La Corea del Nord fra Cina, Russia e Stati Uniti
di LIMES
Il 2016 ha conosciuto un’accelerazione della ormai consueta dinamica provocazioni-sanzioni che da decenni caratterizza la penisola coreana.
L’episodio più recente è il quinto test nucleare, condotto il 9 settembre, nell’anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare di Corea, nel 1948.
La prima provocazione del regime della Corea del Nord (il cui Partito dei Lavoratori tiene quest’anno il suo primo congresso dal 1980, il 7° della sua storia) è stata il test del 6 gennaio, che secondo Pyongyang avrebbe coinvolto un ordigno termonucleare, ma che internazionalmente viene considerato come il quarto esperimento nucleare dal 2006.
Il 7 febbraio è stato testato il Kwangmyŏngsŏng-4, un razzo che ha componenti adatte a un missile balistico intercontinentale. Infine, il 24 aprile è stato testato un missile balistico lanciato da sottomarino (noto come KN-11, Polaris-1 o Bukkeukseong-1) nel Mare dell’Est che ha percorso 30 chilometri prima di inabissarsi (anche se potrebbe essere stato un letterale buco nell’acqua).
A questi plateali gesti di sfida – tali in quanto banditi dai successivi regimi di sanzioni Onu – la comunità internazionale ha risposto a inizio marzo con un rafforzamento delle misure punitive contro Pyongyang. Lo scopo è colpire l’approvvigionamento nordcoreano di componenti del programma nucleare e di armi di distruzione di massa, comprese le risorse da cui il regime ottiene valuta pregiata per rifornirsi sui mercati esteri.
In particolare, l’ultima tornata di sanzioni esige che tutti i carichi in entrata o in uscita dalla Corea del Nord siano ispezionati. I settori più colpiti sono quelli del carbone, delle imbarcazioni, delle armi (la cui vendita è bandita in toto), dei beni di lusso e qualunque componente che possa essere usata dalla Forze armate nordcoreane. Esiste inoltre una lista nera di persone legate al regime sanzionate.
Del “fuoco incrociato” di questo inasprimento delle relazioni sulla penisola è rimasta vittima la Zona industriale di Kaesong, distretto nordcoreano gestito congiuntamente dalle due Coree. Il 10 febbraio la Corea del Sud ne ha annunciato la chiusura.
L’applicazione del regime delle sanzioni chiama in causa due attori che hanno mantenuto rapporti strategici e commerciali con Pyongyang: Cina e Russia. Questi due paesi nel 2014 hanno fornito alla Corea del Nord il 97% del suo fabbisogno petrolifero (86% la Cina, 11% la Russia).
Pechino ha un ruolo fondamentale in quanto primo partner commerciale della Corea del Nord, con6,16 miliardi di dollari di interscambio nel 2014, fonte dell’88% dell’import e destinazione dell’86% dell’export nordcoreano. Nonostante l’entrata in vigore di sanzioni anche da parte cinese, il commercio bilaterale è incrementato nel primo trimestre dell’anno: l’import dalla Nord Corea del 10,8% e l’export del 14,7%.
Il carbone svolge un ruolo di primaria importanza. La Cina compra tutto il carbone esportato da Pyongyang (1,03 miliardi di dollari nel 2014). In generale, fra prodotti minerali e metalli, la Corea del Nord esporta 1,6 miliardi di dollari, pari al 51% del suo export totale.
Questo settore è particolarmente sensibile perché nel paese sono stati scoperti giacimenti (forse non così imponenti) di terre rare. Le forniture nordcoreane farebbero molta gola alla Russia, ma sono viste come sgradite rivali da Pechino, prima produttrice in questo campo, che avrebbe dunque un incentivo in più ad applicare le sanzioni.
La Cina quasi monopolizza l’accesso della Corea del Nord al commercio via terra, attraverso i 3 valichi sulla frontiera di 1420 chilometri tra i due paesi: Tumen, sull’omonimo fiume; Dandong sul fiume Yalu con il “ponte dell’amicizia”; Ji’an, sempre sullo Yalu. Ogni sforzo di applicare concretamente le sanzioni passa dunque per il calcolo strategico cinese.
Pechino guarda a Pyongyang come a una preoccupante fonte d’instabilità. A differenza degli Stati Uniti (presenti con esercito, marines, aeronautica e marina in Corea del Sud) insiste su un approccio attendista, anche per timore che il crollo del regime possa scatenare una crisi umanitaria che riverserebbe parte dei 25 milioni di nordcoreani sul suo territorio.
Mosca invece è il terzo fornitore della Corea del Nord (2,1% del totale, 82,1 milioni di dollari nel 2014): soprattutto petrolio, carbone, grano e veicoli specializzati. I due paesi confinano per 17 chilometri, con un punto di passaggio ferroviario sul fiume Tumen con il “ponte dell’amicizia” presso la città russa di Khasan. Più della Cina, il Cremlino è molto preoccupato dalle sanzioni perché gli toglierebbero quei pochi canali esistenti per mantenere influenza nei confronti del regime.
Un aspetto non specificamente affrontato dalle sanzioni è quello dello sfruttamento della manodopera nordcoreana all’estero per ottenere valuta estera pregiata. Stime recenti parlano di 52-53 mila lavoratori all’estero inquadrati in programmi del regime che coinvolgerebbero un giro d’affari di 150-230 milioni di dollari l’anno. La questione non è affatto trascurabile, essendo una cifra attorno al 5% dell’export del paese.
Anche qui Cina e Russia svolgono un ruolo cruciale. La diaspora nordcoreana che manda in patria valuta pregiata (presente soprattutto nei settori edile, legname, tessile, ristorazione) è concentrata in Cina (20 mila persone) e in Russia (19 mila) e in misura minore nel Golfo (Qatar, Kuwait, Uae). In totale è presente in 46 paesi.
Testo ed elaborazione dati di Federico Petroni.
Carta inedita di Laura Canali in esclusiva per Limesonline.
fonte: http://www.limesonline.com/la-corea-del-nord-fra-cina-russia-e-stati-uniti/91555
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