici.
Naturalmente, in un breve articolo di 1.500 parole, Brzezniski non può coprire tutte le sfide (o minacce) che gli Stati Uniti potrebbero affrontare in futuro. Ma è chiaro che quello che più lo preoccupa è il rafforzamento dei legami economici, politici e militari tra la Russia, la Cina, l’Iran, la Turchia e gli altri Stati dell’Asia centrale. Questa è la sua principale area di preoccupazione; infatti, ha anche anticipato questo problema nel 1997, quando scrisse La Grande Scacchiera. Ecco cosa disse:
“D’ora in poi, gli Stati Uniti potrebbero dover stabilire come far fronte a coalizioni regionali che cercano di spingere l’America fuori dall’Eurasia, minacciando in tal modo lo status degli Stati Uniti come potenza mondiale” (P.55)
“… Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi, i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale sono di prevenire la collusione e mantenere la dipendenza sulla difesa tra i vassalli, tenere i tributari docili e protetti, e impedire che i barbari si uniscano”(p.40)
“… prevenire la collusione… tra i vassalli”. Questo dice tutto, non è vero?
La politica estera sconsiderata dell’amministrazione Obama, in particolare il rovesciamento dei governi in Libia e in Ucraina, ha notevolmente accelerato la velocità con cui si sono formate queste coalizioni anti-americane. In altre parole, i nemici di Washington sono apparsi in risposta al comportamento di Washington. Obama può biasimare solo se stesso.
Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha risposto alla crescente minaccia di instabilità regionale e al posizionamento delle forze NATO ai confini della Russia, rafforzando le alleanze con i paesi perimetrali della Russia e in tutto il Medio Oriente. Allo stesso tempo, Putin e i suoi colleghi dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno istituito un sistema bancario alternativo (BRICS Bank e AIIB) che finirà per sfidare il sistema dominato dal dollaro, che è la fonte del potere globale degli Stati Uniti. È per questo che Brzezinski ha fatto una rapida svolta a U e ha abbandonato il piano egemonico degli Stati Uniti; è perché egli è preoccupato per i pericoli di un sistema non basato sul dollaro che sta nascendo tra i paesi emergenti e i non allineati, che dovrebbe sostituire l’oligopolio della Banca Centrale occidentale. Se ciò accadrà, allora gli Stati Uniti perderanno la loro morsa sull’economia globale e il sistema di estorsione nel quale biglietti verdi buoni per incartare il pesce vengono scambiati per beni e servizi di valore sarà giunto al termine.
Purtroppo, è improbabile che l’approccio più cauto di Brzezinski sarà seguito dal candidato presidenziale favorito Hillary Clinton, che è una convinta sostenitrice dell’espansione imperiale attraverso la forza delle armi. E’ stata la Clinton che per prima ha introdotto la parola “pivot” [perno, ndT] nel lessico strategico in un discorso che ha tenuto nel 2010 dal titolo “America’s Pacific Century” [Il secolo pacifico dell’America, ndT]. Ecco un estratto dal discorso che è apparso sulla rivista Foreign Policy:
“Mentre la guerra in Iraq si esaurisce e l’America comincia a ritirare le sue forze dall’Afghanistan, gli Stati Uniti si trovano ad un punto di svolta. Negli ultimi 10 anni, abbiamo stanziato risorse immense in questi due teatri. Nei prossimi 10 anni, dobbiamo essere intelligenti e sistematici su dove investiremo tempo ed energia, in modo da metterci nella posizione migliore per sostenere la nostra leadership, garantire i nostri interessi, e far avanzare i nostri valori. Uno dei compiti più importanti della politica americana nel prossimo decennio sarà quello di tenere al sicuro gli investimenti – diplomatici, economici, strategici, e di altro tipo – sostanzialmente aumentati nella regione Asia-Pacifico …
Sfruttare la crescita e il dinamismo dell’Asia è centrale per gli interessi economici e strategici americani ed è una delle principali priorità per il presidente Obama. L’apertura dei mercati in Asia fornisce agli Stati Uniti opportunità senza precedenti per gli investimenti, il commercio, e l’accesso alla tecnologia d’avanguardia… le aziende americane (devono) sfruttare la vasta e crescente base di consumatori dell’Asia…
La regione genera già oltre la metà della produzione mondiale e quasi la metà del commercio mondiale. Mentre ci sforziamo di soddisfare l’obiettivo del presidente Obama di raddoppiare le esportazioni entro il 2015, siamo alla ricerca di opportunità per fare ancora più affari in Asia … e delle nostre opportunità di investimento nei dinamici mercati dell’Asia. ”
(“America’s Pacific Century”, il segretario di Stato Hillary Clinton, Foreign Policy Magazine, 2011)
Confrontate il discorso della Clinton coi commenti fatti da Brzezinski ne “La Grande Scacchiera” 14 anni prima:
“Per l’America, il premio geopolitico principale è l’Eurasia … (p.30) … l’Eurasia è il più grande continente del globo ed è l’asse geopolitico. Una potenza che domini l’Eurasia controllerebbe due delle tre regioni più avanzate ed economicamente produttive del mondo. … Circa il 75 per cento della popolazione mondiale vive nell’Eurasia, e la maggior parte della ricchezza fisica del mondo sta lì, sia nelle sue imprese che sotto il suolo. L’Eurasia conta per il 60 per cento del PIL mondiale e circa tre quarti delle risorse energetiche conosciute al mondo”. (p.31)
Gli obiettivi strategici sono identici, l’unica differenza è che Brzezinski ha fatto una correzione di rotta sulla base di circostanze mutevoli e della crescente resistenza al bullismo, al dominio e alle sanzioni statunitensi. Non abbiamo ancora raggiunto il punto di svolta per il primato degli Stati Uniti, ma quel giorno si sta avvicinando velocemente e Brzezinski lo sa.
Al contrario, la Clinton è ancora completamente impegnata ad ampliare l’egemonia degli Stati Uniti in tutta l’Asia. Non capisce i rischi che ciò comporta per il paese o per il mondo. E’ intenzionata a continuare con gli interventi fino a quando il titano combattente Stati Uniti si immobilizzerà di colpo, cosa che, a giudicare dalla sua retorica iperbolica, accadrà probabilmente dopo un po’ di tempo durante il suo primo mandato.
Brzezinski presenta un piano razionale ma opportunista per fare marcia indietro, ridurre al minimo i conflitti futuri, evitare una conflagrazione nucleare e mantenere l’ordine globale (cioè il “sistema del dollaro”). Ma la sanguinaria Hillary seguirà il suo consiglio?
Nemmeno per sogno.
Stefano, ritieni quindi insensata la tesi secondo cui, esclusivamente in Medio-Oriente e nell’Africa del Nord, gli Stati Uniti abbiano adottato una strategia di graduale disimpegno? E che per farlo abbiano pensato di balcanizzare la regione finanziando e sostenendo tatticamente anche l’islamismo radicale? Te lo chiedo perché, se nemmeno a me convincono le teorie del caos in senso stretto, per Medio Oriente e Nord Africa sembrano assai plausibili, e sono sostenute anche da testate di alto livello come Limes.
Altro è la strategia del caos, teoria assurda che può attecchire soltanto tra i complottisti in senso stretto e che purtroppo ha avuto qualche diffusione, nel nostro ambiente, grazie a Giulietto Chiesa e qualche altro sostenitore di teorie strampalate e apocalittiche (tipo la teoria della terza guerra mondiale, che secondo Chiesa sarebbe alle porte da 16 anni), altro la strategia del disimpegno.
Tu sostieni che visto che gli USA starebbero disimpegnandosi, allora genererebbero il caos: qui il caos avrebbe una ragione apparente (addendum: ho sostituito ragione con scopo; si può discutere della ragione ma non della funzione, che sarebbe soltanto creare il caos: il caos non è in funzione di nulla, se non del caos (che può significare anche sventura, cambi di casacca, nascita e irrobustimento di forti nemici). Uno stratega che proponga di perseguire il caos è un imbecille; e se una comunità di pensatori, consiglieri e consulenti non riesce ad impedire al capo di perseguire un obiettivo tanto oggettivamente idiota (la rinuncia a guidare o condizionare l’evolversi di una situazione di partenza), significa che al vertice di uella nazione c’è un branco di imbecilli.
Serve l’analisi.
Per quanto riguarda l’Afghanistan, forse furono “costretti” ad aggredirlo, visto che erano stati uccisi 4000 statunitensi. In realtà non erano per niente costretti. Ci hanno lasciato oltre 2000 morti, immagino 15000 feriti, più un numero di pazzi e di suicidi che supera diverse decine di migliaia. E sono ancora impantanati là, senza che abbiano ottenuto un solo obiettivo strategico. Dunque nessun disimpegno.
Per quanto riguarda l’Iraq, lo hanno lasciato in mano a sciiti che son più iraniani che iracheni. Tentarono di dare un “ordine”, nominando nel 2006 Allawi, sciita ex baathista, ma i partiti sciiti settari vinsero le elezioni. Sono andati via nel 2011 perché Obama aveva promesso un certo disimpegno. Ma sono tornati e hanno combattuto a Fallujah e Ramadi, radendo al suolo le due città, proteggendo squadroni della morte sciiti comandati da generali iraniani e di nuovo avvantaggiando gli sciiti pseudo iracheni ma in realtà iraniani, incapaci di formare uno Stato. Dove sta il disimpegno? E comunque che caos è un caos in cui domina l’Iran?
Per quanto riguarda lo Stato Islamico lo hanno, forse volutamente, sottovalutato. Ma io credo lo abbiano sottovalutato davvero.: la relazione dell’accademia di West Point più volte citata su questo sito diceva che era più pericolosa JRNT (di Al Duri), perché avrebbe avuto il consenso della popolazione. Invece lo Stato Islamico ha rivelato una straordinaria capacità strategica e al momento della “rivoluzione sunnita” del 2014 ha utilizzato JRNT e l’ha fatta fuori, conquistando oltre la metà di tutte le armi dell’esercito iracheno (ha le armi di uno stato); alla fine ha ottenuto grande consenso tra i sunniti iracheni, che credevano stessero tornando i saddamisti (il primo atto compiuto a Mosul è l’arresto e la fucilazione del giudice curdo che condannò Saddam). Ora gli USA combattono lo Stato Islamico, dapprima lo hanno fatto in Iraq ma poi anche in Siria a Manbij. Dove sta il disimpegno?
In Siria gli USA non combattevano, mentre adesso hanno truppe a terra, anche se poche e bombardano. Dove sta il disimpegno?
Quanto alla Libia, non erano impegnati e forse è vero che a fare pressione per l’intervento furono Francia e Inghilterra. L’impegno è stata poca cosa: otto mesi di bombardamenti. Ma ora stanno di novo bombardando. Io il disimpegno non lo vedo.
Hanno capito che il salafismo jihadista è un osso duro, e che quindi, se mandano gli eserciti, non hanno alcuna possibilità di vincere sul terreno. Possono però praticare il terrorismo aereo. Ma non sono gli unici: la Russia sta dimostrando che può praticarlo e lo pratica volentieri anche lei.
Direi dunque che il caos è frutto di errori di analisi, strategici e tattici; che non c’è alcun disimpegno e che il rischio di una guerra con la Russia, sebbene minimo, non è mai stato concreto come oggi, proprio a causa di una politica estera statunitense che definire demenziale (oltre che criminale) è un eufemismo.
Tutto sta nel decidere in quale modo usare il concetto di ‘caos’. E’ evidente a chiunque ragioni che nel senso complottista di Giulietto Chiesa non va usato, ma avversato. Tu dici che non va usato nemmeno nel senso della volontaria produzione di caos in medioriente a fini di disimpegno, perché non c’è un reale disimpegno, e che quindi il caos mediorientale sia solo frutto di errori strategici notevoli degli Stati Uniti. Concordo in linea generale, ma l’equivoco, come detto, sta nel termine. Mi sembra pacifico che gli Stati Uniti, sottovalutando le milizie Isis, e poi servendosi alla bisogna dello stesso Stato Islamico in Siria, hanno prodotto caos, anche se, come giustamente dici, il fine ultimo è produrre un nuovo ordine, perché nessuno stratega desidera il caos per il caos. Il caos come strumento di un nuovo ordine, quindi, mi pare concettualmente accettabile. Balcanizzazione del medioriente significa questo: dare vita a nuove formazioni statuali per indebolirne altre. La Siria è l’esempio più recente e cristallino in questo senso. Spero di essermi spiegato.
Se per caos intendiamo guerra, allora abbiamo sicuramente la guerra che si voleva strumentale al nuovo ordine. Ma il caos, in Iraq e in Libia, è seguito alla “conclusione” della guerra. E in Afghanistan e Somalia la guerra continua, perché non è mai cessata: una guerra senza sbocco, un disordine – caos appunto – perenne.
Non ci sono nuove “formazioni statuali”. Ci sono territori senza stato (Somalia, Libia), con due o tre governi, con emirati islamici, milizie; o vecchi stati, l’Iraq, che si sfaldano, perché non ricostruiti bene dopo la distruzione: c’è il caos vero e proprio.
In definitiva la guerra come strumento del nuovo ordine ci sta. Ma la guerra non è il caos. La guerra può prolungarsi all’infinito e allora è caos; o può concludersi con la distruzione di uno stato senza condizioni per la ricostruzione di quello stato o di alcuni stati più piccoli e allora si ha il caos; oppure può ricostituirsi uno stato apparente che è fragilissimo e pronto a piombare in una guerra civile, che è caos.
Per queste considerazioni tenderei a rifiutare anche la prospettiva di Limes. Gli Stati Uniti fanno analisi come se gli altri non esistessero: Al Qaeda, i Talebani, lo Stato Islamico, l’Iran, la Russia, la Turchia, tutti hanno compiuto azioni che gli USA non si aspettavano, per qualità e intensità.
In Siria la situazione è diversa: gli stati uniti hanno svolto un ruolo minimo. I ribelli internazionalisti hanno divorato i ribelli nazionalisti guidati e armati dal centro statunitense di addestramento in Giordania. Qualcuno a Washington a un certo punto, non sapendo che pesci prendere, aveva pensato di appoggiarsi addirittura ad Al Nusra, ma ovviamente, alla fine l’ipotesi è stata scartata. Poi hanno pensato ai curdi socialisti ma hanno potuto usarli fino a un certo punto perché la Turchia si è imposta (sicché oggi gli USA sono ancora senza truppe di terra, in gran parte dello scenario siriano). Hanno anche provato a far fuori Erdogan, per non avere rompimenti di scatole, ma hanno fallito.
Il caos siriano deriva dal fatto che sono intervenuti direttamente l’Iran (per primo), gli Stati Uniti in difesa dei curdi contro lo Stato Islamico (per secondi) e infine la Russia contro tutti i ribelli, altrimenti Assad era caduto nel 2015, i curdi erano stati fatti secchi dall’IS nel 2014 e ora sarebbe stata in corso una semplice fitna tra la Siria Sunnita e Stato Islamico.
Anche qua comunque, gli Stati Uniti non hanno esattamente previsto, valutato e agito (fallito golpe).
In definitiva credo che si possa dire senz’altro che gli USA sono potenti, guerrafondai ma inetti. Il caos non deriva dal fatto che sono guerrafondai ma dal fatto che sono inetti.